"NO DAY"

"NO DAY"

Arezzo, 22 maggio 2003

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22 maggio 2003
Intervento di Sergio Billè

 “Mettendo a confronto  dati e  previsioni sull’andamento dell’economia che, in queste ore, ci giungono  dagli Stati Uniti e dall’Europa con quelli che ci ha appena fornito l’Istat  tutto credo che si possa fare meno che guardare al futuro, almeno a quello più prossimo, con ottimismo. Se,infatti, la Federal reserve di Greenspan non si sente di escludere a priori il rischio che si possa aprire, per l’economia americana, una fase di deflazione, la Germania ce l’ha già praticamente dentro  casa e per l’Italia purtroppo appare ormai dietro l’angolo. E’ come se si fosse improvvisamente “imballato” il motore dello sviluppo che , per alcuni anni, il processo di globalizzazione dei mercati aveva mostrato di saper far funzionare a pieni giri.

Le cause le conosciamo fin troppo bene, ma a preoccuparci sono gli effetti che il prolungarsi di questa situazione potrà produrre, anzi, di fatto, sta già producendo sulla nostra economia. Anche la riduzione di un decimo di punto del nostro tasso di inflazione registrata nel mese di maggio, dal 2,7 al 2,6 per cento, è solo uno zuccherino agrodolce perché se, da un lato, assorbe la diminuzione del costo del petrolio- e speriamo che essa possa continuare nel tempo ma , per come vanno le cose, non ne siamo affatto certi-- dall’altro, è un  indice rilevatore della  dinamica dei nostri consumi oggi inferiore a quella di tutti gli altri paesi europei ad eccezione della Germania.

E’ come se il nostro sistema economico fosse stretto in una morsa: da una parte, esportazioni in caduta libera a causa sia della supervalutazione dell’euro rispetto al dollaro sia della sempre più scarsa competitività di molti dei prodotti offerti sui mercati internazionali, dall’altro, consumi delle famiglie che si mantengono a livelli assai bassi e che, per quanto riguarda i beni durevoli, appaiono ancora pressocchè fermi.

E’ come se l’auto della nostra economia si trovasse ferma ad un crocevia il cui semaforo segni sempre rosso.

E’ evidente che un giorno o l’altro, un anno o l’altro, potrà scattare di nuovo il verde, ma non è ancora  chiaro quali saranno i tempi di attesa perché questa situazione finalmente si sblocchi. Basteranno sei mesi o ce ne vorranno di più?

La speranza che possa essere l’Europa a risolvere i nostri problemi  mi sembra, allo stato delle cose, abbastanza illusoria. Primo, perché è ormai dimostrato che non esiste ancora una struttura politica europea che sia veramente in grado di fare delle scelte precise che possa realmente incidere sulle politiche nazionali. L’auto dell’Europa è dotata di un freno ben oleato e fin troppo funzionante- la Bce, da un lato, il Patto di stabilità, dall’altro- ma non dispone ancora né di un volante né tanto meno di un acceleratore.

Il Patto di stabilità, in particolare, si sta rilevando una specie di “garrota” che sta mettendo a dura prova, anzi soffocando le economie di tutti i paesi europei. E’ uno strumento che è stato certamente utile ma che ora va sostanzialmente revisionato e adattato alle esigenze di una congiuntura che , per essere affrontata, ha bisogno di strumenti che consentano maggiori e assai più flessibili margini di manovra.

Insomma, per certi versi, la struttura è ancora un modello da esposizione ma non ancora in grado di mettere le ruote su strada.

Secondo, perchè , insieme ai problemi imposti da questa negativa congiuntura, il nostro sistema deve ancora risolvere gran parte dei suoi problemi di carattere strutturale ed è pura utopia pensare che possa essere l’Europa a risolverli per noi.

Ecco perché credo che per il nostro paese sia arrivato il momento di mettere da parte le polemiche e di trovare il modo , possibilmente tutti insieme e comunque con il concorso anche delle parti sociali che in questo paese contano ancora qualcosa, di uscire da questa specie di lungo ed oscuro tunnel nel quale ci siamo infilati.

