"Anzitutto l'Italia"

"Anzitutto l'Italia"

Relazione del Presidente Sangalli agli Stati Generali Confcommercio-Imprese per l'Italia (Milano, 25 ottobre 2011)

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25 ottobre 2011

Cari Amici,
anzitutto grazie per avere accolto l’invito ad essere protagonisti di questo appuntamento di apertura degli Stati Generali dell’Economia dei Servizi, promossi da Confcommercio-Imprese per l’Italia.

Oggi, siamo qui in tanti. In tanti e da protagonisti: per proporre e per chiedere attenzione e risposte.

Una così importante partecipazione è dunque, per me, la migliore conferma della validità della nostra iniziativa.

Della scelta, cioè, di predisporre e presentare un documento di base, che vuole    sintetizzare attese ed esigenze, analisi e proposte di quel mondo dell’economia dei servizi, che Confcommercio particolarmente rappresenta.

E di promuovere, sui contenuti di questo documento, un confronto ampio e  partecipato.

All’interno della nostra Organizzazione e tra le imprese associate, ma aperto anche al contributo di tutti coloro che, come noi, ritengono che discutere delle  ragioni del mondo dei servizi  significhi contribuire alla formazione delle scelte necessarie per un’Italia che cresca di più e meglio.  

Oggi più che mai, infatti, le nostre analisi, le nostre proposte partono dal contributo che pensiamo di potere mettere in campo a vantaggio degli interessi generali del Paese.

 “Anzitutto, l’Italia”: è questo, infatti, il titolo che abbiamo voluto dare al nostro documento.

Per ricordare che l’Italia operosa che noi rappresentiamo sperimenta sulla propria pelle tutto l’impatto della grande crisi. Ma, soprattutto, per dire che questa Italia produttiva non ha tirato i remi in barca e cerca, davvero nonostante tutto, di costruire ogni giorno crescita ed occupazione. 

E’ questa la nostra fondamentale scelta di responsabilità.

Ed è questa scelta di responsabilità che legittima la nostra richiesta esigente di una “responsabilità repubblicana”.

In altri termini, di una condivisione di responsabilità fra tutte le forze sociali e politiche, fra tutte le istituzioni per scelte urgenti a vantaggio del bene comune dell’Italia.

Responsabilità repubblicana e condivisa:  che interroga particolarmente la politica e, anzitutto e soprattutto, la capacità di azione di chi oggi governa il Paese.

Su questo punto, bisogna essere chiarissimi.    

Sono evidenti le caratteristiche globali della crisi.

Nata come crisi del sistema finanziario, si è rapidamente propagata all’economia reale ed investe, ora, anche la tenuta dei debiti sovrani.

Ed è chiaro quanto l’incompiutezza del progetto politico europeo abbia nuociuto, determinando incertezze e ritardi nella risposta alla crisi dell’euro.

Ma, all’interno di questo innegabile quadro, il punto è che, alla fine, per l’Italia, tutti i nodi sono venuti al pettine.

E l’interrogativo fondamentale che i mercati internazionali si sono posti – ed ancora si pongono – è quale sia la capacità dell’Italia di sostenere e rapidamente ridurre il suo debito pubblico.

Di sostenere e ridurre un debito pari a circa il 120% della ricchezza nazionale  annua a fronte di una crescita debole nel lungo periodo e rimasta debolissima, anche dopo la conclusione “ufficiale” della grande crisi e della recessione.

Le stime di crescita dell’Italia si attestano infatti, per il 2012, intorno ad un frazionale 0,3%.

Per conseguire l’obiettivo dell’azzeramento del deficit,  occorreranno poi, tra il 2012 ed il 2014, circa 100 miliardi di tasse ed imposte aggiuntive e circa 40 miliardi di minori spese.

In breve, pressione fiscale record e crescita al lumicino.

Come abbiamo annotato nelle prime pagine di “Anzitutto, l’Italia”: “Senza crescita, senza più crescita, la stagnazione è alle porte. La recessione è dietro l’angolo”.

Conosciamo benissimo cosa ciò significhi in concreto.

Significa, ad esempio, che, nei primi nove mesi di quest’anno, nel commercio, il saldo tra nuove imprese e imprese cessate è negativo per circa 23 mila unità.

Conosciamo i numeri e ancora meglio conosciamo cosa sta dietro i numeri.

Conosciamo le “storie della nostra gente”: storie di impegno e di valori, di fatica ed anche di dolore.

Talora, di estrema disperazione.

Storie di progetti d’impresa e di vita che si infrangono, e per le quali non c’è neppure uno straccio di decenti ammortizzatori.

Si chiude e si viene “rottamati”. Punto e basta.

“Basta”, però, oggi lo diciamo noi.  E’ arrivato il momento di dire “basta”, di reagire, di cambiare.

 Perché ci stiamo avvitando in una spirale perniciosa tra crescita debole  ed effetti depressivi delle pur necessarie manovre di risanamento della finanza pubblica.

Diventa così più difficile assicurare anche  la tenuta ed il risanamento dei conti pubblici.

E cresce, intanto, il costo della provvista per le nostre banche ed il costo del credito per imprese e famiglie.

Bisogna evitare che l’Italia vada in cortocircuito.

Per farlo non bastano le “manovre”.

Occorrono scelte e riforme che rilancino la crescita, facendo leva sulle energie del mondo delle imprese e del lavoro.

Queste energie ci sono ancora. E l’Italia ha ancora buoni fondamentali.

Ma scelte e riforme vanno fatte ora.

Ora, proprio per mettere a frutto, a vantaggio della crescita, i sacrifici richiesti per il risanamento dei conti pubblici.

E sono scelte e riforme che interrogano la responsabilità – anzitutto e soprattutto – di chi governa l’Italia.

Non sono tollerabili rinvii e non bastano annunci.  Perché il tempo della partita è già scaduto e siamo ai recuperi.

E’ tempo di fare: con determinazione, con serietà, con rigore.

Ricostruendo credibilità, riguadagnando la fiducia degli italiani e la fiducia internazionale nei confronti dell’Italia. 

E’ questo il cambio di passo che, ancora di recente ed insieme alle principali Associazioni imprenditoriali, abbiamo chiesto con il “Progetto delle Imprese per l’Italia”.

Sollecitando controllo e riduzione della spesa pubblica, riforma del sistema previdenziale e del fisco, cessioni di patrimonio pubblico, liberalizzazioni e semplificazioni, investimenti in infrastrutture e per l’efficienza energetica.

Servono, allora, riforme ed ancora riforme.

Per una funzione pubblica più efficiente ed una spesa pubblica più contenuta e produttiva: condizioni necessarie per una progressiva riduzione di un troppo elevato livello di pressione fiscale, che avanzi in parallelo al sacrosanto  recupero di evasione ed elusione.

Sacrosanto, perché chi evade mina le fondamenta del patto di cittadinanza ed agisce contro la crescita e contro lo sviluppo dell’Italia.

Noi – noi che dei “paradisi fiscali” non conosciamo neppure l’indirizzo e che di “santi in paradiso” non ne abbiamo – lo diciamo forte e chiaro.  

Il tutto nella prospettiva della costruzione di un federalismo fiscale responsabile nell'utilizzo delle risorse pubbliche e nel ricorso alla tassazione, e di un ordinamento tributario  certo, stabile, semplificato.

"Abbiamo bisogno - ricordiamo nel nostro documento - di riduzione netta di pressione fiscale e non di una semplice traslazione di pressione dalle persone alle cose ". 

Procedere all'aumento dell'aliquota IVA standard è stato un errore. Un errore grave.

E’ necessario che non lo si ripeta: tanto in riferimento alla clausola di salvaguardia della manovra, quanto in relazione al percorso “ad ostacoli” della riforma fiscale.

Perchè gli incrementi di aliquote IVA penalizzano i livelli di reddito medio-bassi, sollecitano inflazione, rendono più difficile il recupero di evasione ed elusione. Insomma, vanno a danno dell'occupazione e della crescita.

Così scriveva, nel 1946, Luigi Einaudi:

“In Italia nessuno crede, nemmanco a scuoiarlo vivo, che le imposte possano in futuro diminuire...Gli italiani hanno sentito gran bei discorsi sulla necessità di sgravare i contribuenti, ma i fatti hanno insegnato ad essi che le imposte crescono sempre. E' accaduto persino che gli italiani abbiano visto nei titoli dei giornali annunciati sgravi tributari; ma, leggendo il testo sottostante, si sono accorti che lo sgravio consisteva in un aumento minore di quello che si temeva od era stato annunciato".

Considerazioni, purtroppo ed ancora una volta, attualissime. Considerazioni che sollecitano il passaggio dai discorsi a scelte e fatti conseguenti.

Per ridare fiducia alle imprese ed ai cittadini. Per reagire a  nuovi livelli record di pressione fiscale.

Cambio di passo, riforme: torniamo a chiederli con “Anzitutto, l’Italia”.

Oggi, qui, a Milano.

E, poi, nelle altre tappe territoriali degli Stati Generali.

Sarà il nostro viaggio nell’Italia produttiva che non si arrende e crede, per il suo Paese, nella possibilità di un futuro diverso e migliore.

Crediamo in questo futuro e non accettiamo l’ineluttabilità del declino dell’Italia.

Ma occorre davvero “uno sforzo comune – come si legge nel documento unitario delle Associazioni imprenditoriali – in grado di far sì che l’Italia continui ad essere uno tra i primi Paesi manifatturieri del mondo e possa far conto su un forte e dinamico sistema dei servizi”.

“Tutte le imprese – prosegue il documento unitario – sono pronte a fare la loro parte”.

Ecco, con “Anzitutto, l’Italia”, noi vogliamo raccontare la parte che intendono svolgere tutte le  imprese – micro e piccole, medie e grandi – del sistema dei servizi.

Sono quei servizi di mercato, che, già oggi, contribuiscono alla formazione del valore aggiunto del Paese per circa il 58% ed alla formazione dell’occupazione per circa il 53%.

Soprattutto, è da questi servizi che potrà venire la produttività e la crescita aggiuntiva, di cui l’Italia ha assoluta necessità.

Ed è ancora da questi servizi che potrà soprattutto venire il riassorbimento di disoccupazione e la costruzione di nuova occupazione.

E’ ora che se ne tenga conto. Che ne tenga conto la politica e chi governa.

Se non ora, quando?

Se non subito, quando?

Perché è  da qui – dal riconoscimento del ruolo propulsivo dei servizi – che passano, anche in Italia, crescita, occupazione e futuro.

Occorre, dunque, che si agisca per rimuovere, attraverso liberalizzazioni ancora necessarie e semplificazioni, barriere ed ostacoli all'attività d' impresa.

Quelle barriere, quegli ostacoli che, nel recentissimo rapporto della Commissione europea sul test di competitivita' dei Paesi membri, ci inchiodano all'ultimo posto per regole "amichevoli" nei confronti dell'iniziativa economica, e ci consegnano, tra l'altro, la "maglia nera" europea per il ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione.

Liberalizzazioni, dunque: meno asimmetriche rispetto a quanto fin qui realizzato e che muovano, ora, dai servizi pubblici locali, dal trasporto ferroviario, dai servizi professionali.

Semplificazioni, ancora: per una funzione pubblica più efficiente, anche per via di innovazione tecnologica ed organizzativa, e per ridurre quella “tassa della burocrazia” che, nel nostro Paese, costa ben oltre quattro punti di PIL.

Mettere in campo una politica per i servizi –  una politica, cioè, che accompagni incrementi di produttività e di crescita del sistema dei servizi –significa anche impegno per la qualificazione del capitale umano nella scuola, nell’Università, nei processi di formazione continua, e per il migliore collegamento tra formazione e mercato del lavoro.

E, sul versante della sicurezza sociale e dei rapporti di lavoro, politica per i servizi significa, ancora, completamento della riforma della previdenza e chiusura del circuito della flexicurity attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali.

Insieme alla valorizzazione del welfare contrattuale, al decollo del nuovo apprendistato, alla messa a regime della detassazione e della decontribuzione del salario di risultato.

Insomma, si tratta di fare dell’Italia una società più attiva, in cui il lavoro, il lavoro dei giovani anzitutto, è il fondamento di una sicurezza sociale più inclusiva e finanziariamente sostenibile.

Ma, tra gli “ingredienti” di una politica per i servizi, emerge, in particolare, il tema dell’innovazione.

Un’innovazione che, applicata al “patrimonio” dell’identità italiana, ne faccia fruttare le straordinarie potenzialità: sia, ad esempio, della vitalità di quel pluralismo distributivo pro-concorrenziale, che così profondamente connota le nostre città e i nostri territori; sia, ancora ad esempio, della risorsa straordinaria del turismo.

“Puntare sulla specificità italiana”: questo è il titolo di un articolo di Giuliano Amato, pubblicato, una decina di giorni fa, dal “Sole 24 Ore”.

