Aggiornamento delle analisi e delle previsioni del Pil nelle regioni italiane

Aggiornamento delle analisi e delle previsioni del Pil nelle regioni italiane

Ottobre 2011

1. Introduzione[1]

Dalla seconda metà dell’anno in corso, l’estendersi della crisi di fiducia dei mercati verso i debiti sovrani dell’eurozona anche a paesi non periferici, come Spagna e Italia, accompagnata da drastiche e continue correzioni al ribasso dei corsi azionari di tutte le principali piazze finanziarie e l’indebolirsi delle prospettive di sviluppo nei paesi avanzati a seguito del brusco rallentamento dell’economia nel secondo trimestre[2], inducono ad un downgrading delle stime della nostra crescita per l’anno in corso e della previsione sul 2012. Le revisioni al ribasso delle prospettive per la nostra economia sono dettate, inoltre, dagli effetti delle manovre di finanza pubblica dirette a fronteggiare i rischi di default del debito pubblico.

Rispetto alle previsioni del luglio scorso, la predisposizione della manovra correttiva di finanza pubblica per anticipare il pareggio di bilancio al 2013, con una riduzione di circa un punto, all’1,6%, già nel 2012 dell’indebitamento netto in rapporto al Pil, ha modificato le componenti esogene del quadro previsionale, imponendo di valutare l’impatto dei provvedimenti, largamente basati su incrementi delle entrate, in termini di consumi e di Pil.

Tab. 1 – Il quadro macroeconomico interno

variazioni % in volume di periodo e annuali

  2001-2008 2009 2010 2011 2012
        luglio ottobre correzione luglio ottobre correzione
PIL 0,8 -5,2 1,3 0,8 0,7 -0,1 1,0 0,3 -0,7
Importazioni di beni e servizi 1,8 -13,7 10,5 5,3 5,2 -0,1 4,8 3,1 -1,7
Spesa delle famiglie residenti 0,7 -1,8 1,0 0,8 0,7 -0,1 1,1 0,2 -0,9
– Spesa sul territorio economico 0,5 -2,0 1,0 0,8 0,7 -0,1 1,1 0,2 -0,9
Spesa della P.A. e ISP 1,8 1,0 -0,6 0,0 0,0 0,0 -0,3 -0,5 -0,2
Investimenti lordi (comprensivi di scorte e oggetti di valore) 1,1 -14,5 6,9 1,7 1,7 0,0 1,9 0,5 -1,4
Esportazioni di beni e servizi 1,2 -18,4 9,1 5,6 5,5 -0,1 5,2 4,0 -1,2
Elaborazioni e previsioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Sotto un profilo meramente tecnico, sulla base delle nostre stime dell’elasticità della spesa delle famiglie al reddito disponibile, l’incremento dell’aliquota Iva dal 20% al 21% determinerà già nell’anno in corso un ridimensionamento del profilo di consumi e Pil in termini reali di circa un decimo di punto (cfr. tab. 1), con un’incidenza assai più accentuata nel corso del 2012 – per il dispiegarsi a pieno regime degli effetti di riduzione del reddito disponibile – nel corso del quale il ridimensionamento della crescita sarà dell’ordine dei sette decimi di punto per il Pil, che non andrà oltre lo 0,3%, e di quasi un punto per i consumi, che si attesteranno su un modestissimo +0,2%, alle soglie della stagnazione[3].

Gli incrementi trimestrali nella rimanente parte del 2011 e per tutto il 2012, sia per i consumi, sia per il Pil, saranno nulli in qualche trimestre e mai superiori ad un decimo di punto nei rimanenti.

Riguardo, poi, alle altre componenti della domanda interna, nel 2012 ci si attende un’ulteriore compressione della spesa pubblica ed un forte rallentamento degli investimenti, anche per il peggioramento delle condizioni di accesso al credito, sintetizzato dall’innalzamento dei taeg pagati dalle imprese, derivanti dai maggiori costi di rifinanziamento degli istituti di credito sul mercato interbancario.

Per la domanda estera netta, è da attendersi nel 2012 un ridimensionamento del ruolo delle esportazioni, atteso che il commercio internazionale già nel corso del 2011 dimezzerà il suo incremento rispetto al +12,3% del 2010, subendo un ulteriore rallentamento al 5,7% nel prossimo anno, con le immaginabili ripercussioni in termini di minori ordini verso i manufatti di produzione nazionale.

Il delinearsi di un siffatto quadro macroeconomico, meno dinamico rispetto a quanto ipotizzato nei mesi precedenti (tab. 1), suggerisce, a sua volta, una revisione delle stime degli andamenti del Pil nelle regioni italiane, dopo il rilascio, da parte dell’Istat, dei dati più aggiornati sugli aggregati di contabilità nazionale a livello regionale.

È opportuno premettere al commento delle stime regionali, che i dati relativi alla popolazione sono riferiti ai residenti e non ai soggetti effettivamente presenti sul territorio, anche per motivi di lavoro. Inoltre, alle singole regioni è stata assegnata, in proporzione al contributo fornito alla creazione del Pil nazionale, una parte del Pil extra-regio (pari allo 0,1% del Pil nazionale), cioè quella parte di prodotto lordo non attribuito nei conti ufficiali ad alcuna regione.

Questi fattori possono comportare una contenuta distorsione del dato relativo al Pil prodotto da ogni abitante nelle diverse regioni ma la sostanza delle analisi e dei risultati riportati non è messa in discussione da questi fattori.

2. Il prodotto interno lordo nelle regioni italiane

Le dinamiche di lungo periodo indicano una maggiore dinamicità del Pil nelle regioni del Centro rispetto alle regioni del Nord. È evidente la progressiva riduzione di peso del Mezzogiorno rispetto al complesso della ricchezza prodotta nel Paese (fig. 1).

Fig. 1 – Quota delle macro-ripartizioni sul Pil italiano (valori correnti)

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figura _x0000_i1028 figura _x0000_i1029

Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Le regioni del Nord, in considerazione di una maggior presenza sul territorio di imprese industriali di medio-grandi dimensioni orientate alle esportazioni, hanno risentito più intensamente della recessione, soprattutto durante il 2009 (tab. 2), anno caratterizzato da un forte rallentamento della dinamica del commercio mondiale.

Tab. 2 – Il Pil nelle regioni italiane*

  v.m.a. % del Pil a prezzi costanti Pil pro capite corrente var. % dei Pil a prezzi costanti
  1996-2007 2007 2008 2009 2010 2011 2012
Piemonte 1,0 28.601 -1,5 -6,4 1,5 0,5 0,4
Valle d'Aosta 0,4 33.586 1,0 -4,6 1,1 0,5 0,2
Lombardia 1,4 33.473 -1,7 -6,5 1,8 0,8 0,4
Liguria 1,1 26.837 -0,7 -3,5 1,1 0,7 0,2
Veneto 1,8 30.271 -0,8 -6,1 2,2 0,8 0,4
Trentino A.A. 1,5 32.432 0,7 -3,0 1,4 0,8 0,3
Friuli V.G. 1,5 29.264 -1,8 -5,8 2,0 0,7 0,4
Emilia Romagna 1,6 32.142 -1,5 -6,1 2,0 0,7 0,4
Toscana 1,5 28.457 -0,8 -4,4 1,3 0,8 0,3
Umbria 1,5 24.515 -1,4 -6,1 1,1 0,6 0,2
Marche 2,0 26.526 -0,8 -4,9 1,0 0,7 0,2
Lazio 1,6 30.333 -0,4 -3,5 1,1 0,9 0,2
Abruzzo 1,3 21.621 -1,1 -7,0 0,3 0,7 0,3
Molise 1,5 19.969 -0,3 -3,8 -0,1 0,4 0,2
Campania 1,3 16.924 -2,7 -5,4 0,1 0,7 0,2
Puglia 1,3 17.126 -1,4 -5,2 0,1 0,7 0,2
Basilicata 1,7 18.715 -0,9 -4,7 -0,3 0,3 0,2
Calabria 1,5 16.953 -3,1 -2,5 -0,2 0,5 0,2
Sicilia 1,3 17.194 -1,7 -2,9 0,3 0,8 0,2
Sardegna 1,4 20.424 -1,2 -3,8 0,3 0,6 0,2
Nord-ovest 1,3 31.436 -1,6 -6,2 1,7 0,7 0,3
Nord-est 1,7 31.060 -1,0 -5,8 2,1 0,7 0,4
Centro 1,6 28.795 -0,6 -4,1 1,2 0,8 0,2
Mezzogiorno 1,4 17.707 -1,9 -4,4 0,2 0,7 0,2
ITALIA 1,5 26.041 -1,3 -5,2 1,3 0,7 0,3
* Le variazioni % medie annue e anno su anno si riferiscono al Pil della regione nel complesso mentre il valore del 2007 è espresso in termini pro capite.
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

A livello di singole regioni le riduzioni più significative del Pil prodotto si sono registrate in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna al Nord. Umbria e Abruzzo hanno palesato le maggiori difficoltà tra le regioni del Centro e del Sud.