Nessuno mette in dubbio la necessità di adempiere agli impegni, anzi agli obblighi che l’Europa ci impone per il risanamento della nostra finanza pubblica. Questo, anzi, deve restare un obbiettivo che non va perso mai di vista. Ma, al tempo stesso, è indispensabile adottare misure che, prima di tutto, servano ad aprire l’unica valvola che ci è rimasta, quella del rilancio della domanda interna e ciò non sarà possibile fino a quando le famiglie, oltre che le imprese,non riacquisteranno un po’ di fiducia sulle possibilità di sviluppo della nostra economia.

Oggi questa fiducia non c’è ed è questo , a mio giudizio, l’elemento che dovrebbe preoccuparci di più.

Da ormai quasi due anni il governo ha fatto una serie di interventi per l’ammodernamento delle imprese manufatturiere, ma non si capisce a cosa siano servite tutte queste erogazioni di denaro se poi queste imprese continuano ad avere magazzini pieni di merci e di prodotti che nessuno poi ha intenzione di comprare.

Ecco perché credo che il governo debba finalmente cambiare modelli di intervento preoccupandosi più delle condizioni di un malato che non riesce più a mettere i piedi fuori dal letto che dello stato di salute dei medici che gli stanno intorno.

E, con il governo, anche tutti gli operatori della  sfera politica , della maggioranza ma anche della opposizione, dovrebbero cambiare il tipo di approccio con questa realtà.

L’italiano medio è, infatti, sempre più disorientato, direi frastornato da un confronto politico nel quale si parla di tutto meno che degli effetti  che questa crisi economica, che ormai dura da un pezzo, sta avendo sulle sue tasche:erosione del potere di acquisto, risparmi che si accumulano ma che non si sa più dove investire in modo redditizio, aumento generalizzato delle tariffe e dei costi dei servizi di base, notevole appesantimento di tutte le imposte locali, prospettive di lavoro sempre più difficili e che si allontanano nel tempo.

Per far svoltare la nostra economia bisogna prima di tutto  aggredire e risolvere  questi problemi che sempre di più assillano ogni giorno la famiglia media italiana. Poi verranno i problemi della giustizia, anch’essi importanti ma che, rispetto a quelli che ho prima enunciati, appaiono secondari e così pure altre riforme, compresa quella delle pensioni che è certo urgente, anzi basilare ma che , per essere davvero attuata e non diventare fumo di Londra ha bisogno che nel paese si ricostituisca prima di tutto quel clima di fiducia e di consenso nelle istituzioni che oggi sembra essersi offuscato, anzi, direi, perso per strada.

Credo che l’accidentato  percorso che si tentò di seguire , all’inizio di questa legislatura, per la riforma dell’articolo 18 e che , pur producendo milioni e milioni di ore di sciopero, si è rivelato poi sostanzialmente inconcludente, dovrebbe aver insegnato a tutti, anche al governo,qualcosa.

Evitiamo di ripetere errori del genere e ricominciano a fare del dialogo sociale la struttura portante di ogni iniziativa che si intenderà intraprendere.

Cominciamo ad occuparci per prima cosa di quel che sta avvenendo nell’animo ma soprattutto nelle tasche degli italiani e poi sarà assai più facile risolvere tutto il resto.

E sono appuntamenti già in scadenza perché di questi problemi soprattutto dovrà occuparsi, a nostro giudizio, il documento di programmazione economica e finanziaria che il governo si accinge ad elaborare. Diamo alle famiglie più certezze e si spianerà anche il discorso , anch’esso ineludibile, sulle riforme di sistema che questo paese deve realizzare. Cominciano a restituire alle famiglie il mal tolto e cioè dar loro, in primo luogo, una migliore e meno oppressiva giustizia fiscale e poi tutto risulterà più facile.

Perché dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che , se non si procederà prima di tutto ad una riduzione della pressione fiscale, per le imprese come per le famiglie, questo paese è destinato a non andare più da nessuna parte.

Perché , diminuendo la produzione di ricchezza, diminuiranno le entrate dello Stato e quindi non si saprà dove trovare le risorse che oggi sono necessarie , da un lato, per la realizzazione delle infrastrutture necessarie oggi come il pane e, dall’altro, per ridare  a tutto il  sistema quella competitività che oggi sembra essersi persa per strada.

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