Ve ne voglio leggere quello che, a mio avviso, è il passaggio chiave: “Siamo pieni – scrive Giuliano Amato – di carenze e di acciacchi, ma vivaddio abbiamo la fortuna di vivere in un Paese che davvero dispone di carte fra le più preziose in un mondo globalizzato in cui quasi tutti potranno replicare quasi tutto”.

“Ciò che non potranno replicare però – prosegue Amato – è tanto il patrimonio naturale e culturale italiano, quanto l’insieme delle qualità italiane che quel patrimonio lo sanno aggiornare e poi offrire sia in Italia che ovunque nel mondo”.

Puntiamo, allora e con decisione, su questa “specificità italiana”. E facciamola fruttare, per via di innovazione, sia rispetto al mercato interno, sia rispetto alle prospettive del nostro export.

Innovazione, dunque. Non solo quella di “Industria 2015”. Ma, ora, anche e soprattutto quella di un grande progetto per l’economia dei servizi: di “Servizi 2020”, in coerenza con il quadro di “Europa 2020”.

Innovazione tecnologica e diffusione di banda larga, certo. Ma anche innovazione organizzativa in senso ampio.

Soprattutto, incentivando aggregazioni di gruppo e relazioni di distretto, di filiera e di rete come piattaforme per la maggiore competitività e per l’internazionalizzazione del tessuto delle piccole e medie imprese.

Reti, ad esempio e in concreto,  per la costruzione di centri commerciali naturali e di distretti commerciali urbani.

Partendo dal riconoscimento del fatto che non si tratta di arretrare rispetto alle ragioni della concorrenza, ma di lavorare per il rafforzamento della produttività del commercio, di tutto il commercio.

Integrando urbanistica generale ed urbanistica commerciale ed affrontando e risolvendo, tra l’altro, i nodi strutturali della logistica urbana e della riforma delle locazioni commerciali.

Reti, ancora, per la costruzione di distretti turistici e di ogni altra  forma di aggregazione pro-competitiva dell’offerta turistica italiana: della sua organizzazione, del suo funzionamento, della sua promozione.

Occorre convergenza d’impegno tra iniziativa privata e politiche pubbliche, tra Stato, Regioni, Enti locali e forze sociali.

Occorre – questa convergenza d’impegno - per migliorare costantemente trasporti e fruibilità del patrimonio ambientale e culturale, professionalità e formazione, qualità dell’ospitalità e dei servizi turistici.

In un Paese come il nostro – che ha il terzo o il quarto debito pubblico del mondo, ma il primo patrimonio storico-culturale – i crolli annunciati e ripetuti  di Pompei sono intollerabili.

Si agisca con rapidità,  determinazione e coerenza.

Perché un grande obiettivo può essere colto: raddoppiare il contributo reso dal turismo alla formazione del PIL del nostro Paese.

Come avrete notato, tornano, nelle considerazioni sul commercio e sul turismo, i temi dell’efficienza del sistema dei trasporti e della logistica.

Qui, bisogna rapidamente avanzare. Anche attraverso l’istituzione di un’Autorità indipendente.

Perché persistenti inefficienze determinano, per il Paese, svantaggi competitivi nell’ordine di 40 miliardi di euro all’anno.

Bisogna avanzare per la completa attuazione della liberalizzazione regolata dell’autotrasporto e per la definizione e la messa in opera  di un Patto e di un Piano nazionale per la mobilità urbana.

Bisogna avanzare nella liberalizzazione del trasporto ferroviario e del trasporto aereo, e portando finalmente a compimento il percorso di riforma del sistema portuale.

Le priorità d’intervento infrastrutturale vanno attentamente selezionate.

Ma, poi, le opere vanno portate rapidamente a compimento.

Snellendo drasticamente iter decisionale e procedurale ed assicurando un quadro di riferimento finanziario adeguato, certo, stabile.

Semplicità e coerenza di procedure e controlli, certezza e stabilità degli strumenti di incentivazione occorrono anche per cogliere le opportunità dello sviluppo sostenibile e dell’innovazione finalizzata all’efficienza ed al risparmio energetico.

E, insieme, serve una gestione “normalmente” europea del ciclo dei rifiuti ed il contrasto delle ecomafie.

Occorre, soprattutto, una strategia energetica nazionale.

Anche qui, non c’è tempo da perdere.

Perché, ad esempio, l’ultimo test europeo di competitività, che già prima ricordavo, ci dice che, per le piccole e medie imprese italiane, la bolletta elettrica è la più cara d’Europa, fatta eccezione per quelle di Cipro e di Malta.