Può essere noioso affermarlo ancora una volta, ma anche in questo ambito non si può non sottolineare come il problema italiano non sia la recessione quanto la mancata ripresa. I ritmi con cui nel 2010 e nel 2011 e, in previsione, nel 2012, il Paese e le sue regioni stanno rispondendo alla crisi sono del tutto insufficienti anche soltanto per un piccolo recupero del terreno perso nel biennio 2008-2009 (tab. 2). Particolarmente grave appare il fenomeno dello stacco crescente delle principali regioni del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese[4].

Il problema riguarda la produttività dei fattori ma anche la demografica. Negli anni recenti si sono registrate significative modifiche nella distribuzione della popolazione sul territorio che hanno portato ad una riduzione del peso della popolazione residente nelle regioni del Sud rispetto al totale nazionale (due punti percentuali tra il 1995 ed il 2012; fig. 2). Il fenomeno si inserisce in una tendenza di lungo periodo che ha portato, tra il 1955 ed il 2008, ad un saldo negativo tra iscrizioni e cancellazioni della popolazione residente nel Mezzogiorno, per fenomeni migratori interni, pari ad oltre 4 milioni[5], con la conseguenza di spostare le migliori competenze e abilità dal Mezzogiorno al resto dell’Italia e di ridurre il potenziale di sviluppo dell’area. Quindi il Sud del Paese storicamente perde peso sia per problemi legati alla capacità di produrre ricchezza per unità di fattori di produzione impiegati nel processo produttivo, sia per la riduzione dei valori assoluti della forza lavoro e del capitale umano potenzialmente disponibile per il sistema economico delle regioni meridionali. Questo tema ha natura strutturale e nulla centra con un episodio recessivo, seppure di forte intensità.

Fig. 2 – Quota della popolazione per macro-ripartizioni

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Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

I dati e le previsioni sull’evoluzione del prodotto lordo per abitante a prezzi costanti permettono di comprendere meglio cosa è accaduto a livello di singoli territori (tab. 3).

Fatto 100 il valore del Pil reale per abitante nel 1995, per ciascuna regione italiana, si vede che nel 2007, anno pre-recessione, la crescita media per il prodotto interno pro capite è del 13,8% (l’indice appunto vale 113,8). Nel 2009 per la media Italia, cioè dopo i due anni di recessione, tale indicatore vale 105. In molte regioni del Nord l’indicatore si colloca su valori prossimi a quelli di 15 anni prima. Fanno eccezione la Liguria, che sconta una flessione della popolazione, ed il Friuli Venezia Giulia, dove la crescita dei residenti ha assunto un’intensità minore rispetto ad altre zone.

Tab. 3 – Indici del Pil pro capite in termini reali (1995=100)

  2000 2007 2009 2011 2012
Piemonte 107,9 109,9 99,9 101,1 101,0
Valle d'Aosta 92,8 97,9 92,8 93,2 92,8
Lombardia 107,4 109,3 98,5 99,6 99,4
Liguria 112,4 116,5 111,1 113,2 113,4
Veneto 110,8 113,1 103,3 105,2 104,9
Trentino A.A. 107,6 107,8 103,1 103,6 103,2
Friuli V.G. 111,2 116,7 106,7 108,9 108,9
Emilia Romagna 110,5 111,1 100,2 100,9 100,5
Toscana 110,4 114,3 106,5 107,6 107,3
Umbria 110,6 111,2 100,8 101,1 100,7
Marche 112,2 118,5 109,8 111,7 111,2
Lazio 107,6 113,0 106,1 106,6 106,3
Abruzzo 111,6 111,4 100,9 101,2 101,0
Molise 111,9 122,0 117,0 117,6 117,8
Campania 109,2 115,0 105,6 106,3 106,5
Puglia 114,3 116,8 108,9 109,8 110,0
Basilicata 120,2 126,3 119,5 120,2 120,8
Calabria 114,1 123,3 116,3 116,5 116,6
Sicilia 109,1 116,7 111,0 112,2 112,5
Sardegna 110,4 116,8 110,4 111,2 111,2
Nord-ovest 107,9 110,3 100,2 101,4 101,3
Nord-est 110,4 112,2 102,5 103,8 103,5
Centro 109,1 113,9 106,4 107,2 106,9
Mezzogiorno 111,3 116,9 109,2 110,0 110,2
ITALIA 109,7 113,8 105,0 106,2 106,2
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

