Convegno "La bilateralità efficace"
Convegno "La bilateralità efficace"
- L'intervento del Presidente Sangalli al Convegno "La bilateralità efficace"
- Note economiche: storia e congiuntura, a cura dall'Ufficio Studi
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Intervento di Francesco Rivolta Presidente Commissione Lavoro Confcommercio
Bilateralità: occasione persa o ipotesi di lavoro
Questa giornata si inserisce in un percorso di segno nuovo che, insieme al Sindacato, abbiamo deciso di intraprendere sulla bilateralità nel nostro settore.
Una volontà maturata all’interno del rinnovo del CCNL e discesa dalla consapevolezza comune che un sistema serio, e che vuole essere riconosciuto come tale, non può essere solo affermato in ogni occasione per il suo valore in sé, ma deve necessariamente porsi sempre l’obiettivo di analizzare e migliorare gli strumenti di cui si è dotato.
Un sistema importante, costruito negli anni per integrare il tradizionale schema contrattuale, ma che ha al suo interno intuizioni e opportunità che possono dare un contributo significativo anche allo sviluppo di una nuova concezione del Welfare nel nostro Paese e costituire uno snodo importante nel rinnovamento del sistema delle relazioni sindacali.
La stessa approvazione del nuovo statuto di CONFCOMMERCIO va in questa direzione perché offre un ulteriore stimolo a proseguire su un cammino riformatore che la Confederazione ha scelto affrontando anche i temi connessi alla bilateralità che costituisce una parte rilevantissima del nostro sistema.
Oggi il sindacato, tutto il sindacato, con la firma di un avviso comune sul sostegno al reddito per chi non ha accesso agli ammortizzatori sociali, ha scelto di riprendere un’iniziativa unitaria e di condividere un percorso di confronto con il Governo insieme a noi.
E questo dimostra una volontà positiva che noi condividiamo e apprezziamo.
Il contesto economico nazionale e internazionale non consente scorciatoie.
Nei prossimi mesi saremo chiamati a fare la nostra parte per contribuire ad uscire da questa situazione e, indubbiamente, occorrerà trovare risorse adeguate.
Ma, per fare questo, occorre avere una strategia lungimirante e individuare alcune priorità.
Dal nostro punto di vista significa sciogliere i nodi che impediscono al Paese di crescere, superare regole e visioni del passato, rimettere al centro la libertà di impresa e ridurre la burocrazia.
Siamo in presenza di una crisi dello stato sociale.
Il nostro welfare pubblico è un modello che ha e avrà sempre più difficoltà a rispondere a tutti i bisogni vecchi e nuovi, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Per questo la crisi ci deve dare il coraggio di gettare le basi, nell’interesse generale, di un cambiamento profondo del nostro welfare convenendo che il modello che abbiamo costruito negli anni non regge più e che l’idea che lo Stato possa assicurare tutto a tutti non è praticabile, così come non è accettabile un sistema che per inefficienze o sperperi non riesca a riformarsi profondamente, creando, esso sì, delle ingiustizie inaccettabili.
Occorre decidere cosa è di competenza di uno Stato moderno, cosa del sistema di welfare contrattuale e cosa deve o può essere integrato dai cittadini a livello individuale.
Oggi, sulla bilateralità, noi sentiamo la responsabile necessità di verificare cosa ha funzionato e cosa no, cosa va eliminato e cosa valorizzato, avendo presente che sviluppo e innovazione non passano sempre e solo attraverso l’ampliamento del “cosa fare” ma anche, anzi soprattutto, sul “come fare meglio”.
Siamo convinti che una profonda rivisitazione, non dei valori della bilateralità, ma dei suoi meccanismi di Governance e di funzionamento, così come una razionalizzazione dei compiti e delle modalità di gestione non potranno che portare benefici a chi opera nel sistema.
Le commissioni paritetiche previste dal CCNL hanno quindi l’importante compito di affrontare l’analisi, la condivisione e la ridefinizione complessiva del sistema degli Enti e dei Fondi bilaterali, consapevoli che tale riforma può incidere profondamente, sul contributo che il nostro settore può dare allo sviluppo del Paese e, più in generale, all’economia.
Bilateralità è anche questo: dialogo e collaborazione continua per adattare gli strumenti e le risorse che abbiamo alle esigenze di un settore che cambia.
Il nostro obiettivo non può essere quello di sostituirci al welfare pubblico, ma neanche quello di continuare a concepire la Bilateralità come il mezzo che deve consentire un’integrazione nel senso di “aggiunta”, caricando cioè sul costo del lavoro il sempre maggiore bisogno di tutela del lavoratore a fronte della sempre minore capacità dello Stato di erogare i servizi.
Continuando così introdurremmo un meccanismo perverso che rischia di essere insopportabile per le imprese.
Dobbiamo lavorare dove serve e per ciò che più serve, dove l’impiego ingente di risorse non si disperda per mille rivoli, ma renda efficaci ed evidenti i benefici per il nostro sistema e per la collettività.
Il ripensamento del sistema complessivo dovrà essere anche accompagnato da un ridisegno del sistema fiscale, perché le Istituzioni non possono ignorare questo impegno di cui le parti sociali si fanno carico, ma occorre compensare questo sforzo con provvedimenti di sostegno sul versante contributivo e fiscale.
Dobbiamo fare delle scelte e “fare ordine” per rendere il sistema efficace nella percezione dei destinatari, orientare i servizi necessari alla realtà che ci circonda, senza perdere mai di vista il nostro settore.
Del resto, affrontare il tema del futuro della bilateralità al di fuori di un contesto di rinnovamento profondo del sistema delle relazioni sindacali non ci porterebbe molto lontano.
Occorre rimettere al centro le esigenze delle imprese e dei lavoratori guardando avanti e avendo il coraggio di confrontarsi a viso aperto su tematiche nuove per il nostro Paese.
Superare le logiche che hanno caratterizzato il secolo che abbiamo alle spalle significa comprendere che occorre darsi un sistema di nuove regole con precisi riferimenti legislativi, che caratterizzi il futuro dei rapporti sindacali e sociali.
L’emergenza economica che stiamo attraversando porta con sé problemi strutturali che non spariranno, se non affrontati alla radice. Ed è proprio in un contesto di grave crisi che dobbiamo cercare di porci obiettivi ambiziosi trovando le energie necessarie per innescare grandi cambiamenti.
Quale modello di società vogliamo contribuire a costruire?
Un modello basato su una sorta di darwinismo sociale dove sopravvivono solo i più forti o un modello che punta alla condivisione di obiettivi comuni, alla coesione sociale corroborato da un sistema di relazioni sindacali moderne?
Non è una domanda retorica perché le risposte che sapremo dare contribuiranno al disegno del sistema che le imprese e i lavoratori del nostro settore dovranno condividere nei prossimi anni.
Le interessanti intuizioni di chi ha costruito la bilateralità nel nostro comparto si sono scontrate continuamente con prevenzioni ideologiche, vecchi e nuovi corporativismi, soprattutto a livello locale, difficoltà a far coesistere la voglia di condividere con la cultura del conflitto.
E tutto questo ha inevitabilmente contribuito a costruire un sistema complesso e sovrastrutturato, a volte lento, generalmente costoso.
Un impianto da riformare in termini qualitativi e funzionali.
Il futuro della bilateralità è tutto nella capacità di dare corpo ad un sistema di nuove regole che comprendano tutte le fasi di passaggio nel mercato del lavoro (in entrata, durante la permanenza e in uscita) accanto al governo del salario di produttività , il welfare contrattuale, la formazione continua.
Discutere di nuovi ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito senza questo orizzonte di riferimento rischia solo di ricreare vincoli e costi certi per le imprese, ma soprattutto impedisce di valutare la posta in gioco e i reciproci interessi possibili.
Così come le parti sociali e i governi che si sono succeduti hanno avuto la capacità di intervenire sulla flessibilità in entrata (vedi pacchetto Treu e legge Biagi) così oggi la sfida che ci attende è quella di affrontare la qualità del rapporto di lavoro in tutti i suoi aspetti (sicurezza, formazione, crescita professionale, retribuzione legata agli incrementi di produttività, ecc.) e i necessari ammortizzatori a sostegno della flessibilità in uscita (reddito, formazione, ricollocazione).
Il tema ormai è maturo se non altro perché tutti si rendono conto che una semplice difesa dell’esistente in tempi di crisi lascia, non solo i non garantiti in una situazione di precarietà, ma anche i cosiddetti garantiti in una condizione di insicurezza.
La gestione degli esuberi nei comparti produttivi, l’innalzamento dell’età pensionabile, la de-professionalizzazione dei lavoratori over 45, i lavoratori migranti, porranno problemi oggi scarsamente valutati anche a livello sindacale che si sommeranno al problema dell’occupazione giovanile e che noi saremo chiamati ad affrontare evitando chiusure preconcette che rischierebbero solo di lasciare le persone indifese davanti ai loro problemi.
La stesso dibattito nato sull’onda della proposta sul contratto “di transizione” del prof. Ichino dimostra la necessità di un intervento organico sulla materia che eviti bizantinismi inutili nella convinzione che la libertà di impresa possa essere imbrigliata da vincoli legislativi esagerati e la cultura del lavoro possa essere ulteriormente soppiantata con la cultura del “posto di lavoro” che tanti disastri ha creato nel nostro Paese.
Se oggi parlare di nuovi ammortizzatori sociali, sostegno al reddito, ricollocazione, formazione continua è molto difficile in concreto è perché si è preferito non vedere il problema nel suo complesso.
La cultura dello sviluppo infinito, della carriera che può solo crescere all’insù, della formazione continua come optional, dell’arrangiarsi quando le cose vanno male e delle tutele intese esclusivamente come diritti, hanno prodotto un vuoto culturale che ha influenzato pesantemente la cultura sindacale di questo Paese.
Ed è singolare come anche i più attenti addetti ai lavori vedano qualsiasi proposta legislativa o anche solo concettuale sul tema del lavoro come una disponibilità a concessioni unilaterali nei confronti delle imprese (che naturalmente non mancherebbero di approfittarsene) dimenticandosi che il vero tessuto produttivo e occupazionale di questo Paese è chilometri avanti rispetto a questi ragionamenti, che restano viziati da una cultura ormai alle spalle, tipica della grande impresa metalmeccanica.
C’è una differenza siderale tra la cultura del cliente dell’impresa commerciale e dei servizi e di quella figlia di un’impostazione industrialista.
Nel nostro settore è fondamentale che i collaboratori si sentano “parte” dell’impresa, ne condividano la missione, agiscano con responsabilità, considerando il cliente e la qualità del servizio fondamentali per il futuro del loro lavoro.
Situazioni queste, assolutamente sconosciute in altri contesti, anche se altrettanto necessarie.
Ed è per questo che nel nostro settore la bilateralità intesa come il necessario rapporto tra impresa e lavoratori ha trovato un terreno fertile su cui germogliare.
Il sistema creato cresce governato sostanzialmente da chi, da entrambe le parti, ci crede maggiormente, allargandosi in aree di potenziale grande interesse (previdenza, assistenza sanitaria e formazione) all’interno di un approccio che continua a ricercare una sintesi impossibile tra conflitto, antagonismo e partecipazione dei lavoratori.
Il “fare insieme” è visto con sospetto come un di più, un’aggiunta ai ruoli tradizionali che, però, progressivamente, vengono meno.
L’incalzare delle situazioni di crisi, il livello di competitività e concorrenza nel settore, il ridimensionamento di alcuni comparti ha invertito il corso dei contenuti della contrattazione come già era avvenuto in altri settori economici.
Così come tutti i tentativi di creare contraddizioni nel fronte confederale tra imprese di dimensioni differenti e tra settori che in passato aveva giovato al Sindacato si è trasformato in un boomerang inutilizzabile.
Tutto questo ha determinato una situazione nella quale la riflessione sulla bilateralità e i suoi organismi non è più rinviabile e, proprio perché non siamo all’anno zero, ma abbiamo di fronte un sistema che offre grandi opportunità, abbiamo il dovere di rivisitarlo a fondo con l’obiettivo di costruire un modello che può essere di riferimento per gli altri settori.
Da queste considerazioni discende la convinzione che le nuove regole non possono sommarsi a quelle in essere, ma devono costituire, seppure in forma sperimentale, un salto di qualità che guardi avanti in modo organico.
È fondamentale, a questo proposito, rilanciare il ruolo politico delle Parti Sociali, svincolato dalle problematiche gestionali legate alla bilateralità.
Individuare aree di intervento utili alla crescita del comparto nell’interesse delle imprese e dei lavoratori non richiede né la marginalizzazione né un ridimensionamento del ruolo delle parti sociali.
Anzi è vero il contrario!
Il ruolo delle parti sociali fino ad oggi si è spesso esercitato sul “tenere l’equilibrio” tra di loro, ma a queste, che sono i “soci” della bilateralità, spetta il fondamentale compito di un disegno organico di indirizzo e di definizione delle strategie, cosi come l’esercizio del controllo e della verifica sull’efficacia degli indirizzi adottati.
È proprio dalla capacità di separare la visione strategica e le scelte di politica contrattuale dalla gestione delle attività che compongono gli organismi bilaterali, che passa, oggi e in futuro, il salto di qualità che chiediamo.
Da queste premesse deve partire il ridisegno dei ruoli e compiti dei diversi livelli della bilateralità, nazionale e territoriale.
Ed è in questo senso che Ebinter dovrebbe assumere un ruolo più forte di indirizzo, gestione e controllo della bilateralità territoriale, e questo soprattutto per garantire un’omogeneità di comportamento, di qualità e quantità dei servizi erogati e, di rispetto e di coerenza dell’intero sistema.
Senza regole né coordinamento, il sistema non può funzionare.
Non pensiamo che lo sviluppo passi per un “cieco governo” del centro sulla periferia, ma dobbiamo tenere conto che in assenza di regole non c’è autonomia, solo anarchia.
Noi siamo per l’autonomia responsabile che, amministrata all’interno di un quadro di coordinamento chiaro e condiviso, è un valore e una garanzia per tutti i livelli.
In questo quadro, che dovrà prevedere compiti chiari e distinti a livello nazionale e locale, i servizi dovranno comunque essere coerenti con le capacità di spesa, anche consentendo alle sedi territoriali meno strutturate di andare verso una razionalizzazione che favorisca organizzazioni sovra provinciali e/o regionali.
Dovrà attivarsi una seria collaborazione tra il livello Nazionale, dove ad esempio individuare ambiti che favoriscano l’interlocuzione con aziende che operano a livello nazionale, ed il livello territoriale, anche attraverso responsabilità reciproche.
Buoni sindacalisti o buoni rappresentanti delle aziende non garantiscono in sé una buona bilateralità nell’interesse dei rispettivi rappresentati.
La professionalità necessaria alla gestione degli enti non può esaurirsi nella composizione paritetica degli organi o nelle disponibilità di coloro che vi partecipano.
Occorre andare oltre, operando finalmente con l’“Osservatorio nazionale del Terziario” e ipotizzando una formazione congiunta per tutti coloro che dovessero entrare negli organismi bilaterali finalizzata a condividere i presupposti culturali che sono opposti alla cultura del conflitto, le finalità e gli strumenti dell’organismo di riferimento e il contesto nel quale quell’ente si colloca e le risposte che deve dare ai lavoratori e alle imprese.
