Intervento del Presidente di turno di R.E TE. Imprese Italia, Carlo Sangalli, all'Assemblea Patto del Capranica

Intervento del Presidente di turno di R.E TE. Imprese Italia, Carlo Sangalli, all'Assemblea Patto del Capranica

Roma, 10 maggio 2010

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10 maggio 2010

Autorità, Colleghe e Colleghi, Signore e Signori,
benvenuti e grazie per la Vostra presenza.

Grazie, ancora, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il messaggio di auguri inviatoci per lo svolgimento di questa Assemblea.

Ma un benvenuto ed un ringraziamento particolare, davvero di cuore ed anche un po’ emozionato, lo porgo – anche a nome degli amici Presidenti Guerrini, Malavasi, Venturi e Basso – a tutti i rappresentanti delle nostre Confederazioni oggi qui presenti: a tutti gli amici di Confartigianato, di CNA, di Confesercenti, di Casartigiani e di Confcommercio.

Rappresentano il nostro mondo, la nostra gente.

Rappresentano quel “popolo del fare impresa”, che – da sempre ed a volte quasi nonostante tutto – ha costruito, nel nostro Paese, crescita ed occupazione.

Rappresentano quelle piccole e medie imprese, quell’impresa diffusa che ha scritto la storia dei processi di sviluppo territoriale e che, nel territorio, ha agito come straordinario fattore di coesione sociale.

Rappresentano quell’Italia produttiva che – anche a prezzo di ristrutturazioni silenziose e dolorose e pur in una lunga stagione di competitività difficile e di crescita lenta - non ha tirato i remi in barca ed ha continuato a confrontarsi, nel nostro Paese e nel mondo, con il mercato e con le sue profonde e veloci trasformazioni.

Questa è la nostra storia. Ne siamo orgogliosi.

E vorremmo che tutto il Paese ne fosse orgoglioso.

Quotidianamente e concretamente orgoglioso, semplicemente perché pensiamo che il “popolo del fare impresa” sia, per il nostro Paese, una grande risorsa: per l’oggi e, ancor più, per il domani.

Per questo, oggi siamo qui.

Per dire – come si legge nelle prime righe del nostro Manifesto, del Manifesto delle Imprese del Territorio – che “il futuro del Paese è inscindibilmente legato alle piccole e medie imprese ed all’impresa diffusa”.

E, insieme, per chiedere – alle istituzioni ed alla politica, alle forze economiche e sociali – di condividere la responsabilità di fare quanto è necessario, affinché queste imprese possano compiutamente esprimere le loro potenzialità.

Chiediamo questa assunzione, questa condivisione di responsabilità. Ma sappiamo bene che la responsabilità è anzitutto nostra, delle nostre Confederazioni. Di chi cioè assume, come propria e peculiare missione di rappresentanza, “la relazione stretta – così è scritto nel Manifesto – tra imprese e territori”.

Del resto, è stato proprio sulla base di questa condivisione di missione – e dunque di principi, valori e politiche – che è nata, nel 2006, l’esperienza del “patto del Capranica”.

Era il 30 ottobre, e certamente i gruppi dirigenti delle nostre Confederazioni si ritrovarono allora, nella sala del Capranica, per dire un “no” determinato all’impostazione della manovra finanziaria per il 2007.

Per dire “no” a troppa pressione fiscale e contributiva. Per dire “no” a troppi rivoli di crescita della spesa pubblica. Per dire “no” ad una concertazione rituale, che celava antiche e solide relazioni privilegiate.

Ma, fin da allora, quel che invece chiedevamo – cioè maggiore attenzione alle ragioni della crescita e, dunque, maggior rispetto per le ragioni del “popolo del fare impresa” – segnalava che i motivi del ritrovarci insieme travalicavano condizioni e cause del “qui ed oggi”.

Insomma, ci ritrovavamo insieme anzitutto sulla base di interessi e attese, comuni e di lungo corso, delle nostre imprese, dei nostri imprenditori.

Questi interessi, queste attese si traducevano in domande, in richieste giustamente esigenti poste alle istituzioni ed alla politica, ma, altrettanto giustamente, poste anzitutto alle nostre Confederazioni.

Poste alla nostra capacità non solo di rappresentare di più e meglio le ragioni del “popolo del fare impresa”, ma soprattutto alla nostra capacità di agire per dare risposte effettive a queste ragioni.