L’Italia tutta ha, dunque, bisogno di più crescita. Ma, anzitutto, ne ha bisogno il Mezzogiorno.

Tra il 2001 ed il 2010, infatti, il PIL del Mezzogiorno si è ridotto dello 0,3% a fronte di una crescita del 3,5% del Centro-Nord.

E’ a rischio la coesione del Paese.

Gli esiti deludenti di larga parte delle politiche d’intervento storicamente praticate per il Mezzogiorno devono portare ad  una nuova stagione di scelte.

Scelte per la tutela rigorosa della legalità e della sicurezza e per meccanismi di premialità/sanzione dell’operato delle pubbliche amministrazioni ai fini della maggiore produttività della spesa pubblica, a partire dai fondi comunitari.

 “Piano per il Sud” o “Piano EuroSud” che sia,  si mettano a frutto le risorse disponibili.

Nel Mezzogiorno, vanno anzitutto rafforzate le dotazioni infrastrutturali per l’accessibilità logistica dei suoi territori,   e le reti per la propagazione dell’innovazione e per il potenziamento del capitale umano: banda larga; scuola, Università e processi di formazione continua.

Su queste basi, va rafforzata la  competitività dell’offerta produttiva dell’area: nella filiera agroalimentare e nel turismo, nel commercio e nei servizi, nel sistema manifatturiero.

Tutela della legalità e della sicurezza, dicevo. Nel Mezzogiorno e nell’Italia tutta.

E’ una nostra fondamentale richiesta.

E’ un nostro fondamentale impegno. Il rigoroso codice etico di Confcommercio-Sicilia ne è la riprova.

Rigore: contro il racket delle estorsioni e contro la criminalità organizzata; contro la criminalità diffusa e contro il cancro della corruzione: una “tassa immorale ed occulta”, stimata dalla Corte dei Conti nell’ordine di 50/60 miliardi di euro all’anno.

Su questo terreno, va costantemente rafforzato l’impegno nostro e di tutte le forze sociali. Vanno sviluppate tutte le azioni di collaborazione con le istituzioni e, certo, non possono essere lesinate le risorse necessarie per la più efficace azione delle forze dell’ordine e della magistratura. Vanno riformate  norme ed organizzazione, a partire dall’organizzazione della giustizia civile.

Vanno affrontate, con severità e determinazione, anche le patologie dell’abusivismo e della contraffazione.

Alterano mercato e concorrenza, alimentano economia sommersa e lavoro nero.

“Debellandole – ricordiamo nel nostro documento – il circuito legale dell’economia registrerebbe un incremento di valore aggiunto tra i 18 ed i 25 miliardi di euro”.

Particolarmente oggi, la crescita dell’Italia richiede anche una rafforzata collaborazione tra imprese e sistema bancario.

Ci ritroviamo insieme sulle ragioni della crescita del Paese.

Possiamo e dobbiamo ritrovarci insieme, quotidianamente e concretamente.

Per promuovere i contratti di rete ed  il rafforzamento  patrimoniale delle imprese.

Per la modernizzazione del sistema dei pagamenti, riducendo costi e commissioni della moneta elettronica.

Soprattutto, quotidianamente e concretamente, bisogna lavorare  per agevolare l’accesso al credito e per contrastare gli effetti restrittivi dei parametri di Basilea 3.

E per valorizzare, intanto, il ruolo dei consorzi fidi  e del Fondo centrale di garanzia.

Peccato che, proprio rispetto all’esigenza di agevolare l’accesso al credito e in questa delicatissima fase, si sia proceduto in controtendenza, riducendo la dotazione di risorse per l’attività del Fondo. 

E’ una decisione che chiediamo al Governo di rivedere con urgenza.

Ho tentato, fin qui, una sintesi della nostra proposta di scelte per la crescita del Paese.

E’ una rassegna che chiudo segnalando anche il tema delle riforme istituzionali: dal Senato federale alla razionalizzazione dei livelli di governo.

Per ridurre i costi della politica  e soprattutto perché – come evidenziamo nel nostro documento – “istituzioni solide e credibili …incrementano il livello e la dinamica del prodotto potenziale, favoriscono propensione imprenditoriale, investimento di capitale di rischio, innovazione”.

Riforme istituzionali e riforma della rappresentanza politica, anche mediante una legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere gli eletti in Parlamento.

Per rinnovare l’etica pubblica, per ricostruire credibilità e fiducia: la fiducia degli italiani, la fiducia internazionale nei confronti dell’Italia.

Agire è urgente, drammaticamente urgente a centocinquant’anni dall’Unità.

Non possiamo e non dobbiamo soggiacere a “commissariamenti” e “protettorati”: europei o franco-tedeschi che siano.

Non possiamo e non dobbiamo lasciare senza risposta “l’indignazione” dei giovani.

Senza alcun giustificazionismo, i violenti vanno isolati e le violenze vanno prevenute e punite.

Perché, in un Paese normale, non sono ammissibili e tollerabili auto date alle fiamme, piazze e centri storici devastati, negozi a saracinesche abbassate o, addirittura, assediati e distrutti.

Ma, per il futuro dell’Italia e delle sue giovani generazioni, occorrono risposte politiche.

Due milioni di giovani che non studiano e che non lavorano sono una dissipazione di energie e di capitale umano, che un’Italia in via di rapido invecchiamento non può assolutamente permettersi.

Anche per questo, “è importante – come ha scritto il Governatore Draghi – che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani”.

Perché risanamento della finanza pubblica e crescita sono il bene comune dell’Italia, e condizione di una cooperazione europea che chiede a ciascuno di fare la propria parte: tutta e sino in fondo.

Noi – insieme alle altre forze sociali ed imprenditoriali, insieme a tutti gli italiani di buona volontà – ne siamo convinti.

E chiediamo, dunque, al Governo di confrontarsi con le nostre proposte e di agire.

Di agire presto e bene, entro ed oltre il perimetro del decreto per lo sviluppo.

Perché si deve aprire un ciclo nuovo di politiche e di riforme a sostegno della crescita.

Di riforme, a partire dalla riforma fiscale.

Di politiche, perché non tutto può essere risolto a costo zero e, con attenta selezione e misura, le risorse necessarie vanno assicurate.

Non è facile, certo.

Ma l’itinerario, le tappe ed i tempi del cammino per la crescita devono essere chiarissimi e serratissimi.

Procrastinare non giova.

E’ bene, invece, che le decisioni necessarie, a partire dal completamento della riforma della previdenza, siano assunte con urgenza.

Lo chiede l’Europa.

E, soprattutto, lo chiede – tutta insieme – quell’Italia produttiva, di cui le nostre imprenditrici, i nostri imprenditori e le nostre imprese dei servizi sono tanta parte e parte protagonista e propulsiva.

Riforme e politiche per la crescita, dunque.

Chiediamo che si realizzino, assicurando al Paese quella governabilità  responsabile ed ambiziosa di cui vi è, oggi, assoluta necessità ed urgenza.

Una governabilità che non può considerarsi automaticamente garantita dal ricorso ai voti di fiducia e dalla ricorrente verifica della sussistenza di una maggioranza parlamentare pur che sia.

E’ una governabilità che, piuttosto, deve tradursi in capacità “di operare – cito dalla nota del Presidente Napolitano rilasciata dopo la mancata approvazione dell’articolo 1 del Rendiconto Generale dello Stato – con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come le decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei”.

Chiediamo questa governabilità e questa coesione.

Le chiediamo – anzitutto, soprattutto – a chi oggi governa. Le chiediamo alla politica tutta.

Per parte nostra, scegliamo il “campo” degli interessi generali del Paese.

E saremo sempre con tutti coloro che si ritroveranno in questa scelta di responsabilità repubblicana.

Se questa scelta di responsabilità prevarrà e saprà battere in breccia privilegi e rendite di posizione, sterili muscolarità di confronto e faziosità, attendismi, opportunismi e pigre indifferenze, non abbiamo dubbi: il declino dell’Italia non ci sarà.

Se questa scelta di responsabilità prevarrà e saprà mobilitare le energie del lavoro e delle imprese, rinvigorendo coesione sociale, territoriale e generazionale, non abbiamo dubbi: l’Italia saprà onorare i suoi impegni e   tornerà a crescere.

Prevalga questa responsabilità.

Noi - noi che conosciamo l’impegno e  la fatica del fare impresa, il rischio quotidiano del confronto con il mercato e la durezza dei tempi di crisi, la necessità di non demordere e l’esigenza di cambiare ed innovare – lo chiediamo.

Lo chiediamo in tanti ed a gran voce. 

Chiediamo un’Italia unita e protagonista in un’ Europa più unita e più protagonista.

Anzitutto, l’Italia, dunque. Anzitutto, l’Italia, il suo futuro ed il futuro dei suoi giovani

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