I fenomeni demografici registrati nel Mezzogiorno, caratterizzati da una minore crescita della popolazione, con saldi negativi in alcune regioni, hanno determinato nel medio-lungo periodo tassi di sviluppo del Pil pro dell’area superiori rispetto al Centro-nord ed una minore riduzione negli anni della crisi. Le migliori performance del Mezzogiorno in termini di prodotto pro capite riflettono, dunque, la dimensione paradossale del fenomeno: a fronte di un prodotto che cresce poco o rimane stabile, la riduzione della popolazione fa apparire la dinamica del dato pro capite meno sfavorevole di quanto effettivamente sia.

Le assai modeste prospettive di sviluppo del biennio 2011-12 non permetteranno a nessuna regione di tornare sui livelli pre-crisi. In alcuni casi, come quello emblematico della Lombardia, il prodotto per abitante, in termini reali, si collocherà su valori ancora inferiori a quelli realizzati nel 1995. C’è dunque il rischio che non di un solo decennio perso si debba parlare ma di due decenni sfumati, se si ragiona in termini di Pil pro capite e se si tengono per buone le attuali scarse prospettive di crescita[6].

In modo analogo all’esercizio presentato sopra, si può considerare l’indice del Pil pro capite di ciascuna regione rispetto alle altre, ponendo la media dell’Italia pari a 100 in ciascun anno di analisi (tab. 4).

Tab. 4 – Divari territoriali del Pil pro capite in termini reali (Italia=100)

  1995 2000 2007 2009 2011 2012
Piemonte 113,8 111,9 109,8 108,2 108,2 108,2
Valle d'Aosta 151,2 127,9 130,1 133,6 132,7 132,2
Lombardia 134,4 131,5 129,1 126,1 126,1 125,9
Liguria 99,4 101,8 101,6 105,1 105,8 106,2
Veneto 117,7 118,9 117,0 115,8 116,6 116,4
Trentino A.A. 130,8 128,3 123,8 128,3 127,6 127,1
Friuli V.G. 109,0 110,5 111,7 110,7 111,8 111,8
Emilia Romagna 127,6 128,6 124,6 121,8 121,2 120,8
Toscana 108,6 109,3 109,0 110,2 110,0 109,8
Umbria 96,1 96,9 93,9 92,3 91,5 91,1
Marche 97,9 100,1 101,9 102,3 102,9 102,6
Lazio 117,6 115,3 116,7 118,9 118,1 117,8
Abruzzo 84,7 86,2 83,0 81,5 80,7 80,6
Molise 71,5 72,9 76,6 79,6 79,1 79,3
Campania 63,5 63,2 64,1 63,8 63,5 63,7
Puglia 63,7 66,4 65,4 66,1 65,8 66,0
Basilicata 64,2 70,3 71,2 73,0 72,6 73,0
Calabria 59,5 61,8 64,4 65,8 65,2 65,3
Sicilia 64,4 64,0 66,0 68,1 68,0 68,2
Sardegna 75,5 76,0 77,5 79,4 79,0 79,1
Nord-ovest 124,8 122,8 120,9 119,1 119,2 119,1
Nord-est 121,6 122,4 119,9 118,6 118,8 118,5
Centro 110,5 110,0 110,6 111,9 111,5 111,3
Mezzogiorno 65,7 66,7 67,5 68,4 68,1 68,2
ITALIA 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Nel 1995 il Pil pro capite della Valle d’Aosta era superiore del 50% alla media italiana, quello della Lombardia del 34,4%. Il confronto, nell’arco del periodo considerato, tra le regioni del Nord e quelle del Sud favorisce queste ultime, in quanto il divario del Pil pro capite delle regioni meridionali rispetto alla media nazionale tende a ridursi gradualmente da poco più del 34% nel 1995 a poco meno del 32% nel triennio 2009-12. In realtà, si tratta di un effetto apparente, determinato, come detto, dagli andamenti demografici a cui si unisce la bassa crescita diffusa sul territorio: non è il Pil pro capite del Mezzogiorno che recupera parte del divario con il Nord ma sono le regioni settentrionali che si avvicinano al dato medio del Mezzogiorno.

Di qualche interesse è anche il confronto tra il Nord e il Centro, con quest’ultima macro-ripartizione che regge relativamente bene la recessione, probabilmente a causa della maggiore presenza di terziario di mercato rispetto alla composizione del valore aggiunto di altre aree. Considerando, per esempio, Lombardia e Lazio, il rapporto tra i loro indici nel 1995 (134,4 rispetto a 117,6) attribuiva alla Lombardia un vantaggio del 14%, cioè a quell’epoca il prodotto interno lordo per abitante della Lombardia era superiore a quello del Lazio di oltre il 14%. Nel 2007 il vantaggio dei lombardi è sceso al 10%. Nel corso del 2011 e del 2012, esso si ridurrà ulteriormente a poco meno del 7%.

3. Estrapolazione delle tendenze attuali

Per evidenziare le implicazioni prospettiche dell’attuale insoddisfacente crescita del Pil italiano, è stato proiettato al 2017 il tasso di medio di variazione osservato e stimato tra il 2008 e il 2012 per il prodotto lordo totale di ciascuna regione (tab. 5).

Tab. 5 – Un esercizio di estrapolazione del Pil regionale nel medio periodo

  tassi di variazione medi annui 2013-2017 fatto 100 il Pil reale pro capite del 2007 esso nel 2017 risulterà pari a >quote di Pil reale
  popolazione Pil   1995 2007 2017
Piemonte 0,3 0,7 93,7 8,5 8,1 8,0
Valle d'Aosta 0,2 0,7 97,6 0,3 0,3 0,3
Lombardia 0,4 0,9 92,9 21,0 20,9 20,9
Liguria 0,2 0,6 99,5 2,9 2,8 2,8
Veneto 0,4 0,9 94,9 9,1 9,5 9,7
Trentino A.A. 0,4 0,9 98,0 2,1 2,1 2,2
Friuli V.G. 0,4 1,0 96,1 2,3 2,3 2,3
Emilia Romagna 0,4 1,1 93,4 8,7 8,9 9,1
Toscana 0,4 0,6 94,4 6,7 6,7 6,8
Umbria 0,4 0,5 90,8 1,4 1,4 1,4
Marche 0,4 0,7 94,8 2,5 2,7 2,7
Lazio 0,5 0,4 93,6 10,7 10,9 11,0
Abruzzo 0,3 0,5 91,3 1,9 1,8 1,8
Molise 0,0 0,2 97,4 0,4 0,4 0,4
Campania 0,2 0,0 91,9 6,4 6,3 5,9
Puglia 0,3 -0,2 91,7 4,5 4,5 4,2
Basilicata 0,0 0,0 95,7 0,7 0,7 0,7
Calabria 0,0 0,2 95,4 2,2 2,2 2,1
Sicilia 0,1 -0,1 95,5 5,7 5,6 5,5
Sardegna 0,2 0,2 95,7 2,2 2,2 2,1
Nord-ovest 0,4 0,8 93,8 32,7 32,0 32,1
Nord-est 0,4 1,0 94,7 22,2 22,8 23,3
Centro 0,5 0,5 93,9 21,2 21,6 21,9
Mezzogiorno 0,2 0,0 93,6 23,9 23,6 22,7
ITALIA 0,3 0,6 94,5 100,0 100,0 100,0
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

Allo stesso modo sono state proiettate le tendenze attuali della variazione della popolazione residente regione per regione, smussando gli andamenti più dinamici osservati in alcune aree del Nord e portando a zero il tasso di decremento sperimentato negli anni recenti sia nel Molise sia nella Basilicata. Ciò permette di avere dinamiche del tutto neutrali e conservative della popolazione a cui vengono rapportate le previsioni sul prodotto lordo reale. La tab. 5 riassume i risultati di questo semplice esercizio meccanico (che non può essere in alcun modo considerato una previsione ma soltanto l’estensione al futuro di ciò che sta accadendo in questi ultimi anni).

Date le suddette ipotesi, il ritardo del Mezzogiorno si acuirebbe. Non soltanto la popolazione crescerebbe a un tasso medio dello 0,2% rispetto allo 0,4% del Nord e allo 0,5% del Centro, ma il Pil pro capite si muoverebbe a un tasso pressoché pari a zero (contro 0,8% e 1,0%, segnatamente del Nord-ovest e del Nord-est).

Rispetto al 2007, posto pari a 100, nel 2017, cioè dieci anni dopo, il Mezzogiorno avrà perso il 6,4% in termini di prodotto reale per abitante, il Centro poco più del 6% e il Nord-ovest circa il 6,2%. La migliore performance spetterebbe al Nord-est, con una riduzione dell’indice del prodotto reale per abitante del 5,3%. Per nessuna regione si può parlare di incrementi, semmai di un mero contenimento delle perdite, che si collocano ad un -0,5% per la Liguria e ad un -2,0% per il Trentino, paradossalmente le performance migliori.

In termini complessivi, la quota di ricchezza annualmente prodotta dal Mezzogiorno rispetto al totale Italia proseguirebbe la sua regressione: da quasi un quarto nel 1995 al 23,6% del 2007, fino al 22,7% del 2017.

Questo esercizio non ha altro significato se non quello di sottolineare che in assenza di un mutamento di rotta nelle dinamiche economiche territoriali non è verosimile ipotizzare una spinta alla crescita da parte delle regioni del Sud, le quali, per la combinazione di ragioni demografiche ed economiche, verrebbero ulteriormente marginalizzate.

Come già sottolineato in altre occasioni, i divari di crescita nel prodotto complessivo e pro capite tra regioni rendono, nei fatti, ancora più complessa la realizzazione del federalismo in generale e di quello fiscale in particolare. L’inadeguatezza delle basi imponibili, in presenza di crescenti domande di servizi assistenziali e sociali da parte di una popolazione che invecchia e in un contesto di imprescindibile risanamento delle finanze pubbliche, richiede esclusivamente che il Paese torni a crescere a ritmi più che doppi di quelli medi del triennio 2010-2012, cioè che si passi da un modesto +0,8% ad un +2,0%. Più verosimilmente, l’obiettivo coerente con le esigenze del Paese è una crescita al 2,5% complessivo, corrispondente al 2% per abitante.

Questi obiettivi dovrebbero poi essere raggiunti con un contributo piuttosto omogeneo da parte dei territori. La debolezza del Mezzogiorno è oggi, infatti, un ulteriore elemento di freno per crescita economica media del Paese. Deve diventare, finalmente, un’opportunità.


[1] Tutte le indicazioni contenute nella nota sono elaborazioni, stime e previsioni dell’Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat, se non diversamente indicato.

[2] Nel secondo trimestre di quest’anno, la crescita congiunturale del Pil si è ridotta dallo 0,8% allo 0,2% nell’eurozona, con cadute rilevanti per Germania e Francia (dall’1,3% allo 0,1% e dallo 0,9% allo 0,0%, rispettivamente), accompagnate da marcati rallentamenti per Regno Unito e Spagna (2-3 decimi di punto in meno) e da una sostanziale stagnazione degli Usa (0,1% nel primo quarto e 0,2% nel secondo).

[3] Sulle implicazioni depressive della manovra il CER, nell’aggiornamento del 26 settembre, afferma che “...la manovra di bilancio assume natura marcatamente recessiva”. Secondo il Ref. (settembre 2011), in ipotesi di efficacia completa della manovra, la variazione del Pil nel 2011 si fermerebbe a +0,6% e scenderebbe nel 2012 a -0,1%. Secondo Prometeia (aggiornamento del Rapporto di Previsione, 2 settembre 2011), le variazioni del Pil e dei consumi nel 2011 si collocherebbero a +0,7% e a + 0,9%, rispettivamente, calando a +0,2% e a 0,4% l’anno successivo. La soglia recessiva non è, quindi, distante neppure per i più autorevoli centri di ricerca nazionali.

[4] Nell’ultimo Rapporto Svimez (settembre 2011), il Pil italiano è dato a +0,6% (contro la previsione di +0,7% formulata in questa nota). Secondo la Svimez, nel 2011 il Pil delle regioni meridionali crescerà soltanto dello 0,1%.

[5] Svimez, 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, Bologna, il Mulino, 2011.

[6] Le stesse considerazioni sono state fatte a proposito dei consumi pro capite (Ufficio Studi Confcommercio, Aggiornamento delle analisi e delle previsioni dei consumi nelle regioni italiane, agosto 2011).

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