Scegliemmo così, all’indomani della manifestazione del Capranica, di continuare a lavorare insieme, di sempre più condividere analisi e proposte, e di esprimerci in maniera unitaria, in ogni sede istituzionale: nella Sala Verde di Palazzo Chigi, luogo simbolico della concertazione; in occasione degli incontri con il Presidente Berlusconi ed il Sottosegretario Letta; in occasione delle audizioni parlamentari.

E’ stato un lavoro importante e che ha prodotto risultati concreti.

Ha sollecitato la crescente consapevolezza della capacità delle piccole e medie imprese e dell’impresa diffusa di confrontarsi con il mercato, coniugando insieme competizione ed efficienza, prossimità territoriale e coesione sociale.

Ha concorso a rendere chiaro che queste imprese non sono, allora, anomalia o contraddizione, eccezione o marginalità rispetto alla modernità.

Soprattutto, il nostro lavoro comune ha contribuito al definitivo riconoscimento del fatto che queste imprese sono – anche nel nostro Paese, soprattutto nel nostro Paese – larghissima parte di quell’economia reale, fatta di impresa e lavoro, la cui rivalutazione è davvero la prima necessità da trarre dalla lezione della “grande crisi”.

Ma lavorare insieme e sul campo ha anche rafforzato il nostro convincimento della necessità e della possibilità di costruire una risposta nuova e più efficace al problema della rappresentanza del sistema imprenditoriale italiano.

Andando oltre frammentazioni per classi dimensionali, per inattuali logiche settoriali, per antiche e cadute appartenenze politiche originarie. E cercando, invece, di fare anzitutto e meglio valere il contributo delle imprese del territorio alla crescita, allo sviluppo, alla coesione del Paese.

Per questo, oggi, apriamo una fase nuova e diversa dell’esperienza del “patto del Capranica”. Una fase in cui il nostro lavorare insieme assume forme organizzative stabili e strutturate, contenuti programmatici più impegnativi, obiettivi più ambiziosi.

Per questo, oggi, nasce “Rete – Imprese Italia”.

 “Nomen omen”: nel nome è il destino.

E, allora, “Rete” per dire di un destino, di una vocazione al tenere insieme, al connettere.

A tenere insieme ed a connettere le imprese; a tenere insieme ed a connettere le imprese ed il territorio; a tenere insieme ed a connettere le imprese, il territorio, il Paese.

“Rete”: per dire di “reti” che hanno solide radici nel territorio, ma sanno esplorare il mondo.

“Rete”: per dire – cito dal Manifesto – di imprese che “agiscono in rete, si uniscono per competere, fanno squadra” e che “significano modernità e sistema-Paese. Significano futuro”.

Ecco, “Rete – Imprese Italia” soprattutto questo, oggi, vuol dire : una “rete” lanciata verso il futuro.

“Rete – Imprese Italia ” nasce per dare, al “popolo del fare impresa”, identità e voce comune e dunque più forte; capacità di rappresentanza e di rappresentazione comune e dunque più forte.

Comune e dunque più forte, perché il nostro obiettivo non è la sommatoria aritmetica dei tanti – imprese ed imprenditori – che pur siamo e rappresentiamo.

Il nostro obiettivo, la nostra “ambizione” è piuttosto quella “di modernizzare – come conclude il Manifesto – la rappresentanza delle imprese per modernizzare l’economia e la società italiana. E’ una nostra responsabilità. E’ un’opportunità per il Paese”.

“Rete – Imprese Italia” è un’Associazione inter-confederale pensata come strumento unitario di rappresentanza e di confronto con le istituzioni, la politica, le altre forze economiche e sociali.

Insieme, “Rete – Imprese Italia” è una Fondazione, promossa dall’Associazione e dedicata al lavoro di approfondimento culturale e scientifico, alla costruzione di analisi e di proposte.

Associazione e Fondazione agiranno in stretto raccordo, avendo come finalità statutarie la promozione delle ragioni e dei valori dell’impresa, del lavoro, dello sviluppo territoriale, ma anche lo sviluppo dell’integrazione – politica e culturale – della rappresentanza del “popolo del fare impresa”.

I Presidenti delle Confederazioni fondatrici - che fanno parte degli Organi dell’Associazione e della Fondazione - si alterneranno nel ruolo di Presidente dell’Associazione, secondo un principio di rotazione semestrale.

Oggi, sono chiamato io ad aprire il ciclo dei Presidenti di “Rete – Imprese Italia”.

Ne avverto tutta la responsabilità, e ringrazio Giorgio Guerrini, Ivan Malavasi, Marco Venturi, Giacomo Basso e le loro Confederazioni per l’attenzione che hanno voluto riservare a Confcommercio ed a me personalmente.

Così come ringrazio di cuore – a nome mio, di Giorgio, di Ivan, di Marco, di Giacomo e delle nostre Confederazioni tutte – l’amico Giuseppe De Rita – il cui intervento farà seguito al mio – per avere accettato il nostro invito ad assumere l’incarico di Presidente della Fondazione.

Giuseppe De Rita non ha certo bisogno di presentazioni.

Dirò soltanto che ci è stato vicino fin dall’inizio, fin dall’apertura del cantiere di preparazione della nuova fase del “patto del Capranica”. Ci ha accompagnato in un percorso impegnativo e complesso. E lo ha fatto con l’intelligenza e la passione che gli sono propri e che ne hanno contraddistinto, in una pluralità di ruoli, l’impegno civile ed il lavoro culturale e scientifico di “investigatore” di lungo corso della storia dell’Italia repubblicana e delle sue trasformazioni.

Così pure, ringraziamo gli amici Aldo Bonomi, Paolo Feltrin e Stefano Zan. Li ringraziamo per averci anche loro accompagnato con altrettanta intelligenza e passione e per avere anche loro accettato l’invito a far parte del Consiglio di Indirizzo della Fondazione come Consiglieri scientifici indipendenti.

Ma, ancora una volta, un ringraziamento particolare è dovuto ai gruppi dirigenti delle nostre Confederazioni, le cui convinte ed unanimi deliberazioni hanno portato alla nascita di “Rete – Imprese Italia” ed a questa sua pubblica presentazione.

Questo è il miglior viatico per il debutto dell’esperienza di “Rete – Imprese Italia” e per i suoi sviluppi anche nei diversi contesti territoriali.

Ne abbiamo discusso per tempo. Ci siamo confrontati ed abbiamo deciso. Tutti insieme, perché tutti insieme convinti del fatto che far valere le ragioni delle imprese del territorio, farle valere di più e meglio, è anzitutto nostra responsabilità.

Nostra, anzitutto nostra la responsabilità, dunque. Ma – lo ripeto – ci sembra anche che questa scelta di nuova rappresentanza sia un’opportunità per il Paese.

Perché è una scelta di coesione ed unità. Perché è una scelta che guarda al futuro.

E di coesione, di unità, di scelte per un futuro migliore, il nostro Paese ha oggi particolarmente bisogno. Oggi, in una fase di ancora difficile transizione dalla recessione al ritorno alla crescita.

Scelta di coesione e di unità, dunque.

Sicché davvero si sbaglierebbe se questa scelta venisse letta nei termini della proposizione di un modello chiuso e/o tendenzialmente “antagonista”.

Il modello di “Rete – Imprese Italia” non è un modello “contro”: è un modello “per”.

E’ un modello programmaticamente aperto e plurale, che lavora per rafforzare le ragioni dell’unità di rappresentanza delle imprese e della collaborazione tra le imprese ed il lavoro. Non coltiva disegni “egemonici”, e men che meno si propone di agire per la conquista di spazi di potere.

Certo, “Rete – Imprese Italia” vuole essere influente. Vuole incidere sulla formazione delle scelte decisive per il futuro del Paese.

Ma davvero ci sembra interesse comune che queste scelte e la loro concreta attuazione tengano meglio in conto esigenze ed attese di larghissima parte dell’economia reale del Paese: delle piccole e medie imprese, dell’impresa diffusa, del “popolo del fare impresa”. E ciò, particolarmente, con una pratica della concertazione più attenta alla rappresentatività reale dell’economia reale.

Insomma, parafrasando un celebre adagio del capitalismo italiano, vorremmo che la capacità di rappresentanza di “Rete – Imprese Italia” venisse tanto pesata, quanto contata.

Ma contata e pesata anzitutto per la capacità di contribuire all’avanzamento degli interessi generali del Paese.

