"Governare l'energia: proposte e indirizzi di intervento per una riforma strutturale del sistema"

"Governare l'energia: proposte e indirizzi di intervento per una riforma strutturale del sistema"

Roma, 8 marzo 2007

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8 marzo 2007

Cari amici, signore e signori,
desidero innanzitutto ringraziare il mio amico Risaliti, che con la Commissione per le politiche energetiche di Confcommercio ha contribuito alla realizzazione di questo incontro, i Presidenti Callera e Curcio per il loro contributo di approfondimento, il Presidente Ortis ed i parlamentari presenti per aver accettato l'invito a discutere su di un tematica che incide profondamente sulla competitività dell'intero Paese.

Perché un sistema energetico efficiente – in termini di costi, accessibilità, funzionalità delle reti, sistema regolatorio – costituisce, per le ricadute che ha su famiglie e imprese, uno dei fattori più determinanti per "liberare" la nostra economia dalla trappola della crescita lenta.

Il nostro Paese non può continuare a sostenere una fattura energetica, stimata intorno ai 50 miliardi di euro per il 2006, che frena la ripresa e contribuisce ad aggravare le difficoltà delle imprese e i bilanci delle famiglie con pesanti ricadute in termini di spesa per consumi.

Per queste ragioni e considerando che l'Italia ha tutte le convenienze a giocare un ruolo di primissimo piano in Europa in termini sia propositivi ma soprattutto in termini infrastrutturali, Confcommercio ha voluto – attraverso la presentazione del proprio "Manifesto" – porre l'attenzione sull'importanza di una nuova politica energetica in Italia, che sia in grado di garantire a imprese e famiglie approvvigionamenti energetici sicuri, economici e sostenibili.

La preoccupazione sull'attuale assetto del mercato energetico italiano d'altronde è una preoccupazione sulla quale oggi sembra esserci una attenzione condivisa fra schieramenti politici e parti sociali, e che ha trovato posto nell'agenda politica nazionale ed internazionale.

Nell'annunciata terza ondata di liberalizzazioni, è notizia di oggi, troveranno spazio interventi sull'energia.

E noi ce lo auguriamo, perché garantire approvvigionamenti economici, vorrei ricordarlo, era uno dei pilastri fondamentali per cui si sono intrapresi i processi di liberalizzazione.

Liberalizzazioni che nel nostro Paese stentano ancora a dare risultati tangibili.

Nonostante i numerosi interventi normativi che hanno consentito in questi anni di raggiungere obiettivi importanti, l'avanzare del processo di liberalizzazione del settore energetico appare infatti ancora connotato da forti elementi di criticità.

L'aver tutelato i propri "campioni" sul mercato domestico ha determinato uno svantaggio per i consumatori finali, che avrebbero altrimenti beneficiato di una maggiore pluralità di operatori dal lato dell'offerta.

Ne è una dimostrazione il fatto che i prezzi italiani, cito il caso dell'energia elettrica, sono tra i più cari a livello europeo. Il 36% in più rispetto alla Germania, il 70% in più rispetto alla Spagna e più del doppio rispetto alla Francia.

Anche in ambito europeo assistiamo ad un processo di liberalizzazione adottato con velocità differenziate: da qui la necessità di promuovere una politica delle fonti di energia e di sviluppo delle infrastrutture coordinata a livello comunitario.

Di fatto, più che parlare di "mercato europeo dell'energia" sarebbe più corretto parlare di una pluralità di mercati nazionali.

La creazione di un libero mercato dell'energia non dipende però solo dal suo effettivo grado di apertura, ma anche dalla liberalizzazione dell'accesso alla rete e dalla realizzazione di interventi infrastrutturali coordinati a livello nazionale ed europeo, che non possono più essere rimandati.

E i motivi dei ritardi accumulati fin'ora non possono essere attribuiti solamente a una mancanza di risorse – poiché gli operatori sono pronti ad investire in nuove reti alla luce della domanda di mercato – bensì, più in generale, a problemi di carattere politico.

La creazione di nuove infrastrutture si scontra, infatti, sempre più spesso, con la necessità di mediare tra l'interesse generale, comunitario o nazionale, e le resistenze locali.

A tal fine aiuterebbe sicuramente semplificare le procedure, ma non è sufficiente. Occorre infatti realizzare un accordo generale, non solo con tutte le forze politiche e sociali, ma anche e soprattutto, con le realtà locali, con le quali condividere i principi di una nuova politica volta ad assicurare al Paese una energia sicura, affidabile, economica e non inquinante.

Il completamento del processo di liberalizzazione del mercato dell'energia richiede, anche, una maggiore chiarezza nell'attribuzione delle diverse competenze legislative tra i vari livelli istituzionali.

Con la legge costituzionale di modifica del Titolo V della Costituzione, in riferimento alla politica energetica si pongono numerosi e complessi problemi applicativi che andrebbero prontamente affrontati.

La devolution energetica, infatti, nel regionalizzare le competenze in materia di elettricità, gas, gestione delle risorse minerarie e degli impianti produttivi, si muove in evidente controtendenza rispetto alla naturale dimensione sovranazionale che il fenomeno dovrebbe necessariamente avere.

Non si tratta di voler sottrarre competenze agli enti locali, perché le regioni dispongono di spazi rilevanti di intervento, soprattutto sulle attività idroelettriche e sulle fonti rinnovabili, attività tipicamente locali, rivolte al consumo immediato di utenti ubicati nelle vicinanze e fortemente incentivate se non addirittura finanziate in toto da progetti comunitari o nazionali.

Al contrario, una gestione esclusivamente regionalistica dell'energia non consentirebbe l'ottimizzazione e la salvaguardia delle risorse e la copertura dei livelli minimi di fabbisogno energetico del Paese.

Inoltre, sarebbe scarsamente compatibile con la progressiva ed auspicata integrazione europea dei mercati e delle relative strategie politiche.

Temi, che non a caso, insieme alle energie rinnovabili e alla limitazioni di gas a effetto serra, sono proprio oggi all'attenzione del Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea.

L'auspicio è che in quel contesto possano emergere le esigenze di una rinnovata politica energetica che tenga conto anche di una diversa struttura economica e imprenditoriale dei Paesi membri e dell'Italia in particolare.

Perché mentre è ampiamente noto l'apporto del terziario alla formazione del prodotto interno lordo (si parla mediamente di un contributo dell'ordine del 65%), poco conosciuta è, invece, l'incidenza delle imprese terziarie in termini di consumi energetici.

Gli ultimi dati disponibili mostrano che, pur se i livelli di consumo delle singole aziende non sono generalmente elevati, in termini di consumi aggregati il terziario rappresenta, nel caso dell'energia elettrica, circa un quarto del totale della domanda nazionale, con un trend peraltro in progressivo aumento.

A questo si collega un'ultima valutazione: l'energia, nelle sue diverse forme, non è un prodotto "neutro" ai fini delle entrate dello Stato, ma non lo è nemmeno per il sistema economico e imprenditoriale.

Perché la piccola e media impresa, che noi rappresentiamo, subisce un prelievo fiscale, anche sull'energia, squilibrato rispetto alla grande impresa.

Anche per questo reputo sia arrivato il momento di procedere ad un'opera di razionalizzazione normativa e fiscale che si ponga come obiettivo quello di coniugare il risparmio energetico, la diversificazione delle fonti, l'efficienza energetica.

Ridurre i prezzi dell'energia, assicurando una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti, è un obiettivo realizzabile in pochi anni. Ciò, tuttavia, richiede una programmazione strategica di lungo periodo e un mix di interventi accuratamente calibrato e, soprattutto, profondamente condiviso.

Grazie

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