Assorologi: "Spiragli di ripresa per il settore"

Assorologi: "Spiragli di ripresa per il settore"

Dal Sole 24 Ore: La filiera tricolore degli orologi conta su poche decine di produttori, poi su distributori e su 11mila negozi. Il presidente Peserico: "Nel nostro Paese le vendite nei primi mesi del 2014 sono aumentate nella fascia medio-bassa. L'anno scorso sono stati venduti 6,5 milioni di segnatempo (-5,6%)"

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29 aprile 2014

 

Spiragli di ripresa per il settore orologi in Italia: perché «abbiamo la sensazione che in questi primi mesi del 2014 stia migliorando il trend di vendita nella fascia medio-bassa di prodotto, specchio anche di un risveglio nei consumi nel nostro Paese». A sottolinearlo è il presidente dei produttori e distributori di orologi in Italia, Mario Peserico, che segnala la possibilità di chiudere l'anno in modo diverso dal 2013, quando, secondo un'indagine compiuta da Gfk Retail e Technology, è stata registrata una perdita del 5,6 per cento nel numero di orologi venduti (6,5 milioni contro i 6,9 circa del 2012) seppur con un lievissimo incremento ( o,5) a valore. Le vendite l'anno scorso hanno fruttato 1,15 miliardi di euro e un incremento del prezzo medio a orologio venduto da 163 a 174 euro. Un 2013 in ribasso, dunque, ma spiegabile, secondo Peserico, «prevalentemente con la crisi dei consumi, essendo il mercato italiano centrato su fasce di prodotto medio-basso». Situazione che, nelle parole del presidente di Assorologi, è sufficiente a spiegare la fatica sopportata nel 2013 dal sistema produttivo e distributivo di orologi in Italia che ha caratteristiche originali e che «meriterebbe una maggiore iniziativa promozionale all'estero da parte dei vertici istituzionali; come avviene in Francia o in Germania rispetto a nuovi mercati come la Cina». Un settore, quello dell'orologio italiano, non facilmente fotografabile da parte della stessa rappresentanza di categoria. Assorologi raccoglie 43 aziende tra produttori italiani, filiali di imprese estere (perlopiù svizzere, come è ovvio) e qualche rete distributiva per un totale di una settantina di brand rappresentati, ma non è possibile definire quanto tutte queste imprese valgano insieme in quanto a fatturato e occupazione perché su questo fronte il riserbo delle stesse è assoluto. Figurarsi se ci si azzarda a una stima sull'intero settore. La rete retail italiana poggia attualmente su circa umila negozivenditori di orologi (erano intorno ai 16mila tra 2005 e 2006) e la capillarità complessiva di diffusione si è ridotta. La produzione made in Italy di orologi in fatto di orologi si basa su "qualche decina di imprese - rileva Peserico - tutte Pmi, ma con solo due-tre aziende di dimensioni medie; esiste anche un indotto di produttori di componentistica (movimenti, casse, lancette eccetera) ma si trattadi una realtà piuttosto rarefatta". Ciononostante il prodotto italiano ha qualche cosa in sé che, anche in questa fase di crisi, ha continuato a qualificarlo: "Creatività e design sono il punto di forza dell'industria orologiera italiana - ammette Peserico, che rappresenta in Italia una primaria azienda svizzera come Eberhard- e ha continuato a dimostrarlo. Gli svizzeri eccellono nella qualità e nella precisione, forti della loro tradizione e del know-how, i giapponesi nella tecnologia, magli italiani sanno fare gli italiani anche in questo campo». II prodotto-orologio rimane in Italia un oggetto ambito, soprattutto dalla clientela maschile, disposta a spendere anche molto per avere un cronografo di valore. Nel 2013, infatti, è stata buona la performance degli orologi da uomo che, confermando la quota di mercato a140,2 per cento, hanno guadagnato in misura netta a valore, salendo dal 52,3 al 644 per cento. L'orologio da donna, in Italia, ha rappresentato l'anno scorso 1132 per cento della spesa. Agli italiani piace soprattutto l'orologio con movimento al quarzo (84 per cento), con cassa in acciaio (74,3) e col cinturino in metallo (45). I canali di vendita preferiti rimangono le gioiellerie e le orologerie (il dettaglio tradizionale o nei centri commerciali) rispettivamente con quote del 6o per cento a quantità e al 74 a valore, mentre sono risultati in crescita nel 2013 gli acquisti nei negozi monomarca (io per cento del totale-prodotto, 6,8 per spesa) e in calo quelle nella Gdo (3 per cento e 1,7).È salito il peso degli acquisti servendosi di aste e commercio elettronici (rappresenta il io per cento di vendita nel complesso), ma il valore della spesa ha coperto solo i15,4 per cento del totale. Gfk ha anche rilevato le vendite tra privati (l'1,5 a quantità, lo 0,9 a valore) e la finalità degli acquisti (a metà tra quelli per sé e come regalo). «E se i turisti comprano molto in Italia puntando a prodotti di qualità e a valori elevati - spiega Peserico - gli italiani acquistano tantissimo all'estero: i siciliani a Malta, per esempio, o quelli del Nord Italia direttamente in Svizzera". Il canale di vendita tramite Internet ha amplificato il problema della contraffazione. Un tema sul quale Peserico, con Asso-rologi e Indicam (Istituto di contromarca perla lotta alla contraffazione di cui è pure presidente) si sta battendo da tempo: "Una recente indagine sulle prime 5oo pagine che compaiono digitando 5o primari brand ha rivelato una presenza di siti con materiale contraffatto che oscilla tra i 35 e il 70 per cento a seconda dei marchi". "La contraffazione - conclude Peserico - è un grave danno al marchio stesso e agli investimenti che le imprese fanno. Lo scorso dicembre, su un input di Assorologi e Indi-cam, sono stati oscurati dall'Antitrust 1u siti italiani. La contraffazione stimata come valore a magazzino era valutata intorno ai 65 milioni". 

 

Adriano Moraglio

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