3) LA SINTESI DELLA RICERCA

3) LA SINTESI DELLA RICERCA

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5 agosto 2008

RAPPORTO SULL’ITALIA DEL “DISAGIO INSEDIATIVO” 1996/2016

 

Eccellenze e ghost town nell’Italia dei piccoli comuni

 

a cura di Serico – Gruppo CRESME 

 

Sintesi del Rapporto

Roma, 6 agosto 2008

 

QUALE ITALIA DEL DISAGIO INSEDIATIVO?

·        Nella presente indagine troviamo una analisi storica e di previsione - attraverso l’applicazione del complesso approccio statistico neurale, che ha ordinato l’universo degli 8.101 comuni italiani analiticamente indagati attraverso 36 variabili.

 

·        una forbice sempre più aperta e dunque sempre più difficile da utilizzare, segnata dalla lama dell’eccellenza - dei territori che hanno saputo fare rete e sistema - e dalla lama del disagio, dei comuni destinati all’estremo declino e, senza i necessari interventi, all’estinzione, come le ghost town, città fantasma dell’età dell’oro.

 

·        L’Italia del “Disagio insediativo” nell’anno 2006:

§         3.556 comuni su 8.101 (di cui 3.408 con meno di 10mila abitanti)

§         128 mila kmq pari al 42,5% del territorio italiano

§         8,7 milioni di abitanti

§         una media di 2.500 residenti per comune.

 

·        Un fenomeno che da territori marginali o marginalizzati di piccola dimensione si estende a territori di più ampie dimensioni a causa di diverse criticità, in particolare quella legata alla popolazione residente: non sono più solo i piccoli comuni ad essere a rischio disagio insediativo, ma oltre la metà dei comuni italiani con meno di 10.000 abitanti.

 

·        E’ un disagio che si allarga e che si estende, visto che nel 1996 i comuni in disagio erano 2.830 con una superficie di circa 100mila kmq e una popolazione di 5 milioni di abitanti.

 

·         E’ un disagio che, secondo proiezioni indicative, sembra crescere nel tempo, poiché in assenza di interventi potrebbe interessare fino a 4.395 comuni nel 2016, con 158 mila kmq e 14,1 milioni di abitanti coinvolti (un quarto della popolazione nazionale).

I comuni a disagio insediativo: dinamica 1996-2016

 

Comuni interessati

Superf. territ.le in kmq.

Popolazione
< 14 anni

Popolazione
 15 - 64 anni

Popolazione
> 65 anni

Popolazione
totale

1996

2.830

100.764

876.395

3.235.763

946.688

5.058.846

2001

3.292

115.508

1.047.675

4.399.385

1.430.625

6.877.685

2006

3.556

128.114

1.298.754

5.622.023

1.781.942

8.702.719

2011

3.959

139.775

1.443.538

7.479.786

2.548.371

11.471.695

2016

4.395

158.398

1.496.145

9.194.128

3.458.338

14.148.611

Fonte: Serico – Gruppo Cresme

MA QUALI SONO I CARATTERI DEL DISAGIO?  

·        Le condizioni strutturali che portano al disagio non sono date solo da una debolezza insediativa della popolazione residente (calo delle nascite, aumento della popolazione anziana, ecc.) ma anche da condizioni evidenti di depauperamento delle potenzialità produttive e di depotenziamento dei propri talenti, con indici soprattutto economici che mettono in luce una condizione di debolezza strutturale di queste aree;

·        vi è una debolezza intrinseca rappresentata anche dallo scarso appeal che queste stesse aree, poco vitali dal punto di vista produttivo, esercitano sull’esterno e dunque sulla capacità di attrarre e accogliere nuovi cittadini, nuovi abitanti, nuove famiglie ed imprese;

·        sono territori che non riescono a promuovere una propria identità turistica, nonostante una dotazione del sistema dell’offerta che supera ampiamente la domanda generata.

