ASSEMBLEA ORDINARIA DI CONFCOMMERCIO

ASSEMBLEA ORDINARIA DI CONFCOMMERCIO

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3 dicembre 1999
Competizione e sviluppo : l'agenda del Paese,

Competizione e sviluppo: l'agenda del Paese,

l'agenda di Confcommercio

 

 

Un'agenda per il sistema-Paese

 

Conquistati sotto "stress" i parametri di Maastricht e l'ingresso nel club della moneta unica, si sono riproposti, con tutta la loro urgenza, i consueti ritardi strutturali del caso italiano: l'articolazione di una politica economica non limitata al pur necessario processo di risanamento della finanza pubblica, l'instabilità del sistema politico e l'inadeguatezza della cornice istituzionale, i deficit della dotazione infrastrutturale e dell'impegno globale in formazione, ricerca e sviluppo, i divari territoriali e la crisi della legalità.

Sono questi ritardi strutturali che mettono in discussione la competitività del sistema-paese e che postulano, dunque, la necessità di una reimpostazione dell'agenda di politica economica del Governo. Nel mercato globale, infatti, la competizione non è più settoriale, ma territoriale. E' quindi alle politiche di sviluppo territoriale che spetta il compito di far crescere il sistema d'impresa, scegliendo tra un'opzione di modernizzazione spinta, dura e pura, ed una più complessa alternativa di conciliazione della crescita con l'equilibrio sociale.

Così, ad esempio, produttività ed efficienza di sistema e ruolo delle PMI possono essere tenuti insieme attraverso gli strumenti delle politiche di rete e dell'associazionismo economico.

Proviamo allora a declinare i titoli di alcuni capitoli di questa agenda di politica economica. Muovendo, naturalmente, dalla consapevolezza del fatto che nessuno dispone, per così dire, di ricette preconfezionate ed esaustive; ma riconoscendo anche che dalla riflessione su ruolo, problemi e prospettive dell'economia dei servizi di mercato è possibile iniziare a mettere ordine tra i materiali di lavoro ed a disegnare un percorso di scelte che dia sostanza nuova agli impegni dichiarati per lo sviluppo, l'occupazione ed il recupero dei divari territoriali.

Commercio, turismo e servizi producono un assorbimento di occupazione maggiore e più rapido di qualunque altro settore. Un dato fra tutti: l'industria ha espulso negli ultimi tre anni il 4% degli occupati; tutto il commercio, tradizionale e non, ha contenuto la flessione dell'occupazione nella misura dell'1,7% complessivo. La ragione di questa capacità del terziario di fare occupazione sta nel fatto che oggi le politiche di sviluppo sono politiche di filiera, politiche cioé orientate al mercato e che nel mercato trovano le ragioni di successo o insuccesso. La distribuzione è dunque ciò che da valore aggiunto alla filiera.

La stessa Unione europea imposta "Agenda 2000", il progetto di riassetto dei fondi strutturali fino al 2006, intorno al tema della qualità, della vivibilità delle città. Quelle città di cui i servizi di mercato sono il tessuto interconnettivo, "vocato" al modello di crescita urbana.

Anche i distretti industriali vengono sempre più evolvendo verso la configurazione di "centri servizi", luoghi di assemblaggio di produzioni sempre più multi-localizzate, all'interno od all'esterno del singolo distretto.

Lo sviluppo dipende dalla capacità di competizione nel mercato globale e dal livello di internazionalizzazione del nostro sistema di imprese. Ma lo sviluppo richiede anche crescita dei consumi e del mercato interno. Dunque si fa sviluppo importando capacità di offerta ed attraendo investimenti dall'esterno per la localizzazione di insediamenti produttivi. Ma si fa sviluppo anche importando capacità di domanda, come avviene - in maniera tipica - nel caso del turismo. Con nessi del tutto evidenti tra questa crescita della domanda, l'occupazione e, ad esempio, la crescita del Mezzogiorno.

Sui ritardi della dotazione infrastrutturale del Paese, tutti concordiamo. Una riflessione in più bisognerebbe comunque farla sul "tipo" di infrastrutture da considerare prioritarie. Un approccio che miri al recupero del mercato interno non può non segnalare l'urgenza dell'intera gamma delle infrastrutture di connessione tra i mercati: fiere, snodi intermodali, trasporti e reti telematiche.

Ma anche le infrastrutture per l'importazione destinate al miglioramento delle capacità logistiche e di trasporto: per acquistare meglio ed a condizioni più convenienti. Insomma, non c'è più mercato locale che si possa difendere se non interconnettendolo con gli altri mercati locali.

Ed ancora il terziario di mercato significa mestiere e professionalità, lavoro autonomo e d'impresa. Un'economia privata e non assistita consapevole della necessità della riforma del "welfare" come condizione strutturale per il riequilibrio della finanza pubblica e per il contenimento del peso del prelievo fiscale, leva essenziale per l'incentivazione degli investimenti produttivi e per una credibile strategia di crescita dell'occupazione.

L'agenda di politica economica si infittisce dunque con una serie di snodi politico-legislativi e strutturali: dalla riforma del welfare e del sistema fiscale alla questione del costo del lavoro e dell'ordinamento del suo mercato; dalla riforma dei mercati finanziari alla competitività del nostro sistema bancario; dai ritardi nelle innovazioni di prodotto e di processo alla qualità del sistema formativo e di ricerca; dall'impatto della Bassanini sulle regole, scritte e non, di autoconservazione degli apparati burocratici agli esiti del processo di riaffermazione della legalità nel Paese in termini d'impasse dei processi decisionali e di responsabilizzazione della funzione pubblica, che tanto incide sulla difficoltà nel riavviare la leva delle opere pubbliche necessarie.

Riforme liberali e di libertà. Riforme reali e non liberalizzazioni dichiarate. A proposito delle quali, come nel caso della disciplina del commercio, sarebbe interessante verificare quale ne sia stato l'impatto sull'occupazione complessiva, ed in particolare su quella dei giovani e delle donne, posto che alla ridefinizione delle regole di accesso al mercato non si è accompagnato (ed era la sostanza di quel che chiedevamo e che chiediamo) l'avvio di quelle politiche attive per il settore e di quelle riforme di struttura che abbiamo fin qui cercato di tratteggiare.

 

Le condizioni di una rappresentanza competitiva

 

Non più settori, ma filiere; non più categorie economiche, ma modi diversi e fra loro competitivi di organizzare l'attività d'impresa. E' questo il nuovo orizzonte dell'economia del terziario, in cui le componenti di processo e la qualità del servizio fanno ormai la differenza, determinando il successo o l'insuccesso, la crescita o la crisi. E' un modo d'essere e di fare impresa i cui confini si estendono oggi dall'area delle attività professionali fino all'integrazione spinta tra distribuzione e produzione, passando attraverso le zone in costante evoluzione delle figure consulenziali e del cosiddetto universo del parasubordinato. Tutto ciò ha da tempo riaperto il confronto tra i diversi sistemi di rappresentanza imprenditoriale, determinando un crescente confronto competitivo "al centro": sui servizi e le professioni, sulla distribuzione e sul turismo. E' una sfida cui non possiamo sottrarci; una sfida - anzi - che dovremo essere noi stessi a sapere condurre in campo altrui.

Lo si può fare. Ma a condizione, naturalmente, che l'Organizzazione da cui partiamo abbia ben chiari e condivida criteri e principi della strategia di consolidamento e sviluppo dei propri ambiti di rappresentanza.

Il primo criterio - l'Organizzazione come soggetto politico autonomo - è sicuramente quello che abbiamo fin qui maggiormente praticato ed introitato. Il pur imperfetto maggioritario all'italiana ha infatti rafforzato le condizioni della rappresentanza territoriale per collegi rispetto alle rappresentanze funzionali. Autonomia e centralità associativa hanno invece posto, con ancora maggiore enfasi rispetto al passato, la questione dell'offerta dei prodotti associativi e della qualità dell'azione di lobbying nei confronti del sistema politico-istituzionale. Quanto abbiamo fatto sul versante dei prodotti associativi (fisco, lavoro e previdenza; reti, credito ed internazionalizzazione) è tanto, ma ancora non basta. Quanto abbiamo fatto sul versante dell'azione di lobbying, è stato anche esso molto, ma non sufficiente.

L'elemento in più che dobbiamo dispiegare, il differenziale competitivo che dobbiamo mettere in campo anche rispetto agli altri sistemi di rappresentanza è la dimensione del territorio: dando respiro a quella cultura dei "distretti" che così profondamente impronta la "success-history" del modello italiano ed il ruolo in essa svolto dalle PMI.

E' questa dimensione che può consentirci di "tenere insieme" e di far positivamente interagire esigenze e potenzialità degli aggregati associativi della grande impresa, delle PMI, del lavoro autonomo e professionale.

Non è stato questo il metodo di "successo" applicato nella vicenda delle Camere di Commercio? La capacità di far valere ed ampliare la propria capacità di rappresentanza facendo leva sulla dimensione del territorio.

Del resto, con il corpo dei provvedimenti "Bassanini" quanto a compiti amministrativi, funzioni di governo ed indirizzo, incentivi per le imprese si compie una decisa riallocazione dei centri decisionali, dei poteri reali in direzione del territorio e delle sue articolazioni.

L'importante è garantire che all'interno di questo processo si effettuino reali razionalizzazioni e semplificazioni, che il principio di sussidiarietà venga coerentemente applicato, che il saldo netto complessivo dell'attività di delegificazione e deregolamentazione risulti incrementato.

Di qui dunque la necessità di concludere, con urgenza, il riassetto organizzativo del nostro attuale sistema associativo, consentendone una sorta di "certificazione" di qualità di ogni componente.

Condizione necessaria per consolidare la rappresentanza e per allargarne i confini; condizione necessaria per dar credibilità a scelte forti indirizzate a confermare il ruolo del turismo e dei servizi nel nostro sistema di rappresentanza, assicurandone anche un più marcato profilo statutario ed una più strutturata dimensione organizzativa.

 

 

L'analisi organizzativa dello Studio Bain, Cuneo & Associati

 

Il quesito di fondo che abbiamo posto allo Studio Cuneo è stato fondamentalmente questo: come consentire all'Organizzazione nel suo complesso (tanto nella dimensione della politica quanto in quella tecnica) di compiere, il più rapidamente ed efficacemente possibile, un passaggio di fase: dalla riscoperta dell'autonomia e centralità associativa, dalla riaffermazione del nostro ruolo come parte sociale riconosciuta nel Paese alla questione dell'offerta dei prodotti associativi e della qualità dell'azione di lobbying.

Il "nuovo" che abbiamo immesso all'interno del sistema associativo, il "nuovo" che esprimiamo nel confronto con gli interessi reali e con le altre forze sociali non può più essere interpretato e "governato" all'interno degli schemi consueti di questa Organizzazione.

E dunque: o si cambia, o ci si avvia lungo il crinale discendente della parabola che abbiamo fin qui tratteggiato. Per cambiare, occorre darsi "regole": nuove, adeguate, condivise. Avviando, in altri termini, un vero e proprio processo "rifondativo", al quale tutti sono chiamati a partecipare mettendosi in gioco, ma al termine del quale livelli, ruoli e responsabilità, risorse dovranno essere complessivamente ridefiniti.

Dobbiamo perseguire un modello di Confederazione più snella ed efficiente; dobbiamo trasferire risorse e funzioni a livello territoriale; dobbiamo costruire le Unioni regionali, senza riprodurre nuovi effetti "centralistici" di più basso livello; dobbiamo avere Associazioni territoriali più efficienti ed interrogarci sui livelli di rappresentanza cittadini ed infra-metropolitani; occorrono Associazioni di rappresentanza settoriale e fattoriale, più che categoriale. Tutti lo sappiamo, tutti ce lo diciamo e, sul piano delle "pubbliche virtù", lo condividiamo. Occorre però, per passare al fare, che tutti, la dirigenza politica ma anche quella tecnica, abbiano consapevolezza del fatto che questi processi non possono essere a somma "zero".

Che essi "costano" qualcosa a ciascuno di noi ed a ciascuna Organizzazione: "costano" in termini di risorse, ma anche di prerogative e di tranquille rendite di posizione. Tuttavia, senza l'accettazione di questi "costi", l'appello alla realizzazione di un nuovo modo - più terziario - "di lavorare e di valorizzare le risorse già esistenti" rischia di rivelarsi anch'esso inefficace.

La soluzione al problema non può stare allora se non nel traguardarci sull'adeguatezza di ciascuna componente organizzativa, e dell'Organizzazione nel suo complesso, ai nuovi obiettivi; sta in quel "sistema di verifica e certificazione dello stato di adeguamento agli standard", che potrebbe davvero innestare un processo non censorio, ma evolutivo (ricordate: una "Maastricht" di sistema) delle aree fragili del nostro sistema associativo, innescando al contempo scambi di "buone pratiche", ricorso alla formazione e concrete traduzioni operative di un modello di Organizzazione di rete.

Formazione e tecnologie diventano così i fondamentali "assets" del patrimonio dell'Organizzazione; lavorare per il loro potenziamento e la loro valorizzazione dovrebbe essere la priorità, tanto della dirigenza politica, quanto di quella tecnica.

In questi anni - lo ricordavo - abbiamo compiuto un bel cammino. E' stato il tempo della ricostruzione dell'identità sociale dell'Organizzazione, ma anche del suo risanamento. Sarebbe stato utile riuscire a tenere insieme il tempo del risanamento, e quello delle riforme e dello sviluppo.

Lo abbiamo potuto fare solo parzialmente, e le tante "emergenze" di questa faticosa transizione del Paese verso la nuova costituzione materiale di Maastricht - dall'equilibrio dei conti pubblici costruito a scapito del mercato interno alle liberalizzazioni a geometrie variabili sperimentate per la distribuzione commerciale - hanno inevitabilmente dettato le priorità di una generosa stagione di impegno sindacale, di cui sentitamente Vi ringrazio.

Ora è però il tempo delle regole, delle riforme e dello sviluppo.

 

 

I principi di Abano

 

Per queste ragioni, il Consiglio confederale, riunitosi subito prima del recente meeting organizzativo di Abano, ha deciso di proporre a questa Assemblea uno schema di delibera sui “principi e le linee guida della ristrutturazione organizzativa del sistema associativo”, che ripercorre e riconduce a schema unitario alcune priorità già segnalate dagli Organi confederali: la realizzazione delle Associazioni di settore, la centralità strategica delle Unioni regionali, la definizione e la “certificazione” degli standards organizzativi.

Non solo. Anche sul piano dell’utilizzo delle risorse del sistema, lo stesso Consiglio ha accompagnato alla delibera di predisposizione dello schema di bilancio preventivo un atto programmatico d’impegno ad un processo di ulteriore contenimento e razionalizzazione delle spese generali e correnti, finalizzato alla “liberazione”- monitorata attraverso un progetto di budget quadriennale - di consistenti flussi di risorse dedicate allo “start-up” delle priorità organizzative identificate. Tra di esse, ancora, l’introduzione di un sistema premiante quale elemento concorrente, per le Associazioni e la loro dirigenza tecnica, all’innesco di un processo di sviluppo della base associativa.

Insomma, l’itinerario è stato delineato con sufficiente chiarezza. Ed ai lavori del meeting di Abano (moltissimi tra Voi, se non tutti, lo hanno vissuto in “presa diretta”) è stato, per così dire, “demandato” il compito di trattegiarne il master-plan, di approfondirne obiettivi specifici, strumenti e modalità organizzative, tempi di realizzazione. Secondo un filo conduttore, evidenziato fin dal titolo del meeting, che ha tenuto insieme tanto la discussione sull’architettura organizzativa quanto la riflessione sugli strumenti operativi: lo sviluppo del sistema associativo.

Un titolo sintetico per indicare la necessità di strumenti organizzativi ed azioni politico-sindacali su di esso convergenti:

 

·          l’estensione della rappresentanza e l’adeguamento dell’organizzazione alla nuova geografia dei poteri, l’aumento della coesione interna al sistema, il miglioramento dei servizi di base e lo sviluppo di quelli evoluti, l’attenzione al marketing associativo.

 

Lo sviluppo del sistema associativo è - abbiamo detto - un obiettivo necessario e possibile.

Necessario, perché, per un verso, si registra una crescente influenza delle buone ragioni delle imprese del terziario nell’economia e nella società del Paese ed una rinnovata attenzione dei “decision-makers” nei confronti della nostra Organizzazione come loro rappresentanza complessiva; per altro verso, il trend decrescente della base associativa è stato sì rallentato, ma non ancora arrestato e soprattutto invertito.

E’ questa, dunque, la “contraddizione” che va sciolta, assumendo l’obiettivo dello sviluppo del sistema associativo come un valore, che produce valore, nell’attività politico-sindacale, non meno che sul fronte dell’organizzazione delle “convenienze” per l’attività d’impresa e dell’erogazione dei servizi.

Il lavoro di analisi condotto da “Bain, Cuneo e Associati” dimostra, poi, che questo obiettivo è realisticamente perseguibile. Le conferme vengono sia dall’analisi della dispersione della penetrazione su base regionale, che evidenzia gli ampi margini di miglioramento perseguibili attraverso l’assunzione di “benchmark” costruiti su casi di successo per territori omogenei, sia dai test e dalle ricerche di mercato condotte sull’universo dei non-associati, dalle quali emerge che circa tre imprenditori su dieci manifestano interesse ad entrare in contatto con Confcommercio e ad avvalersi di eventuali servizi.

C’è dunque un cospicuo potenziale aggredibile. Tanto maggiore, poi, in quanto noi si scelga di assumere come spettro strategico della nostra missione di rappresentanza l’intero orizzonte dell’economia dei servizi.

Per aggredirlo con successo, dobbiamo meglio comprenderne e segmentarne bisogni ed attese e costruire un’offerta conseguente ed adeguata, e forse non sempre coincidente con le priorità tradizionalmente assunte nel modo d’operare di larga parte del nostro sistema associativo.

“Ingegneria” finanziaria, assistenza allo “start-up”, organizzazione delle “convenienze” e comunicazione tecnologicamente avanzata emergono infatti come il “cuore” della gamma di servizi attesi, richiedendoci un impegno in queste direzioni almeno pari a quello fin qui profuso sul terreno “classico” dell’assistenza agli adempimenti.

Comprendere e condividere le priorità, e costruire il percorso organizzativo per il loro perseguimento, richiede però un “prius” conoscitivo sullo stato della nostra rete territoriale. Ne abbiamo così condotto un rapido ma compiuto “check”, finalizzato soprattutto all’individuazione di strategie d’azione e di priorità, anche territoriali.

Alcuni dati sono emersi come particolarmente significativi:

 

·          circa 750.000 associati potenziali “insistono” nell’area di competenza di 25 Associazioni territoriali; un po’ meno di 600.000 fanno riferimento all’area di 62 Associazioni;

·          rispetto ad una penetrazione media di sistema del 20%, 57 Associazioni territoriali si collocano al di sopra, con valori compresi tra il 25 ed il 29%; 45 Associazioni si collocano al di sotto, con valori compresi tra il 12 ed il 14%;

·          aree metropolitane, anche del Mezzogiorno, giovani imprenditori e nuove imprese, imprese dei servizi sono i grandi bacini di sviluppo della rappresentanza.

 

Su questi bacini di sviluppo siamo chiamati a verificare la nostra capacità e volontà di fare sistema, realizzando le più ampie convergenze possibili tra ruoli di rappresentanza e tutela, di erogazione di servizi e di sviluppo, che disegnano, nel loro complesso, l’architettura complessiva della nostra Organizzazione.

Così stanno le cose. L’impegno per lo sviluppo, che nasce dalla consapevolezza che dobbiamo e possiamo perseguirlo, implica scelte conseguenti sul piano:

 

·          dell’analisi dei potenziali e della definizione degli obiettivi territoriali;

·          delle strutture dell’0rganizzazione;

·          della qualità dei servizi;

·          del presidio strategico dell’innovazione e della comunicazione;

·          delle scelte d’investimento.

 

Ecco, su questi obiettivi, su questi impegni dobbiamo misurarci. Dobbiamo farlo, naturalmente, non con l’approccio generoso e utopistico di chi vuole gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma con la responsabilità e la tenacia di chi sa che il “nuovo” prende corpo, giorno dopo giorno, con un lavoro paziente e faticoso.

Alla fine di questo discorso ed all’inizio di questo percorso, dieci principi non per concludere, ma per cominciare:

 

1.       Assumiamo come “mission” l’obiettivo della crescita della rappresentanza. Lo facciamo perché ve ne è, al contempo, la necessità sindacale ed economica, e la possibilità di mercato.

 

2.       Riequilibriamo strategicamente l’orizzonte della nostra rappresentanza in direzione di tutto il terziario di mercato, e non soltanto di una sua parte.

 

3.       Applichiamo il principio di sussidiarietà come criterio informatore dell’architettura organizzativa. Facciamo, cioè, contare sempre di più chi ha il collegamento diretto con l’associato. Chiariti gli obiettivi, costruiamo una struttura che ne controlli, anzi ne certifichi, tempi e modalità di realizzazione: una “authority” per la Maastricht del sistema associativo.

 

4.       Assicuriamo a questo sistema strutture e regole adeguate ai bisogni ed alle aspettative espresse dalle imprese: qualità ed efficienza devono cioè divenire non soltanto valori riconosciuti, ma soprattutto metodi operativi.

 

5.       Ottimizziamo l’impiego delle risorse disponibili, allo scopo di “liberarle” per sostenere un più rapido processo di cambiamento finalizzato agli obiettivi che ci siamo dati.

 

6.       Facciamo in modo che la coesione, nel sistema, sia riconosciuta come valore che produce valore, anche economico oltre che organizzativo.

 

7.       Completiamo la riforma dello statuto, in modo che esso contenga regole più chiare e funzionali, ma al tempo stesso dia maggiore e autentica certezza di diritti e di doveri a tutti coloro che decideranno di partecipare attivamente a questo processo di cambiamento.

 

8.       Attività sindacale e compiti di servizio alle imprese devono essere due facce della stessa medaglia. Due facce e non una sola, perché ciascuna di esse opererà con responsabilità e logiche interne distinte, ma cooperanti rispetto all’obiettivo strategico della crescita della rappresentanza.

 

9.        Tutto questo sarà possibile realizzarlo se tutte le strutture, in ogni ruolo e versante impegnate, sapranno competere dandosi anche adeguati strumenti tecnologici. La “sfida” sulle tecnologie non è ormai un salto in avanti, un’innovazione possibile, ma una vera e propria necessità, se non vogliamo regalare spazi ed opportunità ad altri potenziali competitori.

 

10.    Se il nostro obiettivo è il mercato, associativo e delle imprese, bisogna evitare di cadere, invece, in quello che definirei il mercato delle illusioni. Questa strategia avrà, infatti, un valore ed un significato se riuscirà a trasbordare sulla nuova sponda anche tutti i valori, le esperienze, le competenze che si sono accumulate ed anche sedimentate nel corso della “storia” della nostra Organizzazione.

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