Legalità e sicurezza: insieme per 'liberare' le imprese dalla criminalità

Legalità e sicurezza: insieme per 'liberare' le imprese dalla criminalità

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18 ottobre 2007

Cari amici,
perché oggi – qui, a Palermo, in Sicilia – questo incontro sui nodi urgenti e drammatici della tutela della legalità e della sicurezza, della prevenzione e del contrasto di ogni forma di criminalità?

Perché vorremmo che non fosse l'ennesimo incontro sul tema. E perché dunque, per quel che ci compete, parte – da Palermo, dalla Sicilia – una grande iniziativa nazionale di Confcommercio, al fine di liberare, come recita il titolo del convegno, le imprese dalla criminalità. Un'iniziativa nazionale, che parte da Palermo e dalla Sicilia.

È un punto che voglio sottolineare, perché non c'è dubbio sul fatto che legalità e sicurezza siano ormai questioni nazionali.

Ma è altrettanto certo che rafforzare legalità e sicurezza sia ancor più nel Mezzogiorno condizione sostanziale, prerequisito essenziale per costruire maggior crescita e sviluppo.

E quindi affrontare e vincere nel Mezzogiorno la sfida della criminalità, mettendo in campo una robusta e condivisa cultura della legalità, è oggi determinante non solo per il Mezzogiorno, ma per l'intero Paese.

Recentemente, un acuto analista – Luca Ricolfi – ha indicato nella divaricazione fra tre modelli sociali e territoriali il principale rischio per l'unità del Paese: la società delle garanzie e dei garantiti; la società del rischio di coloro che, senza ammortizzatori sociali, si confrontano ogni giorno con il mercato e con la competizione; la società della forza, in cui la criminalità organizzata controlla parti significative del territorio e dell'economia.

Sconfiggere questa società della forza significa allora lavorare contemporaneamente per il bene del Mezzogiorno e per l'unità del Paese.

È, del resto, un punto che, sul terreno dell'analisi economica, emergeva già in una ricerca del Censis di qualche anno fa. Il Censis, infatti, stimava che senza il peso del "tasso di zavorramento mafioso annuo dell'economia meridionale" sarebbe già stato possibile colmare – nel ventennio compreso tra gli anni '80 e i primi anni duemila – il divario, il ritardo di crescita tra il Mezzogiorno e le altre aree territoriali del Paese.

Mi sembra utile recuperare questa stima perché questo zavorramento si è prodotto attraverso una sorta di politica economica della criminalità organizzata, costruita attraverso il ricorso a più leve.

La leva di "rendita" del racket delle estorsioni; il canale dell'usura come mezzo per l'acquisizione progressiva del controllo diretto delle attività produttive; il riciclaggio internazionale dei capitali "sporchi"; il circuito dell'economia della contraffazione; l'infiltrazione nel sistema della spesa pubblica.

Una spesa pubblica gestita con troppi varchi aperti all'influenza delle relazioni privilegiate e che richiede, invece, un impegno politico determinato ed una forte vigilanza della società civile, affinché la sua qualità e la sua produttività contribuiscano al rafforzamento del capitale sociale del Mezzogiorno.

È un punto capitale alla vigilia dell'ultimo ciclo delle politiche europee di coesione, che mobiliteranno, tra il 2007 e il 2013, cento miliardi di euro.

Sono tanti soldi, pari ogni anno al 5% del PIL del Mezzogiorno. Soldi da spendere nel Mezzogiorno. Ma occorre che siano soldi ben spesi, spesi cioè per il Mezzogiorno.

Ma, allora e in definitiva, su cosa puntiamo, quali risorse mobilitiamo per sconfiggere la sfida della criminalità, per alimentare il circuito virtuoso fra legalità e sicurezza, crescita e sviluppo?

La risposta – se volete – è, almeno nella sua prima parte, scontata. Perché si tratta di lavorare, anzitutto, per una più forte cultura della legalità ma per far questo bisogna rendere più immediatamente percepibile non solo il dovere etico e giuridico di questa cultura, ma anche la sua concreta possibilità e – dirò così – la sua "convenienza" individuale e collettiva.

Necessità di legalità, dunque. Ma anche possibilità e convenienza della legalità.

Anche noi e anche in occasione di questo incontro, abbiamo proposto dati e analisi quantitative sui numeri, ad esempio, delle denunce per i fatti di estorsione e di usura e stime sul numero degli imprenditori colpiti.

È giusto farlo, perché si tratta di patologie da tenere sempre sotto controllo.

Ma, in realtà, noi già sappiamo che, in ogni caso, sono troppi gli imprenditori colpiti e troppo pochi gli imprenditori che denunciano.

Ecco il problema concreto con cui tutti – istituzioni, politica, associazioni – dobbiamo confrontarci.

Sapendo che va certamente ribadito che denunciare è un dovere. Ma con la consapevolezza del fatto che dir questo spesso non basta.

E che – ad esempio – i numeri delle denunce cresceranno e cresceranno significativamente solo nel momento in cui istituzioni, politica e associazioni riusciranno a far sì che il diritto alla serenità dell'imprenditore e dovere sociale non siano i poli alternativi di un dilemma.

E perchè il dilemma non vi sia e la scelta di legalità sia netta, è necessario anzitutto che sia chiaro a ciascuno che – di fronte alla minaccia, alla richiesta estorsiva – non si è soli.

Che si può contare, invece, sulla trama fitta di una rete di supporto fondata sulla collaborazione tra forze dell'ordine, magistratura, associazioni. E che questo supporto rende possibile e normale dire "no".

Ecco il punto: dire "no" deve essere possibile e normale. E dire "no" – in un Paese "normale" – è anche una scelta vantaggiosa: per l'attività d'impresa, per la sicurezza personale, familiare e di chi con noi collabora.

La possibilità, la normalità, la convenienza di questo "no" richiede, allora, che vadano avanti, si consolidino, si sviluppino, si mettano a sistema tutte le esperienze fin qui realizzate all'insegna della cooperazione tra funzione pubblica ed iniziativa organizzata dei privati: protocolli territoriali per la legalità, la sicurezza e lo sviluppo; accordi quadro di programma tra amministrazioni centrali e territoriali; costituzione delle associazioni come parti civili, e partendo dalll'esperienza consolidata quale quella siciliana, Confcommercio da oggi si costituirà parte civile in tutta Italia nei processi contro gli estorsori; affinamento delle normative antiracket ed antiusura e, in particolare, ampliamento dei termini per l'accesso da parte delle vittime ai benefici di legge; accelerazione delle procedure di confisca dei beni sequestrati ai mafiosi.

E, insieme, la possibilità, la normalità, la convenienza del dire "no" richiede scelte per un decisivo miglioramento di tutti gli indicatori di deterrenza: dalla percentuale delle forze dell'ordine presenti sul territorio al tasso di impunità; dalla severità delle condanne alla durata effettiva delle pene; dalla durata dei processi alla maggiore efficienza organizzativa delle grandi agenzie pubbliche produttrici di sicurezza e di giustizia: apparati investigativi, forze dell'ordine, magistratura.

Richiede, dunque, scelte politiche. Sul piano delle regole, così come su quello delle risorse.

Siamo in tempi di critica della politica. Se ne censurano costi e privilegi.

Il problema più urgente è, però, quello della produttività della politica. È cioè quello della sua capacità di costruire risposte alle emergenze del Paese, rafforzando così la vicinanza sua e delle istituzioni ai cittadini.

I cittadini chiedono legalità e sicurezza. È una richiesta urgente, cui è doveroso rispondere presto e bene. È una risposta che deve venire da tutti coloro che ne hanno possibilità e responsabilità, ed anzitutto dalla politica.

Se poi fosse una risposta – come oggi si usa dire - bipartisan, davvero tanto meglio.

La risposta necessaria è – a nostro avviso – quella della "tolleranza zero". Quella, cioè, che si fonda su una rigorosa simmetria fra diritti e doveri di cittadinanza.

Il che, ovviamente, non vuol dire mettere tutto sullo stesso piano.

Vuol dire, invece, che, sempre e comunque, affermare e costruire cultura della legalità è il miglior modo per prevenire illegalità e insicurezza.

Da parte delle istituzioni e anche da parte delle associazioni.

Giusto dunque – anche da parte delle associazioni – "sanzionare" incertezze e cedimenti nei confronti di sfide e minacce della criminalità.

Ma ancor più giusto e doveroso è far sì che di queste incertezze e cedimenti ve ne siano sempre di meno, informando ed aiutando le imprese nel dire "no". Perché è giusto e necessario, ma anche perché è possibile e conveniente.

È giusto e necessario: perché è un dovere morale e giuridico. È possibile: perché non si è soli. È conveniente: perché ci si sottrae alla morsa di una criminalità che inibisce crescita e sviluppo.

In quest'ottica, le politiche per la sicurezza e la legalità si integrano con quelle per la crescita e lo sviluppo.

Per questo motivo è necessario costruire, nel Mezzogiorno, quelle "zone franche urbane", in cui incentivare, sostenere l'insediamento di attività produttive, anche attraverso una mirata fiscalità di vantaggio; sostenere la necessità di pubbliche amministrazioni efficienti; operare una decisa semplificazione amministrativa; migliorare la qualità nel rapporto tra banca e impresa.

Insomma - anche nel Mezzogiorno e soprattutto nel Mezzogiorno – una buona politica e una buona politica economica riconoscono che legalità e sicurezza sono requisiti indispensabili per la crescita e lo sviluppo.

Resistendo alla criminalità e contribuendo, nei fatti, a quella cultura della legalità, in cui non c'è spazio per "favori" o relazioni privilegiate e c'è, invece, tanto esigibilità di diritti, quanto assolvimento di doveri.

La scelta per la legalità è, dunque, la scelta per lo sviluppo. Sempre e comunque. Senza se e senza ma.

Legalità e sicurezza sono il miglior incentivo per la crescita e lo sviluppo, perché sono davvero straordinari – dal punto di vista economico e sociale – gli effetti moltiplicatori della fiducia in un presente e in un futuro semplicemente "normale".

Chi oggi fa impresa – a Palermo, in Sicilia, nel Mezzogiorno – lo ha chiaro, lo ha sempre più chiaro.

Anche in queste ultime settimane, le cronache raccontano di quanto sia pressante la sfida criminale nei confronti delle imprese. Ma raccontano, anche e sempre di più, di imprenditori che scelgono di dire "no".

Lo fanno con coraggio. Ma lo fanno anche reclamando il diritto alla "normalità" del "no".

Quanto più sapremo agire – tutti e ciascuno nel proprio ruolo e per la propria parte di responsabilità – per questa normalità, tanto più efficacemente contrasteremo la criminalità e costruiremo legalità e sicurezza, crescita e sviluppo.

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