·        In questo quadro generale emerge anche l’accentuazione del divario Nord-Sud e una sorta di radicalizzazione delle differenze non tanto tra montagna, collina, pianura e città, quanto all’interno delle medesime categorie, ovvero tra montagna ricca e montagna impoverita, tra collina valorizzata e collina dimenticata, tra città al passo con i cambiamenti imposti dall’economia della globalizzazione e città in forte ritardo.

ll dato più rilevante nel confronto 1996/2006 è che in un decennio è aumentata in modo consistente la dimensione media dei comuni coinvolti da fenomeni di disagio insediativo. Vale a dire che in dieci anni si è allargato non solo il numero di comuni coinvolti, e relativo territorio e popolazione interessata, ma aumentando la dimensione media è cresciuta la soglia critica al di sotto della quale si realizzano e si evidenziano le condizioni del disagio insediativo.

Il che equivale a dire che il disagio insediativo non è più solo un fenomeno circoscritto a territori marginali o marginalizzati di piccola dimensione, ma si allarga e si estende a territori di più ampie dimensioni. Ciò si deve, come si vedrà nel prosieguo dell’indagine, indubbiamente ad un allargamento e ad una diffusione maggiore delle condizioni di precarietà legate al depauperamento territoriale dovuto alla diminuzione dei servizi alle persone e alle imprese, oltre a fenomeni di aggravamento di negative condizioni strutturali della popolazione, come ad esempio un elevato indice di vecchiaia e un basso valore della natalità e dell’immigrazione.

Le analisi prodotte hanno consentito di individuare che il 95,4% dei comuni in disagio insediativo, ben 3.408 su 3.558 totali, hanno meno di 10.000 abitanti, evidenziando come tale valore possa essere considerato una soglia dimensionale critica.

I comuni in disagio abitativo con meno di 10.000 abitanti rappresentano:

·        il 42,1% dei comuni italiani;

·        il 49% di tutti i comuni italiani con popolazione residente fino a 10.000 abitanti (il che significa che circa la metà dei comuni italiani con popolazione fino a 10.000 abitanti si colloca nell’area del disagio);

·        il 37,4% della superficie territoriale italiana;

·        il 10,4% della popolazione italiana, quota che sale all’11,9% per gli over 65, una percentuale superiore del 15% alla media italiana;

·        il 4,6% degli stranieri residenti, un valore percentuale inferiore alla metà di quello della poplazione, a testimonianza della limitata accoglienza che questi comuni esprimono, ovvero della difficoltà di queste aree di accogliere immigrati anche stranieri, i quali preferiscono altre aree più favorevoli dal punto di vista lavorativo;

·        il 7,9% del reddito totale prodotto in Italia, pari ad una redditività media inferiore del 24% rispetto al totale nazionale.

In tali comuni, dal punto di vista dello stato sociale:

·        è presente un tasso migratorio del 23% inferiore alla media nazionale, il che evidenzia una limitata vitalità insediativa data da minori spostamenti e movimenti della popolazione;

·        si evidenzia una diminuzione consistente degli alunni che frequentano le scuole materne, passati in sette anni dal 15,3% del totale nazionale al 9,6%;

·        le entrate totali sono pari al 10,3% del totale nazionale, un valore omogeneo a quello della popolazione, ma le entrate tributarie sono pari solo al 5,7% del totale nazionale, segno di un ingente peso dei trasferimenti;

·        è localizzato il 23,2% delle pensioni di invalidità italiane e il 21,2% degli importi;

·        è presente solo l’1,6% dei posti letti negli istituti di cura pubblici e privati;

 

mentre dal punto di vista del sistema economico:

·        si riscontrano 23 milioni di presenze turistiche ufficiali, pari al 6,8% del totale nazionale, un valore molto inferiore all’8,7% della ricettività alberghiera media nazionale, al 14,9% di quella extralberghiera e addirittura al 27,7% della disponibilità ricettiva nelle abitazioni per vacanza, a testimonianza di una difficoltà di promozione del territorio a fini turistici;

 

·        sono presenti 610mila unità locali produttive, pari al 10,1% del totale nazionale (in linea con la quota della popolazione) ma nelle quali è occupato solamente il 4,7% degli addetti, il che evidenzia una capacità occupazionale pari alla metà della media nazionale;

 

·        sono presenti 136mila unità locali al commercio, pari al 7,8% del totale nazionale, alle quali corrispondono il 3,7% degli addetti nazionali al commercio, il che evidenzia una debole presenza del sistema del commercio e dei negozi di prossimità;

 

·        sono presenti il 24,3% delle partite Iva nelle imprese in agricoltura, un dato questo che evidenzia la forte dipendenza dal sistema produttivo primario per queste aree;

 

·        sono registrati 3,85 milioni di contribuenti, in linea con il peso demografico, i quali tuttavia apportano il 6,9% dell’ammontare della contribuzione, con un differenziale negativo rispetto alla media nazionale del 32%, ovvero ogni contribuente traduce in reddito 68 euro contro i 100 della media nazionale;

 

·        gli indicatori bancari evidenziano una diffusa difficoltà economica; sono infatti presenti depositi bancari pari a 20,2 miliardi di Euro, pari solo al 2,9% degli oltre 690 miliardi del totale nazionale; la propensione al deposito è ridotta dell’86% rispetto al reddito prodotto, ed il tasso di incidenza degli impieghi bancari non supera lo 1,1%.

 

Tutti questi indicatori evidenziano un sistema articolato e diffuso di disagio insediativo, che mette in luce come l’Italia sia un territorio fortemente differenziato, all’interno del quale convivono ambiti socioeconomici in grave crisi, insieme ad altrettanti ambiti territoriali nei quali si è in grado di utilizzare a pieno i propri talenti, producendo ricchezza e garantendo dunque un futuro alle famiglie e ai residenti.

 

La presenza così ampia e diffusa di un sistema di comuni in disagio insediativo è ulteriormente rafforzata dalla lettura dei dati relativi solo ai comuni con meno di 5.000 abitanti. Questo ulteriore approfondimento è stato prodotto al fine di evidenziare la componente più debole del disagio. Infatti se la media nazionale della popolazione per comune si aggira intorno ai 7.250 abitanti, quella relativa alla popolazione media nei comuni del disagio insediativo è pari a 2.500 abitanti. In sostanza il valore di 5.000 abitanti si inserisce come livello intermedio tra una soglia limite al di sotto della quale si possono creare con più facilità le condizioni del disagio.

Approfondimento: i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti

 

Un approfondimento dell’analisi ai comuni con meno di 5.000 abitanti conferma quanto affermato. Sono infatti 3.145 i comuni con meno di 5.000 abitanti con presenza di disagio insediativo, ovvero il 38,8% dei comuni italiani e l’88,4% dei comuni con meno di 10.000 abitanti. L’aspetto dimensionale è dunque profondamente connesso con l’area del disagio. In questi comuni:

-          risiede il 7,4% della popolazione;

-          a fronte del 7% della popolazione sotto i 14 anni di età è presente il 9% del totale nazionale degli over 65, un valore superiore di oltre il 20% alla media italiana;

-          risiede solo il 3,5% dei residenti stranieri;

-          si esprime un reddito che influisce a livello nazionale solo per il 5,8%, con una redditività media delle zone a disagio inferiore del 22% rispetto al totale Italia;

-          è in diminuzione la percentuale di studenti che frequentano la scuola dell’obbligo, pari al 6% della popolazione nazionale a fronte dell’8% di soli 7 anni prima;

-          si rileva una presenza pari allo 0,8% dei letti negli istituti di cura pubblici e privati;

-          si localizza il 17,5% delle pensioni di invalidità italiane e il 15,9% degli importi;

-          si realizza solo il 4,3% delle entrate tributarie a fronte di un valore omogeneo al peso demografico per le entrate totali (8,3%); evidenziano ancora una volta l’ingente peso dei trasferimenti;

-     si riscontrano 19 milioni di presenze turistiche ufficiali, il 5,6% del totale nazionale; tra le forme extralberghiere sono funzionanti il 17,5% degli agriturismo italiani e il 21% della disponibilità ricettiva nelle abitazioni per vacanza nazionale; ciò sottolinea la scarsa utilizzazione patrimoniale;

-          sono presenti 445mila unità locali (il 7,3% del totale nazionale) ma è occupato solamente il 3,6% degli addetti; un indice che evidenzia una minore capacità occupazionale rispetto alla media nazionale;

-          sono presenti solamente 90mila unità locali al commercio, pari al 5,2% del totale nazionale ma solo il 2,4% degli addetti nazionali, evidenziando una netta rarefazione occupazionale e dell’offerta;

-          sono registrati 2,83 milioni di contribuenti, un valore in linea con il peso demografico, che  apportano il 5,1% dell’ammontare della contribuzione, mettendo in evidenza una differenza media rispetto al totale nazionale del 32%.

-          si esprimono depositi bancari pari solo all’1,9% del totale nazionale, con una propensione al deposito ridotto dei due terzi rispetto al reddito prodotto, ed un tasso di incidenza degli impieghi bancari che non supera lo 0,7%.

 

QUALI SONO I FATTORI CHE CONSENTONO AI PICCOLI COMUNI DI COMPETERE?

 

  • Le condizioni dello sviluppo, e quindi le condizioni dell’assenza di disagio insediativo, derivano soprattutto dalla capacità dei singoli territori di “offrire” sé stessi, nel rispetto delle proprie vocazioni/tradizioni e nel rispetto del rapporto con le proprie “doti” ambientali, insediative, economiche, culturali. In sostanza nel rispetto e nell’applicazione di quelle che Richard Florida chiama le “tre T”: tecnologia, talento, tolleranza.[1]

 

  • Analogamente a quanto avviene in natura, laddove la ricchezza è data dalla biodiversità, si può affermare che una ricchezza insediativa fortemente differenziata come quella italiana è una componente di qualità dell’insediamento e della potenzialità del territorio e dunque va tutelata. Come la biodiversità, dobbiamo tutelare la sociodiversità.

 

·        La quasi totale assenza di disagio di alcune aree e il miglioramento delle condizioni in alcune altre (tutto l’asse della pianura padana e in particolare la grande conurbazione nord-lombarda, il nord est e le regioni del centro – Toscana, Umbria e Marche – con l’esclusione del Lazio) si deve al modello di sviluppo – reticolare e diffuso sul territorio – che è stato capace di creare una pervasività, una condivisione, una capacità di internalizzazione delle potenzialità locali che è diventato il vero punto di forza dello sviluppo economico e insediativo locale. Come avevamo già affermato nell’indagine del 2001, “qui il territorio è connesso”. In sostanza laddove il territorio è riuscito a proporre, a produrre, a mettere in atto, sinergie locali costruendo sistemi-rete, decentramenti produttivi, attrattività insediativa, diffusione turistica, si è sviluppata una maggiore diffusione del benessere, anche se in alcuni casi con effetti che potranno essere apprezzati solo nel lungo periodo.

 

·        Infatti i territori che presentano situazioni di eccellenza – oltre ad alcuni comuni per i quali l’eccellenza primaria è data quasi esclusivamente dalla localizzazione territoriale – dimostrano una spiccata vocazione:

    • alla promozione turistica naturalistica e di svago;
    • al sostegno delle tradizioni locali;
    • alla peculiarità e valorizzazione dei propri prodotti tipici;
    • all’assunzione di una propria vocazione e centralità nel sistema locale del lavoro;
    • alla capacità di utilizzare l’innovazione tecnologica e produttiva per competere sui mercati internazionali attraverso la creazione di nuovi prodotti e nuovi servizi;
    • alla capacità di attivare un sistema di servizi alle persone e alle imprese in grado di rendere il territorio attrattivo sia dal punto di vista residenziale che produttivo;
    • alla capacità di fornire un sistema di servizi di base che consente di pensare  a modelli di sviluppo endogeno;
    • alla coniugazione a livello locale di quella “capacità di produrre all'ombra dei campanili cose che piacciono al mondo” (Carlo De Benedetti), ovvero di mettere in atto nuove sfide e successi applicando le logiche della soft economy.

 

  • In questo senso le posizioni di Richard Florida sono un punto di riferimento interessante, in quanto individuano nella tecnologia e nell’innovazione - ovvero nella capacità di creare nuovi prodotti e servizi - nei talenti - ovvero nelle componenti intrinseche tangibili ma soprattutto intangibili (i saperi) di un territorio - e nella tolleranza - ovvero nella capacità di accoglienza e di creazione di una società multietnica e fortemente differenziata dal punto di vista sociale - gli elementi per la competitività; inoltre nella necessità di politiche che consentano di rendere questo tipo di competizione alla portata di tutti.