Una semplice estensione dei compiti attuali senza partire da una rivisitazione critica dell’esperienza in corso rischia di aggiungere solo nuove criticità a quelle già oggi presenti.
E allora affrontiamo con grande trasparenza i temi legati alle finalità degli enti e degli organismi bilaterali, le loro regole di funzionamento, i servizi che devono essere erogati, i costi di gestione, la caratteristiche che devono possedere le persone che ne compongono i consigli di amministrazione, i rapporti che questi organismi devono avere con il contesto e la loro distribuzione territoriale.
In poche parole, il rapporto concreto tra costi e benefici per le imprese e per i lavoratori.
Quanto detto sugli enti bilaterali vale anche sui fondi contrattuali.
A partire da una puntuale analisi sugli statuti e sugli organi di funzionamento, la verifica su queste strutture non può prescindere da una sempre maggior attenzione alla qualità professionale delle risorse.
Nella gestione dei fondi, anche in funzione dell’evoluzione dei loro compiti, dovranno operare professionalità altamente competenti e qualificate, in grado di creare opportunità e qualità del servizio.
Non possiamo rischiare di trasformare queste strutture in burocrazie autoreferenziate.
Si tratta di soggetti regolamentati da norme di legge e proprio questo costituisce una ulteriore occasione per il sistema: quella di diventare terreno e ambito di confronto continuo e costruttivo tra Parti Sociali e Istituzioni, anche per indirizzare il legislatore verso soluzioni sempre più vicine alle realtà che li amministrano.
Infine sul funzionamento della bilateralità, non potremo prescindere da operare avendo come riferimento alcuni punti fermi di fondo.
“Trasparenza”, modalità di lavoro necessaria per chi intende promuovere e far conoscere le buone attività e apprezzata da chi agisce nel rispetto delle regole.
“Rendicontazione” non è una brutta parola, ma semmai un mezzo con cui presentare i risultati da parte di chi ha operato bene e vuole illustrare l’efficacia delle azioni poste in campo.
La Trasparenza è un elemento indispensabile per confrontarsi con i destinatari della bilateralità stessa e dialogare con soggetti terzi; un modello irrinunciabile per rendere gli enti bilaterali non sistemi chiusi e autoreferenziali, ma strumenti in grado di gestire compiti elevati, dimostrando la loro capacità.
La Sostenibilità, la via attraverso cui passa non solo una buona e sana gestione, ma anche la sopravvivenza stessa della bilateralità, il suo futuro.
Il presupposto fondamentale di ogni attività è che sia sostenibile. Viceversa, a lungo andare, anche l’iniziativa migliore ma non sostenibile rischia di diventare più costosa che utile e di morire, con l’ulteriore riflessione, che nel nostro sistema “diversificato”, questa “moria” potrebbe addirittura avvenire a “macchia di leopardo”.
In definitiva, per noi, bilateralità significa e dovrà significare: responsabilità, correttezza, visione strategica, all’interno di un sistema di regole chiare, certe ed esigibili ed operare sempre avendo presente la centralità delle aziende e dei lavoratori.
È da qui che bisogna partire senza nascondersi le difficoltà derivate da un sistema con molte aree grigie, ma anche con grandi potenzialità strategiche per il futuro del sistema delle relazioni sindacali del nostro Paese.
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Avviso comune sugli ammortizzatori sociali
La crisi che interessa l’intero sistema economico coinvolge il sistema delle imprese del Commercio, del Turismo e dei Servizi, facendo paventare ripercussioni dirette sui livelli occupazionali, anche a causa delle caratteristiche “labour intensive” dei settori, connotati da una forte presenza di manodopera prevalentemente femminile, chiamata a svolgere importanti funzioni di servizio agli utenti consumatori.
In particolare, è fondamentale evitare un fenomeno depressivo dovuto alla perdita di numerosi posti di lavoro con le immaginabili conseguenze in termini di costo sociale e di ulteriore raffreddamento dei consumi.
