43a esposizione internazionale ICT - SMAU 2006

43a esposizione internazionale ICT - SMAU 2006

Milano, 4 ottobre 2006

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4 ottobre 2006
Macro Carrier

"ICT e competitività nell’Agenda Politica del nostro Paese:
contributi e riflessioni
"

 

 

Autorità, cari amici, signore e signori,

 

desidero innanzitutto ringraziare SMAU e il suo presidente Alfredo Cazzola che quest’anno ci ospitano in questa nuova e importante sede nel quartiere espositivo di Fiera Milano, con una formula rinnovata â€" e mirata all’incontro degli  operatori del settore - della 43° Esposizione Internazionale di Information & Communications Technology, all’interno della quale Confcommercio, con uno stand di 1000 metri quadrati, ha voluto creare una “casa comuneâ€� per le associazioni di categoria e le imprese del “retailâ€�.

 

È quindi con grande piacere che prendo parte a questo dibattito, perché sono convinto che l’Information e la Communication Technology rappresentino al tempo stesso il motore  dello sviluppo e un fattore critico della competitività di ogni sistema economico.

 

Questo vale senz’altro anche per il nostro Paese. Perché siamo di fatto giunti nell’era dell’ “informazione�, in cui ciò che conta non è solo il possesso delle risorse e delle macchine per trasformarle, ma anche e soprattutto la conoscenza.

 

Lo scambio di informazioni e di conseguenza gli strumenti che lo consentono, il software e l’Information Technology, diventano, quindi, gioco forza, i cardini sui quali far ruotare gli interventi per la crescita e lo sviluppo.

 

Oggi, infatti, la competitività di un paese non si misura sul numero di industrie, ma sul grado di diffusione delle nuove tecnologie.

 

E l’obiettivo che bisogna porsi â€" ed è calzante che se ne dibatta in questa sede, in questo dibattito che ha come tema proprio l’Agenda Politica del nostro paese su competitività e ICT - è quello di raggiungere il più elevato livello di accessibilità di quest’ultime da parte di tutti i soggetti sociali ed economici.

 

L’innovazione tecnologica rappresenta oggi l’ago della bilancia fra l’essere competitivi e l’essere condannati a uscire dal mercato.

 

La diffusione di internet e delle nuove tecnologie, l’accesso a banda larga, il progressivo abbattimento del divario digitale, stanno infatti assumendo un ruolo di assoluto rilievo nell’economia e nelle società che galoppano di più nel mercato globale.

 

Lo sviluppo dell’innovazione può avvenire solo attraverso la sua stessa diffusione: l’acquisto di mezzi di comunicazione da parte di un’impresa sarà tanto più necessario e stimolato se anche i settori a valle e a monte ne saranno dotati.

 

Se si considerano le reti di comunicazione, tuttavia, ancora molto deve essere fatto per connettere l’Italia ad alta velocità, basti pensare alle zone montane o al Mezzogiorno, e anche qui la concorrenza del mercato gioca un ruolo chiave.

 

Non possiamo negare che è proprio il problema del divario tecnologico tra imprese e tra distretti territoriali nell’uso delle nuove tecnologie che preoccupa chi vorrebbe vedere l’Italia alla pari con i paesi più evoluti.

 

E’ già stato ricordato, d’altronde, che il rapporto tra la spesa informatica e il prodotto interno lordo, in Italia è pari all’1,94%, nel Regno Unito al 4,22%, mentre in Francia e Germania supera il 3%.

 

Il divario digitale, lo spartiacque che separa il mondo tra coloro che possono accedere alle moderne tecnologie della comunicazione e coloro che ne sono tagliati fuori non è solo un problema che divide il nord e il sud del mondo, i paesi avanzati e quelli in via di sviluppo.

 

È invece il fattore che può portare un sistema economico a perdere la gara della competitività, perché oggi le imprese, tutte le imprese, devono avere accesso alle nuove tecnologie, integrando l’uso dell’informatica nei processi produttivi, migliorando la loro efficienza e ottimizzando così i servizi al cliente e alla collettività.

 

Il piccolo imprenditore che fatica a cogliere i benefici delle nuove tecnologie deve essere messo prima di tutto nella condizione di capirne il funzionamento attraverso una politica di informazione che tenga conto anche della formazione e dell’aggiornamento delle risorse umane.

 

Deve però, ancor prima, essere messo nella condizione di vedere nella spesa in ICT non solo un costo bensì un investimento.

 

Diffusione quindi. Ma non solo territoriale bensì anche settoriale.

 

Il commercio - e il terziario in genere â€" che sino ad oggi sono stati largamente tagliati fuori dalle politiche di incentivazione, rappresentano un anello della catena di estrema importanza per la crescita del Paese e come tale devono essere considerati anche nelle scelte di governance.

 

Ecco, è questo che chiediamo alla politica: mettere al centro dell’Agenda, la questione delle imprese del terziario come una grande opportunità di competitività e di crescita per la nostra economia.

 

Rilanciare il sistema paese quindi non può prescindere dalla presa di coscienza della crescente terziarizzazione dell’economia italiana, ancor di più se si pensa che questo comparto rappresenta il 65% del PIL e dell’occupazione.

 

Non si può più contrapporre il primato storico del modello manifatturiero alla prospettiva di un’economia terziaria e post-industriale.

 

È necessario piuttosto lavorare verso l’integrazione di questi due comparti  così come è già avvenuto nelle economie più mature e più avanti nel processo di globalizzazione.

 

L’innovazione - tecnologica e non - è in grado di irrobustire il modello di business delle imprese del terziario, ma per far sì che ciò avvenga occorrono politiche attive da parte del Governo.

 

“Industria 2015�: è questo il titolo del disegno di legge predisposto dal Ministro Bersani in materia di politiche per l’innovazione e la competitività del nostro sistema produttivo.

 

Ne abbiamo già parlato, caro Ministro, e abbiamo anche condiviso qualche riflessione circa l’integrazione tra la politica industriale e la politica per i servizi.

 

Però, lo confesso, quel titolo continuo a trovarlo un po’ stretto. Perché, anche nel recente passato, il termine “industryâ€� â€" utilizzato dalla Commissione Europea per indicare l’attività economica d’impresa in generale â€" è stato spesso tradotto dai Governi italiani come pertinente al solo settore manifatturiero, con grave pregiudizio per il settore economico dei “serviziâ€� escluso per anni dall’accesso alle misure nazionali per la ricerca e per le aree depresse.

 

Ecco, questo non può e non deve più accadere.

 

Non chiediamo interventi a pioggia â€" non lo abbiamo mai fatto, d’altronde â€" ma politiche attive da parte del Governo per la diffusione delle tecnologie, in tutti i settori produttivi, questo sì.

 

Tenendo presente le peculiarità e le caratteristiche delle diverse imprese, sia dal punto di vista dimensionale che organizzativo.

 

Per favorire presso queste imprese cultura e diffusione dell’innovazione tecnologica occorre, certo, la mobilitazione delle istituzioni e delle politiche pubbliche, ma anche dei sistemi associativi chiamati sempre più a svolgere un ruolo di agenzie al servizio delle imprese: partners delle imprese nella semplificazione delle relazioni con le pubbliche amministrazioni; partners delle imprese nei processi di formazione continua e di diffusione dell’innovazione tecnologica.

 

Insomma, bisogna  “portareâ€� le tecnologie vicino alle imprese â€" soprattutto alle PMI - che devono trovare il modo di integrare l’uso dell’informatica nei processi produttivi, migliorando così la loro efficienza.

 

Il mondo dell’Information Technology infatti può avvicinarsi ulteriormente alla aziende, trovando nuovi e ulteriori sbocchi di mercato, realizzando sistemi che si prestino realmente a migliorare il modo di lavorare e di produrre, con una attenzione costante ai cambiamenti della filiera e alla soddisfazione del cliente finale.

 

I software, oggi, devono integrarsi pienamente nei processi produttivi. Devono “parlare italiano� e devono “pensare italiano�, adeguando i loro processi al nostro modo di essere.

 

Come ha anche evidenziato l’analisi scientifica presentata, la sfida che dobbiamo percorrere sarà nell’integrare le nuove tecnologie nella vita di tutti i giorni.

 

E’ su questo che bisogna insistere: rendere la tecnologia utilizzabile da un pubblico sempre più ampio e non relegare l’innovazione e la conoscenza nelle mani di pochi.

 

Se la tecnologia è per pochi, non serve.

 

Perché, in questo modo, ci sarà sempre una strozzatura che interromperà il flusso delle informazioni, che renderà inefficiente un processo, che taglierà fuori un anello della catena.

 

E questo, in una economia che ha bisogno di accrescere la propria competitività, non possiamo permettercelo.

 

Così come â€" lo segnalo in particolare agli autorevoli Ministri oggi qui presenti e con cui, del resto, abbiamo già avuto modo di sviluppare costruttivi confronti  â€" non possiamo permetterci, oggi, una finanziaria che significa almeno 22 miliardi di entrate aggiuntive e che, rispetto all’impianto del Dpef, ha fortemente stemperato la riconosciuta necessità di incidere strutturalmente sui grandi comparti della spesa pubblica.

 

Una finanziaria, ancora, che, a fronte di circa 5,5 miliardi di riduzione del cuneo fiscale e contributivo, chiede alle imprese di conferire all’Inps flussi Tfr per circa 5,3 miliardi di euro. Senza che, peraltro, sia stato compiutamente definito il quadro delle compensazioni finanziarie di questa operazione, in particolare sul versante dell’accesso al credito bancario.

 

Una riflessione, infine, sul tema della lotta all’evasione e all’elusione. Va fatta e con determinazione. Ma per farla è non solo necessario il “pagare tutti per pagare meno�, ma è anche utile il “pagare meno per pagare tutti�.

 

Ecco, bisogna pensarci. Perché, ad esempio, oggi la pressione fiscale e contributiva complessiva su un lavoratore autonomo del commercio o dell’artigianato rischia di sfiorare il 60% nella fascia compresa tra 35.000 e 60.000 euro.

 

Insomma, oltre la metà del reddito prodotto serve per pagare tasse, contributi e addizionali. Che senso ha? Non giova alla crescita e ai contribuenti in regola, ma francamente non credo che aiuti neppure la lotta all’evasione e all’elusione.

 

Così come, per contrastare evasione ed elusione, occorrono controlli e sanzioni. Quelli necessari, quelli realmente necessari. Non uno di meno, ma neppure non uno di più.

 

Perché, anche qui, “il troppo storpia�. E il troppo, in questo caso, è la sanzione della chiusura dell’esercizio, prevista nel decreto legge che accompagna la finanziaria, anche nel caso di un solo scontrino non battuto!

 

Per questo, oggi chiediamo â€" tanto alla maggioranza, quanto all’opposizione - di intervenire lungo il percorso parlamentare di discussione del disegno di legge finanziaria.

 

Per rivedere scelte che, certamente, non ci aiutano, non aiutano il Paese a sfuggire alla trappola della crescita lenta.

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