Vogliamo farlo – lo ribadisco - in maniera aperta e plurale. Ma anche con la coesione che nasce dal ritrovarsi insieme sulla base di qualche buon principio:

 

ü       la tutela rigorosa della legalità e della sicurezza e l’efficienza della giustizia contro ogni forma di criminalità e come fondamentale pre-requisito di crescita e di sviluppo;

ü       il pluralismo imprenditoriale – cioè la vitale compresenza di imprese piccole, medie e grandi – come esito e come condizione strutturale di democrazia economica;

ü       l’apertura dei mercati e l’attenzione alle ragioni dei consumatori fondate su una concorrenza a parità di regole;

ü       l’impegno per lo sviluppo territoriale e per una maggiore competitività dell’intero sistema-Paese.

 

Sono principi che vogliamo far valere.

Far valere in assoluta autonomia e in un confronto serrato con la politica.

Rivendicando il nostro diritto/dovere ad incalzarla e, quando necessario, a criticarla. Ma, sempre e comunque, sulla base di un giudizio di merito, che non si faccia mai pregiudizio.

Un confronto - con la politica e con le altre forze economiche e sociali - che “Rete –Imprese Italia” avvia già oggi, con questa Assemblea, perché non c’è davvero tempo da perdere.

Certo, la “grande depressione” è stata scongiurata, e la fase più acuta della “grande crisi” dovrebbe essere – davvero ce lo auguriamo in queste ancora difficilissime giornate - alle nostre spalle.

Ma la “crisi” non è conclusa.

Non è conclusa, perché resta elevato lo stato di sofferenza dell’economia reale.

Tante, troppe imprese hanno chiuso e non riapriranno; tante, troppe imprese continuano a registrare drastiche riduzioni di fatturato e si confrontano con incerte prospettive di mercato. La disoccupazione è cresciuta, ed il suo riassorbimento appare lento e difficile. Gli investimenti ed i consumi languono.

Insomma – pur non mancando, qui e là, incoraggianti segnali di ripartenza e di dinamismo, soprattutto sul versante dell’export – si può dire che, a tutt’oggi, il “motore” dell’Italia produttiva gira ancora troppo piano.

Del resto, gli scenari previsionali convergono nel segnalare, per l’Italia, una crescita del Pil, che - nel 2010 - dovrebbe attestarsi intorno all’1%, e che – nel biennio successivo – registrerebbe qualche ulteriore contenuto incremento.

Insomma, ancora una volta, una prospettiva di crescita lenta. Troppo lenta già per recuperare, in un lasso di tempo ragionevole, le condizioni del pre-crisi.

E non solo lenta, ma anche esposta a tutte le incertezze, a tutti i postumi della deflagrazione del modello della globalizzazione ruggente e poco governata, della crescita dopata dal debito e dal primato della finanza.

Il “popolo del fare impresa”, che si riconosce nell’esperienza di “Rete – Imprese Italia”, è fatto di gente concreta.

Non pensiamo che vi siano scorciatoie o bacchette magiche. Siamo consapevoli della scala globale dei problemi con cui ci stiamo confrontando e della necessità di risposte coordinate su scala globale.

Proprio per questo, però, non ci convince un’Europa titubante nell’agire, e vorremmo invece un’Europa più protagonista della strategia di uscita dalla crisi e di ritorno alla crescita.

Più politicamente protagonista. Un’Europa pronta nel rispondere tempestivamente all’emergenza-Grecia ed alla potenziale “crisi sistemica” dell’euro. Un’Europa determinata nel pigiare il pedale dell’integrazione delle politiche economiche degli Stati membri dell’Unione, e nell’applicazione del buon principio secondo cui “un etto di prevenzione vale più di un chilo di cura”.

 “L’Europa – ha dichiarato ieri il Presidente della Repubblica – non può esitare: siamo chiamati a promuovere un nuovo e più giusto modello di sviluppo. Una forte volontà politica comune deve emergere”.

Facciamo nostro questo appello. E condividiamo, dunque, quanto il nostro Governo sta facendo, affinché questa volontà politica emerga, si consolidi, si accresca.

Non siamo “declinisti”.

Perché riteniamo che – proprio nel tempo della crisi ed in maniera comparativa rispetto a quanto altrove accaduto – il nostro Paese abbia mostrato di avere qualche buon “fondamentale”: la maggiore solidità di un sistema bancario tradizionalmente più prudente, ma a cui chiediamo anche di essere più lungimirante; il risparmio delle famiglie; la coesione sociale di territorio ed il sistema di sicurezza sociale opportunamente potenziato, a contrasto della crisi, attraverso gli ammortizzatori in deroga; la flessibilità adattativa e la dinamicità delle piccole e medie imprese.