È per questo motivo che le Parti stanno seguendo con attenzione il percorso intrapreso dal Governo in materia di ammortizzatori sociali, favorendo la permanenza dei rapporti di lavoro anche in presenza di situazioni di crisi, attraverso il potenziamento degli strumenti di sostegno alle sospensioni dei rapporti di lavoro, con il coinvolgimento degli Enti bilaterali quali attori deputati a sviluppare un volano di risorse aggiuntive a quelle pubbliche.
Le Parti manifestano, tuttavia, l’esigenza che l’avvio nel breve termine delle misure delineate dal recente “decreto anticrisi” tenga nella debita considerazione l’entità dello sforzo organizzativo e delle risorse finanziarie a disposizione:
- nei nostri settori il sistema degli Enti bilaterali evidenzia una significativa articolazione nazionale e territoriale, ma anche una eterogeneità per numero e tipologia di iscritti, risorse, possibili destinatari, che si rifletterà sulla distribuzione degli oneri e dei benefici;
- i destinatari delle nuove disposizioni previste dall’art.19 della legge 2/09 non rappresentano la totalità degli iscritti agli Enti bilaterali nel terziario, in quanto una componente significativa già versa all’INPS i contributi assicurativi destinati ai fondi per la CIGS e la Mobilità;
- il sostegno al reddito non è ancora stato inserito dalle parti sociali firmatarie della contrattazione collettiva nazionale del terziario (distribuzione e servizi) tra gli scopi degli Enti bilaterali ad esclusione di alcune realtà locali;
- per realizzare gli interventi previsti dal decreto anticrisi, è necessario modificare l’attuale destinazione di spesa dei contributi degli Enti bilaterali, con conseguenze da verificare anche in termini di riorganizzazione dei singoli enti e del relativo personale, nonché di gestione amministrativa;
- sulle quote destinate alla bilateralità, cosi come ad importanti istituti del welfare contrattuale, gravano ancora i contributi di solidarietà INPS (10%) che andrebbero definitivamente eliminati per incentivare settori che, più di altri, concorrono in via sussidiaria al sostegno del welfare pubblico e che rischiano di continuare a sostenere costi di “solidarietà sulla solidarietà”.
Per tali motivi le Parti:
- ritengono indispensabile introdurre il nuovo meccanismo in modo graduale attraverso un primo momento di sperimentazione di durata biennale, nei territori e settori che dichiarino la propria disponibilità, nell’ambito delle risorse a tale scopo destinate e con modalità coerenti ai diversi regimi che si delineeranno tra i possibili destinatari delle nuove disposizioni da un lato, e gli iscritti che operano nel regime “assicurativo” INPS dall’altro;
- richiedono che in ogni caso sia comunque garantito -anche senza l’integrazione degli Enti bilaterali- il mantenimento degli impegni di risorse pubbliche ed il trattamento attualmente previsto;
- sollecitano l’estensione del contributo previsto dall’art. 5 della legge n. 236/1993 alle aziende che, occupando meno di 16 dipendenti, non possono attivare procedure di mobilità, con un iter semplificato;
- chiedono maggiore semplificazione e snellimento delle procedure per le istanze di cassa integrazione in deroga, soprattutto ove siano interessate all’utilizzo dello strumento imprese localizzate in più regioni;
- chiedono che venga ripristinata l’indennità di disoccupazione per le sospensioni temporanee;
- chiedono che le somme versate dalle imprese e dai lavoratori alla bilateralità, così come le prestazioni erogate dagli Enti ai lavoratori, in considerazione delle finalità sociali perseguite, debbano essere escluse dall’imponibile fiscale e contributivo;
- evidenziano la necessità che venga ribadito il rispetto delle norme di legge (art. 10 della legge n. 30/2003) che stabiliscono l’applicazione integrale dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- concordano sulla necessità di un incontro con il Ministro del Lavoro.
Sottoscritto il 25 marzo 2009 da Confcommercio, Filcams-Cgile, Fisascat-Cisl e Uilucs-Uil