 

  • Ricordando Bauman, possiamo affermare che ”la nostra è una vita 'liquida', costituzionalmente incapace di mantenere invariata la propria forma e seguire per lunghi tratti la stessa rotta. La vita 'liquida' è una successione ininterrotta di nuovi inizi ed è proprio per questo che le fini rapide e indolori - senza cui quei nuovi inizi sarebbero impensabili - tendono a rappresentare i momenti di massima sfida, i più insopportabili. Uno scotto da pagare in una società che non può mai star ferma e che, sospinta dall'orrore della scadenza, deve modernizzarsi. O soccombere. Ciò che occorre fare è correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione. La vera posta in gioco è la salvezza (temporanea) dall'esclusione”; dunque INCLUSIONE COME POLITICA ATTIVA.

 

  • “Liquido” come instabilità, sommerso come le cose nascoste, ma anche dimenticate, quindi non considerate, quindi non incluse: l’inclusione sociale è anche inclusione territoriale.

 

  • E’ così più facile comprendere perché gli obiettivi della programmazione comunitaria 2007-2013 prevedono due grandi ambiti di azione: competitività e cooperazione. Nel disagio insediativo vengono a mancare entrambi.

 

 

 

Il disagio insediativo nel 2006 e previsioni al 2016 a parità di condizioni

 

Fonte: Serico – Gruppo Cresme
GHOST TOWN

Dei comuni del disagio nella proiezione al 2016, 1.650 comuni saranno probabili ghost town, città fantasma a “rischio estinzione”, perché non raggiungerebbero la soglia minima di “sopravvivenza” nelle diverse categorie demografiche, sociali, economiche  e dei servizi. Esse sono:

Ø      un quinto dei comuni italiani;

Ø      un sesto della superficie territoriale;

Ø      il 4,2% della popolazione;

Ø      vi risiedono 560mila persone oltre i 65 anni, il 20% in più rispetto alla media nazionale e solo il 2% degli stranieri residenti in Italia (evidenziando una scarsa capacità di attrazione rispetto a questa dinamica domanda di insediamento).

Ø      si registra una situazione negativa per tutte le variabili della ricchezza;

Ø      vi lavora il 2,1% degli addetti italiani (esprimendo metà della propensione media al lavoro);

Ø      l’offerta di esercizi commerciali occupa solo l’1,5% degli addetti nel settore;

Ø      si registrano oltre il doppio delle pensioni di invalidità mediamente erogate sul territorio nazionale;

Ø      l’opportunità turistica è sporadica vista la grande disponibilità di abitazioni non utilizzate (1,5 volte in più del territorio nazionale) e le limitate presenze nelle strutture ricettive (-23%).

Ø      vi è una carenza complessiva nel sistema scolastico, sia dal punto di vista della domanda (studenti) che dell’offerta (scuole);

Ø      vi è una forte carenza dal punto di vista dei presidi sanitari (più comprensibile è l’assenza di istituti di cura pubblici e privati, di unità locali e di addetti nel settore).

 

Imitando la rappresentazione dell’innalzamento del livello marino per cause ambientali, nella pianta sottostante si è dato ai 1.650 comuni delle presunte ghost town del 2016 il colore del mare. Il solo colpo d’occhio ci aiuta a capire come il disagio insediativo rappresenti un rischio primario o, nella più corretta logica del progetto, un talento sotterrato che il Paese non si può permettere di non utilizzare. 

Arcipelago Italia: la mappa dei comuni a rischio estinzione*

Fonte: SERICO

* E’ necessario precisare che si tratta di una indagine “ceteris paribus” nella quale “i parametri sono assunti come dati e le condizioni di contorno restano immutate”. E’ dunque una proiezione che aiuta a comprendere le tendenze in atto senza per questo necessariamente rispecchiare il reale, futuro andamento dello sviluppo territoriale dei comuni italiani interessati dall’indagine all’anno 2016.

 

[1] Richard Florida, The Flight of the Creative Class, Harper Business, 2005.

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