"NO DAY"

"NO DAY"

Savona, 10 marzo 2003

DateFormat

10 marzo 2003
Intervento di Sergio Billè

“No day” - Intervento di Sergio Billè

 

Savona, 10 marzo

 

Ci saranno pure dei motivi per i quali  in Germania, in Olanda, nella stessa Francia, molti giovani decidono, assai più di quanto non accada oggi in Italia,  di diventare imprenditori o di subentrare al timone di piccole aziende gestite dai genitori e parenti.

Si tratta di motivi plausibili sui quali è necessaria un’attenta riflessione.

Il primo è che le nuove generazioni che approdano al mondo del lavoro, non solo con un tasso di scolarizzazione assai maggiore delle generazioni precedenti, ma anche con un bagaglio di conoscenze e di esperienze che ha consentito loro di vedere come, al di fuori dei nostri confini, funziona il sistema economico e quello imprenditoriale in particolare, hanno un più che giustificato timore di assumersi, in proprio, tutti i rischi che, invece, tuttora comporta l’operare, con responsabilità primarie, all’interno del sistema imprenditoriale italiano.

Danno un’occhiata ad Internet, fanno i dovuti confronti, danno un’occhiata alle ricerche che documentano l’evidente gap che esiste, a questo riguardo, tra il nostro sistema e quello di altri paesi e ,una volta tirate le somme, preferiscono tentare altri sbocchi, prendere altre strade meno rischiose.

Sentono dire che, ad esempio, in Germania il disbrigo delle pratiche amministrative per la conduzione e la gestione di una piccola impresa richiede un giorno di lavoro l’anno e non 37 come in Italia e scappano. Si accorgono che, in Italia, sul reddito di una piccola impresa, la pressione fiscale incide per più del 53% e che di veri incentivi non vi è, da parte dello Stato, nemmeno l’ombra e fuggono altrove. Scorrono l’elenco delle imposte locali a cui una piccola impresa è sottoposta e cadano loro le braccia. Si informano sulle vessatorie norme imposte , in Italia, dalle  banche per l’accensione di un credito che serva all’avviamento di una nuova attività imprenditoriali o all’attuazione di un suo programma di sviluppo e preferiscono gettare la spugna. Prendono visione della serie sterminata di lacci e laccioli che condizionano , nel nostro paese, i rapporti di lavoro e………e dicono: ma chi me lo fa fare di aprire un’attività nella quale poi il mio potere di gestione è condizionato in modo così abnorme?

E, infine, sentono parlare di questo referendum che , se venisse approvato, toglierebbe alle piccole imprese anche quel sia pure piccolo margine di flessibilità concesso dallo Statuto dei lavoratori e…….

E’ vero che l’imprenditoria giovanile ha fatto, in Italia, rispetto a dieci anni fa, qualche passo avanti, ma ne avrebbe potuto fare assai di più e in ogni direzione se il nostro sistema si fosse realmente adeguato, come hanno fatti molti altri paesi, alle esigenze di un’economia che oggi cammina, anzi corre su binari , con strutture , nel contesto di leggi che sono profondamente cambiate.

Per evitare che i giovani non si accorgano della sostanziale differenza che oggi esiste tra il sistema italiano e quello degli altri paesi, bisognerebbe togliere loro il passaporto impedendo loro di poter fare confronti. E, invece, i giovani, com’è giusto, viaggiano con occhi bene aperti, valutano e confrontano e quando tornano a casa si chiedono a che titolo il nostro paese fa parte dell’Europa avendo esso leggi, infrastrutture, politiche, sistemi fiscali, burocrazia, costi amministrativi che gli altri paesi che si trovano al di là dei nostri confini hanno abbandonato da tempo.

Ecco il vero nodo da sciogliere e può darsi che, prima o poi, venga sciolto e che, prima o poi, si arrivi veramente ad una sostanziale modernizzazione del nostro sistema. Ma quando tempo ci vorrà per realizzarla? Un’altra generazione o forse due cioè quando noi giovani saremo già vecchi?

Quel che più preoccupa i giovani è l’assenza di una reale democrazia di mercato cioè di un sistema in cui lo spirito di iniziativa, le capacità individuali, la preparazione non solo contino veramente qualcosa, ma siano adeguatamente valorizzate e supportate da un sistema che punti davvero al rinnovamento.

Da questo traguardo il nostro sistema è purtroppo ancora lontano anni luce. E questo determina un gap che frustra i giovani, li demotiva, li porta a non puntare mai in alto.

Un gap che costringe alla disoccupazione il 20% dei giovani anche di alta scolarità, 20% che, nelle regioni meridionali, supera addirittura il 53%.   

Siamo dunque ad una equazione irrisolvibile? Noi continuiamo a sperare di no. Ma , per risolverla, occorre davvero un salto di corsia, un processo radicale di modernizzazione del sistema, una politica che dia alle nuove generazioni la voglia ma anche gli strumenti, i mezzi, un nuovo contesto di leggi e di indirizzi che consentano loro di credere nel domani.

E tutto ciò vuol dire consolidare il principio della libera concorrenza, realizzare programmi di formazione che siano realmente- oggi non lo sono affatto- adeguati alle esigenze di un sistema economico che, con quello di dieci- vent’anni fa, ha ormai poco da spartire, creare strutture che consentano alle donne che intendono entrare e poi emergere nel mondo del lavoro di poter operare ad armi pari. Non c’è, in questo paese, solo un’atavica e ormai decisamente antistorica tradizione da estirpare -  quella che relega la donna a forme di lavoro solo subordinato o addirittura marginale , ma anche l’esigenza di creare infrastrutture che consentano loro di esprimere tutte le loro significative potenzialità. Basta un dato per esemplificare questo problema: l’Italia oggi dispone di una percentuale di asili nido del 32% inferiore a quella della Francia e addirittura del 40% inferiore a quella della  Germania. Nel meridione, poi, gli asili nido continuano ad essere una rarità oltretutto assai costosa.

Provo a tirare le conclusioni. I giovani imprenditori e le giovani imprenditrici sono l’unica opportunità, l’unica chance di cui dispone  questo paese per poter puntare allo sviluppo e alla competizione sui mercati. La profonda e forse irreversibile crisi in cui versa oggi il sistema delle grandi imprese non consente ormai molte altre alternative. Ma bisogna dare ai giovani qualche sostanziale motivazione per gettarsi in questa difficile impresa: meno burocrazia, più attenzione da parte dello Stato, più incentivi, meno tasse ,più infrastrutture. Non si opereranno questi cambiamenti, se il sistema , anziché continuare a guardare al passato, non si occuperà soprattutto di loro, il destino di questo paese appare segnato. Diventerà un paese suddito dell’Europa, un paese di co.co.co cioè di giovani che, pur di sopravvivere e di sbarcare il lunario, finiranno per mettere da parte sogni e ambizioni coltivate in anni di studio per accettare alla fine un tipo di lavoro che spegnerà il loro entusiasmo.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca