"NO DAY"

"NO DAY"

Livorno, 23 maggio 2003

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23 maggio 2003
Livorno , 23 maggio

Mi sembra che le  analisi che da più parti si stanno facendo, in lungo e in largo, sulle cause della  crisi  della nostra economia e sugli effetti che essa sta producendo, anche se, dal punto di vista teorico, sono in buona parte condivisibili, mostrano, invece, nel concreto, un difetto di fondo: peccano di astrattezza. Si occupano  molto della sorte di chi vive nei piani alti, magari all’attico, e assai poco di chi, invece, è costretto a vivere altrove. Molto della grande finanza e dei circoli che ruotano intorno ad essa e assai poco, quasi per nulla, invece, di chi, ad esempio, sta dentro un negozio o un grande magazzino e continua a non vedere più entrare clienti. Analisi  che si occupano di grandi cifre, ma poco o per nulla di quelle quattro lire in croce che costituiscono  oggi il bilancio di ogni famiglia e di ogni operatore commerciale e che, con l’andare del tempo, stanno diventano tre o addirittura due.

Insomma ci si presenta un tipo di analisi che somiglia troppo ad una specie di quadro cubista che potrà anche essere apprezzato dagli intenditori ma nel quale, invece, famiglie ed operatori economici oggi stentano a riconoscersi, anzi non si riconoscono affatto.

Ed è questo il nocciolo della questione che oggi abbiamo di fronte.

Nessuno nega il fatto che questa crisi viene da lontano ed è stata in buona parte prodotta da fattori e circostanze che noi, in alcun modo, abbiamo potuto determinare (terrorismo, crisi dell’economia americana, implosione di quella europea, stallo dei mercati asiatici, ecc. ecc.) ma il problema  è che non si sta facendo o si sta facendo troppo poco per aiutare famiglie ed imprese non solo a superare questo difficile momento ma ad infondere ad esse un po’ di ottimismo su quelle che potranno almeno essere le prospettive future.

Così le famiglie, non sapendo più che cosa potrà riservare il domani, hanno chiuso i boccaporti: spendono il necessario - beni alimentari e poco d’altro - e, come le formiche, accumulano risparmi in attesa che passi questo lungo inverno. Risultato, una caduta quasi verticale dei consumi e un calo della produzione di ricchezza di questo paese come non si vedeva da molti anni.

Ecco perché sostengo che queste analisi, invece, di partire dalla testa, dovrebbero partire dai piedi cioè da quel che sta avvenendo sul mercato.

Perché una cosa dovrebbe essere chiara a tutti: se la caduta delle esportazioni, dovuta ai ben noti fattori, dovesse a lungo sommarsi anche a quella dei consumi interni, sarà difficile che la nostra economia possa riprendere la via dello sviluppo. Primo, perché diminuendo i consumi, diminuirebbero le entrate dello Stato e quindi le risorse necessarie per gli investimenti e le riforme, secondo, perché c’è il rischio che questa crisi di fiducia da momentanea diventi cronaca e si prolunghi nel tempo modificando, in peggio, il rapporto tra consumatori e mercato.

Credo quindi che questo sia il problema che vada affrontato dal governo con assoluta priorità perché solo rigenerando la fiducia nelle famiglie si può rimettere oggi in moto la macchina della nostra economia. Se si rigenererà questa fiducia e se le famiglie torneranno a spendere, vi saranno non solo benefici per tutte le imprese, da quelle manufatturiere a quelle di mercato, ma anche per chi, nel governo, ha davvero intenzione di portare finalmente a casa le riforme e con esse la riforma del sistema.

Senza la benzina dei consumi, l’auto delle riforme rischia di restare ferma per strada chissà per quanto tempo ancora. Ed è un rischio che dobbiamo proprio evitare.

 

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