"NO DAY"

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Salerno, 29 maggio 2003

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29 maggio 2003
Intervento di Sergio Billè

Intervento di Sergio Billè

Salerno, 29 maggio

Il Mezzogiorno si trova oggi, anche in conseguenza delle nuove rotte assunte dall’economia internazionale, su una specie di  crinale:  può  scivolare indietro perdendo  molto di quel terreno faticosamente conquistato in questi anni, ma  ha anche l’opportunità, se gli si darà una buona spinta, di scendere, invece, dall’altra parte del pendio accelerando così il suo processo di sviluppo.

E dargli finalmente questa spinta che gli consenta di andare avanti e non indietro significa oggi fare soprattutto tre cose:

-1- accelerare gli investimenti nel campo delle infrastrutture dando ad essi, nel quadro della programmazione dell’economia nazionale, l’assoluta priorità. Il che significa fare meno chiacchiere e più fatti concreti, meno demagogia e  più progetti esecutivi e maggiori risorse per attuarli in tempi brevi. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, infatti, che, senza  infrastrutture di base, il Mezzogiorno è destinato, nel giro di pochi anni, per quanto riguarda competitività e capacità di sviluppo, a subire, nel quadro dell’economia europea ora allargata anche ai paesi dell’est, un ulteriore e rapido declassamento ed impoverimento. E sperare che possa essere l’Unione europea ad affrontare e risolvere questo problema mi sembra davvero pura utopia. Primo, perché Bruxelles ha già praticamente deciso di dirottare verso i paesi dell’Est europeo almeno l’80% dei fondi strutturali che fino ad ora erano stati destinati al Mezzogiorno e il cui impiego per altro - anche questo va detto - non è servito, se non in minima parte, al potenziamento delle infrastrutture. Secondo, perché, nel processo di rapido allargamento dell’Europa, gran parte dei capitali  esteri verranno dirottati in quei paesi che,  producendo a costi minori, potranno essere assai più remunerativi per gli investitori.

-2- Operare in modo che le  misure e gli interventi  che si intendono programmare per lo sviluppo siano più mirati e cioè sfruttino maggiormente le vere potenzialità oggi offerte dall’economia meridionale. Per anni, anzi decenni, incentivi e aiuti sono finiti nelle tasche di imprese che, non avendo possibilità di sviluppo, hanno aperto e poi chiuso i battenti nel giro di pochi mesi. Con il risultato che questi operatori, una volta intascati i soldi, visto che non producevano risultati, hanno poi preferito fare le valigie ed investire da qualche altra parte. Dovrebbe essere chiaro come il sole che sono soprattutto le imprese del terziario di mercato e quelle del turismo in particolare ad avere oggi, nel Mezzogiorno, maggiori e più concrete possibilità di rapido sviluppo. E’ il loro forte potenziamento che ha permesso, ad esempio, alla Spagna, non solo di ridurre le sacche di sottosviluppo ma di far crescere anche del 26%, in pochi anni, grazie soprattutto alla voce turismo, il prodotto interno lordo del paese. Da noi, invece, sembra persistere una programmazione “a volo cieco” per cui aiuti, misure ed incentivi vengono spesso, troppo spesso paracadutati da alta quota e in base a mappe non funzionali allo sviluppo dell’economia ma solo di tipo clientelare con il risultato che essi si spargono a pioggia,  ovunque, anche in fossi, anfratti e caverne che rendono quasi  impossibile il loro recupero.

O la politica cambia davvero rotta o per il Mezzogiorno non ci sarà via di scampo: avremo imprese sempre meno competitive, scarsa produzione di ricchezza, sempre meno risorse da investire in tecnologie e formazione, disoccupazione giovanile con tassi da terzo mondo. E’ stato calcolato - lo ha fatto in tempi recenti l’Ocse - che il nostro Mezzogiorno potrebbe, dal punto di vista economico, fare un vero salto di qualità se riuscisse, in pochi anni, ad almeno raddoppiare le entrate derivanti dal turismo. E queste entrate diventerebbero, proprio perché producono nuova ricchezza e maggiore occupazione, una valida piattaforma per la costruzione di un sistema imprenditoriale che possa diventare competitivo anche in molti altri settori. Non lo si sta facendo e l’economia meridionale rischia di restare la Cenerentola d’Europa.

3- E non si può non parlare della grave carenza dei servizi. Non esiste, ad esempio, in tutta la Campania uno stabilimento per la trasformazione dei rifiuti urbani in energia. In Italia ve ne sono in tutto 46, meno della metà di quelli esistenti, in Francia ma , in tutto il Sud, ce ne sono soltanto tre e , come ho detto, nessuno in Campania che, invece, ha il primato delle discariche a cielo aperto, quelle che non producono nulla, anzi sono causa di gravi e quasi insanabili disservizi. Perché nella parte d’Italia a più alta densità di popolazione non si sia pensato ancora di costruire questi stabilimenti potrebbe sembrare un mistero. E, invece, mistero non è perché, intorno a queste discariche ad alto tasso di inquinamento, si sono sedimentati, negli anni, gli interessi di chi - parlo soprattutto delle grandi organizzazioni criminali - non ha alcun interesse che si sviluppi un moderno sistema di servizi. L’esempio delle discariche mi permette di introdurre, quindi, quella che considero la terza priorità cioè una lotta più serrata, più motivata e più efficace alle organizzazioni criminali. Che esse non vogliano un Sud che risolva il problema della disoccupazione giovanile e che affronti e risolva il problema di una maggiore distribuzione della ricchezza è un fatto ormai assai noto. E il motivo è assai semplice: fino a quando - e mi riferisco proprio alla provincia di Salerno - il tasso di disoccupazione giovanile supera il 48%, più del doppio della media nazionale, esse possono utilizzare il latente ma corposo dissesto del tessuto sociale per allargare l’area del loro potere e per dettare quindi le loro regole al mercato. C’è il sospetto - ed è ormai più che un sospetto - che su molti degli appalti che restano a mezz’aria, su molte opere infrastrutturali iniziate da tempo ma che poi restano sempre al primo mattone o al primo chilometro di asfalto, su reti portuali che ingoiano risorse ma che non sono mai agibili vi sia ancora e sempre la loro lunga mano. La stessa mano, del resto, che stringe oggi, come in una morsa, una parte delle strutture commerciali, la stessa mano che, attraverso strumenti come il racket e l’usura, toglie energie e una grande quantità di risorse al sistema economico. Queste sono diventate purtroppo le “infrastrutture” oggi più diffuse in buona parte del Mezzogiorno e, fino a quando non riusciremo a distruggerle, sarà difficile costruirne di vere, quelle che oggi sono indispensabili per lo sviluppo.

Ormai, anche da questo punto di vista, è una lotta contro il tempo perché fino a quando esisteranno quel tipo di “infrastrutture” e non quelle di un sistema moderno, i capitali, nel mezzogiorno, non metteranno purtroppo piede.

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