"NO DAY"

"NO DAY"

Firenze , 3 marzo 2003

DateFormat

3 marzo 2003
Intervento di Sergio Billè

"No Day" - Intervento di Sergio Billè

Firenze , 3 marzo

 

 

Il sistema turistico italiano potrebbe dare assai di più in termini di valore aggiunto e di occupazione se tutte le sue iniziative non fossero costrette a passare attraverso quello stretto collo di bottiglia rappresentato dalla burocrazia, dalla grave carenza di infrastrutture, dall’alto costo dei servizi di base e da tasse ed imposte locali che, per volume ed entità, non hanno eguali in Europa, una strozzatura che pesa oggi, sul nostro turismo, per almeno un miliardo e mezzo di euro l’anno, tremila miliardi delle vecchie lire. E l’alternativa è ormai una sola: o si abbattono queste barriere o il turismo italiano corre il serio rischio di essere surclassato, nel medio periodo, da paesi come la Cina oggi in grado di produrre un’offerta turistica che ha costi del 50% inferiori ai nostri o come la Spagna dove l’impresa turistica è riuscita ad ottenere dal governo sostanziali misure di defiscalizzazione.

Un esempio che vale per tutti è quello della burocrazia e delle pratiche amministrative a cui un’impresa turistica deve far fronte in Italia. Questi adempimenti richiedono, per le piccole imprese, solo qualche giorno in Germania contro i 35 giorni dell’Italia con un costo che, in Germania, non supera mediamente i 500 euro contro i 1.620 euro necessari in Italia. In Francia, per gli stessi adempimenti bastano due settimane con un costo di soli 213 euro. In Gran Bretagna sono addirittura a costo zero.

Insomma è il peso della burocrazia che continua a fare, purtroppo a nostro danno, la differenza e, se non si eliminerà questo gap, sarà difficile per il nostro turismo migliorare il suo tasso di competitività e quindi poter puntare allo sviluppo.

Un altro dato anch’esso significativo: in Italia, tasse ed imposte gravano sul reddito di un’impresa turistica mediamente per circa il 50% contro il 34,33% della Francia, il 38,36 della Germania, il 35% della Spagna e il 30% della Gran Bretagna. Si può andare avanti così?

E parliamo pure di opere pubbliche e di infrastrutture che, per il turismo, sono necessarie come il pane. Gli investimenti che sono stati realizzati in quest’area incidono per il 2,5% sul Pil della Francia, il 2,6% su quello della Germania, il 3,7% su quello della Spagna, il 6,1% su quello portoghese ma solo dell’1,5% sul prodotto interno lordo italiano. Difatti i più recenti studi calcolano che la carenza di infrastrutture pesa per il 19% in Francia e per il 61% in Italia, paese ancora spaccato in due nel senso che questa carenza pesa solo per il 29% nel Nord contro il 71% delle aree centro-meridionali.

E parliamo, infine, del costo dei servizi di base facendo un solo esempio, quello della tariffa per la raccolta dei rifiuti urbani che entrerà in vigore dal primo gennaio 2004 e che prevede un aumento di questa imposta, per le imprese, mediamente del 340% con punte che raggiungono il 556%.

E non è finita qui. Il costo della riforma federalista cioè il passaggio di nuovi poteri e competenze alle Regioni si prevede che non sia inferiore ai 60 miliardi di euro, 120 mila miliardi di lire, una spesa ingentissima per fronteggiare la quale solo in minima parte si potrà ricorrere alle casse dello Stato. Il che significa che la maggior parte delle strutture locali dovrà pagare, in buona parte, di tasca propria questa riforma. E come se non recuperando altre risorse dal mercato e quindi imponendo tariffe e costi più elevati?

E ancora, dovendo Stato e regioni sopportare un simile onere aggiuntivo, dove si pensa, da un lato, di trovare i 47 miliardi di euro necessari per l’attuazione, entro il 2005 della riforma tributaria e dall’atro, di comprimere la spesa in modo da ridurre il rapporto debito/Pil che c’è stato imposto dall’Unione Europea?

Nessuno di noi intende fasciarsi la testa prima di averla rotta e quindi fare del pessimismo o del catastrofismo di maniera. E’ pur vero, però, che o si allargherà e in fretta questo collo di bottiglia o le prospettive di sviluppo della nostra impresa turistica avranno, nel tempo, a causa anche della sempre più pressante concorrenza che verrà da altri paesi, margini ridotti.

Il freno maggiore viene dalla troppo elevata imposizione fiscale perché non è proprio più possibile stornare allo Stato o agli enti locali più del 50% del proprio reddito senza neanche avere in cambio strutture amministrative efficienti, infrastrutture degne di questo nome, una programmazione che punti allo sfruttamento delle enormi potenzialità offerte, in varie forme, dal turismo su tutto il nostro territorio.

 

Una riflessione, infine, sul mercato del lavoro che ci riconduce anche all’iniziativa del "No Day" da noi assunta, insieme con tutte le altre associazioni imprenditoriali, per impedire che divengano legge le proposte avanzate nel referendum.

Se, sciaguratamente, passasse questa riforma, più del 90% delle nostre imprese turistiche si vedrebbero costrette o a ridimensionare l’area delle loro attività o a ricorrere maggiormente a quelle forme di lavoro precario oggi consentite dalla legge.

Ma c’è anche il rischio che molte imprese, giudicando ormai insopportabili tutti questi nuovi oneri, decidano di fare un salto verso l’economia illegale o addirittura verso il sommerso.

E questo proprio nel momento in cui – e lo dice non solo l’Istat ma lo confermano tutti i più importanti istituti di analisi - le uniche imprese che stanno producendo nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato sono proprio quelle dei servizi o che operano nell’area del turismo.

O qualcuno ancora rincorre il sogno di una ripresa, in grande stile, della grande industria italiana? Sarà tanto se essa riuscirà, nei prossimi anni, a tamponare, per non farle diventare voragini, le falle che, per quanto riguarda gli investimenti e quindi l’occupazione, si sono aperte negli ultimi anni. Ma oltre a questo, non si può sperare altro.

E allora Istituzioni, forze politiche ma anche sindacati dovrebbero finalmente convincersi che non è più tempo di bastonare o di snobbare l’unica parte dell’economia italiana che dimostra, nei fatti, di avere reali possibilità di sviluppo. Sarebbe, per l’economia italiana, un vero e proprio suicidio.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca