"Verso una società multiculturale: le complessità di una risorsa"

"Verso una società multiculturale: le complessità di una risorsa"

Firenze, 21 settembre 2007

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24 settembre 2007
QUANTO HAI GUADAGNATO

Cari amici e colleghi, autorità, signore e signori, sono particolarmente contento di poter intervenire oggi a questo dibattito perché come già hanno sottolineato alcuni dei relatori che mi hanno preceduto sono molti gli aspetti che questo tema riveste per il mondo imprenditoriale.

La popolazione straniera presente in Italia ha conosciuto un continuo aumento, passando da poco più di mezzo milione di presenze nel 1993, a più di 3 milioni di presenze attuali di cittadini stranieri: più del 5% della popolazione Italiana; in alcune province oltre  il 10%.

I dati demografici vanno letti però da diverse angolazioni.

Innanzitutto bisogna considerare che esiste una diversa, diversa in quanto relativamente nuova, categoria di consumatori ed utenti: non si può infatti ignorare l’impatto degli stranieri - portatori di nuovi bisogni e di servizi - sul mercato.

Un mercato che si sta gradatamente riposizionando â€" basti pensare allo spazio crescente dedicato ai prodotti “etniciâ€� nei supermercati e al proliferare di botteghe  specializzate e di ristoranti dedicati alla cucina straniera.

 

Ma ci troviamo di fronte anche ad una crescente presenza di lavoratori, e soprattutto di lavoratori dei quali le nostre imprese hanno sempre più bisogno: solo per il prossimo anno sono più di 270 mila gli stranieri che le aziende italiane hanno in animo di assumere. È quindi alta la richiesta di lavoratori immigrati da parte delle imprese italiane. Con modalità, quali  l’impiego di  manodopera stagionale, che raggiunge i 90.000 ingressi l’anno, vitali per alcuni settori che necessitano di elevata flessibilità, come il turismo, che assorbe il 40% del totale degli ingressi, oltretutto concentrati in sole 4 regioni.

 

Per questo motivo è positivo che il governo si stia incamminando su una strada che  va verso il  controllo e l’indirizzo del fenomeno immigrazione, con l’abbandono di logiche burocratiche non flessibili, per dare al mondo  delle imprese e delle famiglie che hanno bisogno di assumere lavoratori stranieri, regole semplici e tempi certi e compatibili, con il pieno coordinamento tra le strutture della pubblica amministrazione interessate.

 

Seguiamo con particolare  attenzione e favore una politica di ingressi ordinati ed accompagnati da sistemi di orientamento e formazione, anche nei paesi di origine, con l’obiettivo di superare la logica delle sanatorie che incoraggiano inutilmente drammatici viaggi della speranza e favoriscono le organizzazioni criminali.

Così come crediamo che ormai siano maturi i tempi per rinunciare all’individuazione di quote per i lavoratori stagionali ed un ripensamento di alcune norme che non hanno motivo di essere, come quella prevista nella riforma dell’immigrazione relativa al finanziamento dei programmi di rimpatrio volontario ed assistito con i contributi dei datori di lavoro.

 

Inoltre, anche se è vero che spesso i lavoratori stranieri sono occupati con qualifiche medio basse, non dobbiamo permetterci il lusso di perdere lavoratori ad elevata professionalità, per i quali occorre prevedere una corsia preferenziale, o degli “sportelli� dedicati, al di fuori di logiche legate a quote e flussi.

E’, quindi, prioritaria - e lo ribadisco, in tal senso, meritoria, l’iniziativa che ci vede qui riuniti oggi - la prosecuzione dell’attività di consultazione delle Parti sociali, che possono fornire un contributo non solo sui fabbisogni di manodopera straniera, ma per la individuazione di quei requisiti essenziali che ne permetteranno l’assorbimento da parte del tessuto sociale del nostro Paese.

Perché il Paese ha bisogno del più ampio confronto, senza pregiudizi, fra tutte le componenti della società, che aiutino ad adottare politiche mirate  a realizzare l’integrazione degli immigrati in Italia.

 

Come dimostra un altro aspetto collegato all’immigrazione e fortemente significativo, quello della  diffusione dell’imprenditoria straniera in Italia: nel 2006 le ditte individuali con un titolare extracomunitario erano quasi 230.000, il 6,6% del totale, con una crescita, rispetto al 2005, superiore al 12%. Il commercio anche in questo caso risulta essere il settore trainante con circa 95 mila imprenditori, che rappresentano oltre il 40% del totale.

 

E’ un fenomeno, e per questo lo cito,  quello dell’imprenditoria straniera, che costituisce la nuova frontiera dell’immigrazione, perché non vi è dubbio che inserirsi nel tessuto economico da protagonisti, seppur con piccole attività, facilita i processi di integrazione e di acquisizione, non solo formale, di un “diritto di cittadinanza� ad alto valore aggiunto.

 

E’ una sfida, questa, che in una realtà come quella milanese - dove la percentuale delle ditte individuali con titolare straniero è del 12,7%,  il doppio  rispetto alla media italiana â€" è stata colta già da tempo attraverso la collaborazione fra istituzioni, organizzazioni  imprenditoriali, sindacali e del lavoro autonomo, prima con l’organizzazione di corsi per imprenditori stranieri e poi, dal 2005 con la costituzione dell’Asiim, l’Associazione per lo sviluppo dell’imprenditorialità immigrata che opera come centro formativo, di servizi e di stimolo nei confronti di enti pubblici e privati per iniziative mirate.

 

E l’esperienza di Milano non è certo un caso isolato  di attenzione verso l’imprenditoria straniera: qui a Firenze la Confcommercio regionale dedicherà a questo tema un incontro di approfondimento la prossima settimana.

E proprio qui in Toscana, così come in altre regioni dove la presenza degli immigrati è particolarmente massiccia, si manifesta una sofferenza che non si può tacere o liquidare come generica intolleranza. 

Mi riferisco a quei fenomeni legati soprattutto all’immigrazione clandestina, fenomeni che inquinano il tessuto imprenditoriale attraverso la diffusione del lavoro nero e dell’abusivismo, rendendo, conseguentemente, difficile e talvolta precaria l’attività quotidiana delle imprese per gli effetti indotti dalla concorrenza sleale e dalla conseguente evasione contributiva e fiscale. Fenomeni che si accompagnano, talvolta, inutile negarlo, a veri e propri episodi di criminalità, che si traducono in un deterioramento della vivibilità delle aree urbane per i cittadini e in una perdita di “appeal� per il turismo.

 

E questo il nostro Paese non può permetterselo.

 

Grazie.

 

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