APERTURA DEL FORUM DI CERNOBBIO.

APERTURA DEL FORUM DI CERNOBBIO.

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31 marzo 2000
Cernobbio

 

Il ministro del Tesoro, Giuliano Amato ha detto ieri che il pericolo di nuovi sforamenti della spesa pubblica sta riemergendo in questa campagna elettorale e gli sta togliendo molte ore di sonno. Si consoli Amato. Noi il sonno lo abbiamo perso da tempo , ma per un altro motivo, altrettanto preoccupante: sappiamo ancora assai poco, quasi nulla, dei programmi che il governo intende realizzare per far ripartire finalmente l’economia italiana e , in particolare, mercato e consumi fermi ormai da fin troppo tempo.

 

E a cosa serve soprattutto questa Cernobbio due? A giocare, almeno spero, a carte scoperte su questo come su altri problemi per capire, stando al di fuori degli steccati della politica, come stanno veramente le cose in Italia, ma anche in Europa e altrove. Vuol essere anche un momento di riflessione collegiale, tra veri esperti, su quel che potrà produrre, nella pratica, la new economy, come si trasformerà quella vecchia e quali intrecci, legami e forse anche collisioni vi potranno essere tra le due. Nelle ultime 24 ore la Borsa dei titoli telematici che sembrava destinata ad una folgorante ascesa sembra aver fatto precipitosi passi indietro. E’ sicuramente un segno che questo mercato non è ancora arrivato a quella fase di assestamento che possa consentire analisi e programmi che, per il futuro, abbiano una sufficiente soglia di credibilità.

 

Cernobbio due cercherà di mettere a fuoco il segmento dell'economia che ci riguarda più da vicino - distribuzione, servizi, tecnologie - ma non perdendo di vista il quadro generale che, con l'avvento della globalizzazione dei mercati, riguarda ormai anche tutti noi, i nostri interessi, le nostre aspettative.

Con riflettori puntati, in particolar modo, sull'Italia e su tutto ciò che le si muove intorno. Con quattro problemi da affrontare e risolvere nel più breve tempo possibile se si vuole evitare che il nostro paese, invece di andare avanti, torni indietro, si declassifichi, resti di un paese ad alta industrializzazione soltanto la facciata.

 

1.      Prima di tutto occorre rimuovere i fattori strutturali che oggi stanno, di fatto, arrestando il processo di liberalizzazione e di modernizzazione del nostro paese. Questi fattori strutturali pesano oggi come macigni e vanno rimossi. Come? Ponendo mano ad un programma di riforme da fin troppo tempo lasciate in frigorifero:

a)      una privatizzazione reale, meglio scadenzata, la più rapida possibile, di tutte le aziende ancora in mano pubblica.Tali privatizzazioni, nel loro complesso, potrebbero fare affluire nelle casse dello Stato almeno 70-80 mila miliardi, parte dei quali potrebbero essere utilizzati a breve non solo per ristrutturare e modernizzare l'amministrazione pubblica, ma anche per quegli investimenti nelle infrastrutture di cui c'è assoluto bisogno. Per questo vanno combattute con rinnovato vigore le lobbies pubbliche e private che oggi non solo impediscono una sostanziale liberalizzazione del mercato ma producono anche effetti distorti, nel quadro economico, inflazione compresa. La verità è che il governo ha fino ad ora deciso, su queste questioni, di giocare a carte coperte non dicendoci nulla o quasi nulla sulle sue vere intenzioni. Quanto durerà questo silenzio ? E’ legittimo e soprattutto utile questo atteggiamento? Noi crediamo di no. Guidare avvolti dalla nebbia è l’ultimo dei desideri degli operatori.

 

b) una riforma del sistema pensionistico che affronti, in modo adeguato, il problema del sempre più rapido invecchiamento della nostra popolazione. Avrebbe dovuto essere fatta già un anno fa e ora non c'è più tempo per ulteriori attese. Le date per una verifica del sistema cambiano di continuo. La verità è che si tratta di un problema troppo grosso, importante ed urgente per essere legato solo ad umori, scadenze ed opportunità di tipo elettorale. Gli analisti ci dicono che , nel 2041, metà della popolazione italiana , che sarà ridotta da 57 a 48 milioni,dovrà mantenere l’altra metà che avrà raggiunto ormai l’età della pensione.E i casi sono soltanto due: o chi lavora riuscirà a raddoppiare il suo reddito, cosa che mi sembra improbabile, o redditi e tnore di vita finiranno per essere dimezzati.Cosa aspettiamo ad affrontare per tempo un simile problema?