Non siamo “declinisti”. Siamo, però, realisti.

E, dunque, sappiamo bene quanto pesano, a discapito del Paese e delle sue prospettive di ripresa, ritardi strutturali di lungo periodo sul terreno dei fattori di produttività e di competitività, ed i problemi strutturali della finanza pubblica.

Sappiamo della necessità – oggi più che mai – di una gestione rigorosa dei conti pubblici, ed in particolare della necessità di ridurre quel debito pubblico – il quarto debito pubblico al mondo senza che la nostra sia la quarta economia del mondo – che - come ha efficacemente detto il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti – “divora il futuro”.

Ecco, allora, la nostra semplice proposta: ripartiamo dai punti di forza del Paese; irrobustiamo i suoi buoni fondamentali.

Ognuno, a partire dalle imprese, si misuri sino in fondo con la sfida della produttività. Ognuno faccia la propria parte.

E – tutti insieme – cerchiamo di condividere regole e riforme.

Regole di collaborazione e di cooperazione tra imprese e lavoro. Lo dico citando dalla relazione che Pierluigi Bersani, appena eletto Segretario, tenne all’Assemblea del Partito Democratico: “Quando dico lavoro, intendo dire lavoro e impresa a cominciare dalla piccola e media impresa”.

Regole di collaborazione e di cooperazione tra pubblico e privato: perché si riduca la “tassa” della burocrazia ed avanzi la semplificazione, anche attraverso la più ampia diffusione ed applicazione della posta elettronica certificata. Su questo, certamente il nostro impegno non mancherà.

Ma regole e scelte , ancora, per accelerare i tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni.

E regole e scelte che, in sintesi, ci aiutino a riconoscere ed a premiare responsabilità, merito e talento: nella funzione pubblica, nella scuola e nell’Università, ed in generale nel mercato del lavoro, anche attraverso il decollo operativo della rinnovata architettura della contrattazione.

Insieme, facciamo rapidamente avanzare il cantiere delle riforme, ricercando la maggiore convergenza tra le istituzioni, le forze politiche, le forze economiche e sociali.

Convergenza per le riforme istituzionali necessarie per il migliore funzionamento del circuito della decisione politica ed amministrativa.

Convergenza per le riforme economiche e sociali necessarie per un’Italia più ambiziosa e più giusta: per un’Italia, cioè, che cresca di più e meglio, producendo ricchezza, occupazione, sviluppo, coesione sociale e territoriale.

I capitoli dell’agenda delle riforme sono, peraltro, notissimi.

Il federalismo, ed anzitutto un federalismo fiscale necessariamente pro-competitivo e giustamente solidale. E, più esattamente, l’incrocio tra il processo di costruzione del federalismo fiscale e la riforma fiscale.

Si tratta – come ebbe a dire del federalismo fiscale il Presidente della Repubblica – di un passaggio “ineludibile”.

Si tratta di un’occasione – certo né scontata, né facile – per rafforzare, ad ogni livello istituzionale ed amministrativo, responsabilità nel ricorso alla spesa pubblica ed alla leva fiscale.

Insomma, può essere – soprattutto deve essere – un’occasione per ristrutturare e riqualificare la spesa pubblica, ed anche per ridurne inefficienze, sprechi, improduttività.

Perché questo è quanto occorre – in parallelo all’avanzamento di una determinata azione di contrasto e recupero dell’evasione e dell’elusione – per ridurre una pressione fiscale complessiva troppo elevata: troppo elevata per le imprese, troppo elevata per il lavoro.

Cifre e costi del federalismo fiscale vanno giustamente approfonditi.

Vanno approfonditi, perché un buon federalismo fiscale può essere, deve essere un’occasione per tutto il Paese.

In particolare, per un Mezzogiorno responsabilmente capace di accelerare crescita e sviluppo, ed in questo modo di accelerare crescita e sviluppo dell’Italia tutta.

Quanto al nostro sistema di sicurezza sociale, anche qui si tratta di far tesoro della lezione della crisi, secondo la logica della società attiva, che ispira il Libro Bianco sul futuro del modello sociale, predisposto dal Ministro Sacconi.

Nella società attiva, è il lavoro – più lavoro – la risposta responsabile ed efficace ai bisogni delle persone.

Ne deriva, tra l’altro, la necessità di chiudere il circuito della flexicurity attraverso ammortizzatori sociali più inclusivi, ma anche solidamente finalizzati al reinserimento occupazionale, e dunque fortemente integrati con più efficienti processi di formazione continua.

Dicevo, prima, della sfida della produttività.

Affrontarla e vincerla richiede una piena integrazione tra politica industriale e politica per i servizi.

Un’integrazione costruita sulla centralità dell’innovazione e degli investimenti infrastrutturali, in particolare per il sistema dei trasporti e della logistica; sulla valorizzazione dell’identità italiana e sul ruolo propulsivo della risorsa-turismo; sulla riduzione del costo dell’energia e sulle nuove opportunità della green-economy.

Ma affrontare e vincere la sfida della produttività richiede anche – sulla scorta dello Small Business Act europeo fatto proprio dal nostro Paese con la direttiva firmata, lo scorso venerdì, dal Presidente del Consiglio – il riconoscimento della necessità di politiche dedicate alle piccole e medie imprese.

 “Pensare anzitutto al piccolo”: questo è il principio primo dello Small Business Act.

Non per costruire “riserve indiane”, all’interno delle quali lentamente si deperisce. Piuttosto per far sì che, ad ogni livello della scala dimensionale, le imprese possano ricercare maggiore efficienza e crescere.

Senza “riserve indiane”, lo ripeto: né per le piccole e medie imprese, né per i “campioni nazionali”.

Questi sono i principi e le richieste del “popolo del fare impresa”.

Da questi principi, da queste richieste parte l’esperienza di “Rete – Imprese Italia”.

Lo fa con un progetto di lungo termine e guardando al futuro, ma anche sapendo di doversi da subito confrontare con le emergenze e le urgenze del tempo presente.

Lo fa con la consapevolezza degli interessi che rappresenta, ma anche pensando alla loro convergenza con gli interessi generali del Paese.

Edoardo Nesi ha raccontato - in “Storie della mia gente” – ascesa e declino dell’azienda di famiglia: una piccola impresa del tessile pratese.

Storia di famiglia, ma storia comune di tantissime piccole e medie imprese del nostro Paese.

In chiusura del libro, Nesi così scrive: “…io e la mia famiglia e la mia città e tante altre città di provincia dove nascevano e prosperavano migliaia di piccole imprese che davano lavoro a centinaia di migliaia di persone in tutta Italia, non possiamo accettare in silenzio che il nostro declino e la nostra sofferenza vengano prima dimenticati e poi addirittura negati, cancellati…”.

Ecco, noi di “Rete – Imprese Italia” vogliamo raccontare questa storia: la storia della nostra gente.

Vogliamo che il “popolo del fare impresa” non sia più il popolo degli “Invisibili”.

Gli “Invisibili” - prendo in prestito il termine da Dario Di Vico, la “penna” del Corriere della Sera, che, con le sue inchieste, ha tanto contribuito a dare voce al malessere ed alle ragioni dei “Piccoli” – prendono la parola e raccontano.

Non è e non sarà un racconto soltanto “dolente”, anche se il dolore lo conosce.

A partire dal dolore di quegli imprenditori – parte della nostra gente – che, nel tempo della “crisi”, hanno vissuto come un’onta licenziamenti, chiusure e fallimenti, e che a quest’onta hanno risposto con la scelta estrema del suicidio.

Perché è proprio la loro storia, la storia della nostra gente a dire invece che – per tornare all’apertura del Manifesto delle Imprese del Territorio – “il futuro del Paese è inscindibilmente legato alle piccole e medie imprese ed all’impresa diffusa”.

A dire, invece, che un futuro diverso e migliore è possibile.

Vogliamo costruirlo in nome delle buone ragioni dell’economia reale e del lavoro del nostro Paese.

Possiamo costruirlo, perché realmente rappresentiamo larga parte di questa economia reale.

Dobbiamo costruirlo, perché l’Italia tutta – a partire dalle imprese che rappresentiamo – merita un futuro migliore.

Alla vigilia dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, questo è il compito di “Rete – Imprese Italia”.

Soprattutto, questa è l’opportunità che il “popolo del fare impresa” offre al nostro Paese.

Noi ce la metteremo tutta. A tutti – ed anzitutto alla politica – chiediamo di cogliere questa opportunità.

 

Grazie.

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