 

c) una sostanziale modifica delle regole che governano il mercato del lavoro, regole che permettano il rilancio dell'occupazione, problema rimasto ingessato da fin troppo tempo. E' ormai certo che il vecchio sistema industriale non è più in grado di produrre nuova occupazione e che anzi sta gradualmente riducendo quella che ha. D'altra parte dovrebbe essere chiaro a tutti che il settore dei servizi, l'unico che stia oggi producendo nuovi occupati, ha assoluto bisogno, per quanto riguarda i rapporti di lavoro, di regole diverse e assai più flessibili di quelle che esistono a Mirafiori o in altre imprese dello stesso stampo. Per questo è indispensabile che anche le Confederazioni sindacali rivedano i loro atteggiamenti sulla scia di quello che da tempo hanno fatto, ad esempio, i sindacati britannici. Anche Cofferati ammette che è finita ormai l'era del posto fisso. Ma allora perché non ne trae le logiche conseguenze? Ad affrontare questi problemi avrebbe dovuto essere la concertazione. Ma essa , avviata con il famoso patto di Natale, è finita nel nulla, è scomparsa, si è dissolta.Fatto grave che accentua le nostre proeccupazioni.Per quanto tempo ancora il governo continuerà ad essere a questo tavolo un convitato di pietra?

d) riforme istituzionali che diano stabilità, organicità e maggiore modernità al nostro assetto politico la cui continua, nevrotica fibrillazione non consente oggi il varo di programmi che siano incisivi per un organico sviluppo della nostra economia. Tenendo ancora in piedi questo assetto istituzionale l'Italia rischia veramente di essere tagliata fuori dai grandi giochi dell'economia mondiale. Dopo il voto sui referendum intendiamo porre di nuovo e con forza questo problema sul tavolo.Attendere altri eventi per affrontarlo ci sembra pura follia.Ma anche il Mezzogiorno è un fattore strutturale assai ingombrante per l’Italia ma anche per l’Europa.Primo, perché sta aumentando il gap Nord-Sud in termini di occupazione, redditi e consumi.Secondo, perché le autorità fi Bruxelles hanno sostanzialmente chiuso la porta davanti alla richiesta dell’Italia , per ridurre questo gap, un regme fiscale per il Sud più favorevole.

 

2.   Occorre cominciare a fare chiarezza nell'area dei servizi sia pubblici che privati. I primi - mi riferisco soprattutto a ferrovie, trasporti aerei e servizi gestiti dalle municipalizzate - pur avendo costi assai onerosi e che l'erario scarica sui contribuenti, brillano per la loro inefficienza. I secondi impongono di fatto al mercato leggi di cartello che è l'esatto contrario di quel che un mercato veramente libero e trasparente dovrebbe avere. L'inefficienza dei servizi pubblici, da un lato, la cartellizzazione di quelli in mano ai privati, dall'altro, aggravano il cittadino e le imprese di costi aggiuntivi che stanno diventando insopportabili. Non vorremmo che l’ingresso , in Italia, della nuova economia inaugurasse anche una stagione di nuovi monopoli, pubblici e privati.

 

3.   Occorre programmare interventi consistenti, rapidi ed incisivi che consentano il decollo dell'information technology, settore nel quale l'Italia è oggi gravemente deficitaria. L'Ocse sostiene che il nostro paese è, da questo punto di vista, "ancora all'età della pietra". Non gli si può dar torto. Se non si affronta subito questo problema, anche a livello di formazione scolastica e post scolastica, non c'è solo il rischio di avere, in breve tempo, un numero di disoccupati ancora maggiore di quello che già sopportiamo, ma anche il pericolo, più serio e vicino di quanto non si creda, che l'Italia, nell'era della new economy, diventi una colonia e finanzi, con il proprio risparmio, solo la crescita di altri paesi. Ci sono molte cose da fare per sventare questo pericolo che è più vicino di quanto non si creda.Pensiamo , ad esempio, all’enorme potenziale offerto dai 23 milioni di cellulari che circolano ora in Italia e che ancora, per la maggior parte, vengono utilizzati per fini scarsamente produttivi. Pensiamo alle potenzialità offerte, per lo sviluppo del prodotto italiano, dei sistemi a banda larga. O anche essi finiranno nella tasca di qualche monopolio?

 

4.   L'Europa di Maastricht è stata sicuramente, sotto il profilo politico, una delusione, un mezzo flop. I vertici dei 15 si susseguono ma con risultati che non vanno al di là delle buone intenzioni.Anche a Lisbona è andata così. L'unica decisione presa di recente - e nella direzione sbagliata - è stata quella di togliere al cioccolato la sua vera identità. Abbiamo fatto un grosso favore alla Svizzera che ora ha una ragione di più per restare fuori dell’Ue. Per recuperare competitività e affrontare, in modo più incisivo, il non risolto problema dell'occupazione che resta il problema numero uno, l'Europa deve assolutamente fare un salto di qualità, dare quei segnali di tipo politico che non è riuscita a dare, fare anche autocritica e modificare tutto ciò che, nel suo impianto, non ha fino ad ora funzionato. Se, a questo scopo, fosse anche necessario procedere ad una revisione delle norme del Trattato, nessuno griderebbe allo scandalo. Il vero scandalo è continuare a fare quel che oggi si fa, anzi non si fa.

 

In attesa che da questi quattro fronti arrivino finalmente buone notizie, il mondo delle 750 mila imprese che Confcommercio rappresenta - assai preoccupato sia per l'esasperante lentezza con cui procede il processo di liberalizzazione del mercato sia per il sostanziale insabbiamento delle riforme sia ancora per il perdurare di una situazione economica che continua ad indebolire il potere di acquisto delle famiglie e a far da freno ai consumi - ha deciso di tornare in trincea e di dare battaglia su tutti i fronti, in tutte le sedi.

 

L'obiettivo è quello di premere sul Governo e sulle forze politiche perché mettano finalmente sul tavolo e risolvano il problema più grave, più urgente e più pressante di questo paese, quello di una congrua e generalizzata riduzione della pressione fiscale. Abbiamo il sospetto, qualcosa di più di un sospetto dato che molte fonti autorevoli la pensano esattamente come noi, che il governo, per quanto riguarda l’entità della pressione fiscale e il volume delle entrate, continui a farci vedere carte truccate.

 

Non si può più continuare a giocare a mosca cieca su un problema del genere, da cui dipendono le sorti della nostra economia.

Il ministro Visco si decida quindi una buona volta a fare chiarezza  sui conti , una chiarezza che oggi non c’è.I nostri calcoli , fatti sui dati disponibili, ci dicono  che la pressione fiscale è aumentata di almeno un punto in percentuale  quindi assai di più dello 0,3% dichiarato dal governo. Basta considerare il fatto che le entrate , nel 1999, sono aumentate, in termini di cassa,dell’11,2% rispetto all’anno precedente.Quindi questo 0,3% non  è un dato attendibile.C’era l’accordo che il maggior gettito doveva essere restituito alle componenti sociali, cosa che settorialmente non è avvenuta.Per quanto riguarda la spesa pubblica , invece di avere l’auspicato contenimento , abbiamo avuto un aumento della spesa dello 0,6% e parliamo di una spesa pubblica che oggi impegna già oltre la metà del prodotto interno lordo di questo paese.

Riducendo subito, in modo generalizzato, le aliquote Irpef ed Irpeg - e il Governo ha oggi, per esplicita ammissione dello stesso Presidente del Consiglio, le risorse per farlo - il mercato riceverebbe subito una salutare boccata di ossigeno, quella di cui hanno bisogno le imprese per tornare ad avere voglia di investire e produrre, e quella di cui hanno bisogno le famiglie per poter ritornare allo standard di vita e di consumi che da qualche anno hanno dovuto abbandonare.

E anche lo Stato, ovviamente, ne avrebbe un proprio tornaconto perché con l'aumento della produzione e dei consumi i sacrifici fatti dall'Erario verrebbero presto adeguatamente ripagati.

Attendere l'estate o addirittura l'autunno per questa manovra fiscale ci sembra assurdo per tre motivi.

 

Primo, perché i soldi ci sono (40 mila miliardi di maggiori entrate con l'aggiunta di quelli che arriveranno con le nuove privatizzazioni), secondo, perché questo è proprio il momento, visti i primi segnali di ripresa che vengono dal settore industriale per quanto riguarda l'export, per rimettere in corsa la macchina economica e il mercato, terzo, perché non c'è più ragione di mantenere i 4-5 punti in più che, all'inizio degli anni '90, furono aggiunti alle aliquote per consentire all'Italia di entrare nell'Europa di Maastricht. Ora, nell'Europa, ci siamo ormai dentro ma rischiamo anche di morirci.

 

Chiediamo cioè al Governo un atto di coraggio: metta da parte le tattiche elettorali, analizzi i problemi per quel che veramente sono e decida qualcosa di finalmente utile e di produttivo per tutto il paese.

Del resto, una riduzione generalizzata delle aliquote viene da tempo sollecitata non solo da Bruxelles ma anche dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca d'Italia, strutture che pur conoscendo bene, meglio di chiunque altro, l'entità del nostro debito pubblico, insistono da tempo, anche con foga, perché questa decisione venga finalmente presa.

O anche loro, come noi, stanno prendendo un abbaglio?

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