Billè su "La pressione fiscale" al Business Club Italia di Londra 

Billè su "La pressione fiscale" al Business Club Italia di Londra 

Presidente di Confcommercio, Sergio Billè, è intervenuto all'incontro/dibattito su "La pressione fiscale" organizzato a Londra dal Business Club Italia di Londra. 

L'analisi di Billè è partita dalla individuazione delle cause della crisi dell'economia italiana che, da congiunturale, è ormai divenuta strutturale. 

Ci sono, da un lato, "troppi ceppi" legislativi e normativi ed una eccessiva pressione fiscale che minano la competitività dell'intero sistema economico italiano; dall'altro permane una scarsa fiducia da parte di imprenditori, operatori e risparmiatori nelle capacità di rilancio dell'intero sistema che non è in grado di fronteggiare la globalizzazione dei mercati. 

In un paese dove il cittadino è suddito della burocrazia ed i politici promettono riforme che non riescono mai a partire, i risultati delle elezioni europee hanno aumentato la vulnerabilità e l'instabilità del sistema politico.

Sono molteplici e gravi questi fattori di vulnerabilità, a cominciare dalla scarsa flessibilità del mercato del lavoro per seguire, poi, con un sistema pensionistico e previdenziale oppressivi a cui si aggiungono inefficienti servizi per le imprese e le infrastrutture . In questo elenco troviamo anche la incapacità del sistema bancario ad offrire sostegni allo sviluppo delle piccole e medie imprese, i costi elevati delle strutture pubbliche, una scarsa innovazione tecnologica e le carenze del sistema di formazione. 

A tutto ciò si aggiungano i contraccolpi della congiuntura internazionale, con la crisi dei mercati asiatici e quella nei Balcani.

Sono urgenti correttivi seri e di rapida attuazione, dunque, ha sostenuto Billè, che esprime cautela sui contenuti del prossimo Documento di programmazione economica e finanziaria con la sua, già annunciata, manovra da 16 mila miliardi. Altri motivi di preoccupazione vengono dai moniti che giungono dalla Banca Centrale Europea.

In assenza di interventi concreti e mirati, secondo le stime del Centro Studi di Confcommercio, il nostro Pil non dovrebbe superare per l'intero anno lo 0,7%: insomma una vera e propria stagnazione. Anche i consumi delle famiglie dovrebbero aumentare solo dell'1% nel '99, mentre gli investimenti dovrebbero attestarsi al 2,4% e le esportazioni registrare un calo del 5,9%.

La pressione fiscale 

Nel capitolo "pressione fiscale" Billè ha subito precisato che, nonostante il decremento di 1 punto del Pil, la pressione del fisco nel nostro Paese è passata dal 44,2 del '97 al 43,2% del '98. Inoltre il Pil viene rivalutato del 15% circa per tener conto dell'economia sommersa, il che significa che la effettiva pressione fiscale e contributiva sui redditi dichiarati risulta essere ben superiore alle stime ufficiali e raggiunge quasi il 50%. 

E ciò vale anche per i redditi da lavoro dipendente.

Questa eccessiva pressione del fisco produce conseguenze negative per lo sviluppo e l'occupazione.

Billè ha poi rilevato che nei paesi in cui si applica un' alta pressione fiscale, come Francia, Germania e Italia, le conseguenze in termini di crescita e occupazione sono state assai pesanti, con ripercussioni sulla dinamica del Pil ed un aumento di 3 punti della disoccupazione.

Nei paesi, invece con bassa pressione fiscale (poco al di sopra del 35%) , come Irlanda, Spagna e Regno Unito la crescita del Pil è stata quasi doppia rispetto a quella degli altri paesi citati (49,6% contro il 28,2) e la disoccupazione è diminuita di circa 6 punti.
I paesi a bassa pressione fiscale, inoltre, hanno pagato un prezzo assai modesto in termini di inflazione, cioè solo lo 0,8% in più rispetto all'altro gruppo di paesi presi a confronto.

Tornando alle vicende di casa nostra, Billè ha sostenuto che il forte tasso di crescita delle entrate si è registrato negli ultimi 20 anni a causa dell'esplosione della spesa pubblica, dovuta all'onere del debito pubblico ed, a sua volta, conseguenza del "deficit spending" degli anni 70. 

Ebbene, ciò ha determinato uno "stress fiscale" che si abbatte negativamente sulle aspettative dei consumatori e delle imprese. Senza trascurare il fatto che il fisco italiano è non solo oppressivo ma anche discriminatorio con i redditi di impresa minore a cui non sono riconosciuti diritti di deducibilità di spese per l'attività d'impresa e l'utilizzo di beni ad uso promiscuo.

Ma i gap del fisco made in Italiy non finiscono qui: tra il '96 ed il '98 sono nati 400 nuovi provvedimenti fiscali; abbiamo più di una dozzina di tributi sulla casa e mezza dozzina sull'automobile; una elevata progressività nel numero e nell'importo delle aliquote; una anarchia della finanza locale che è oggi libera non solo di variare le aliquote di prelievo ma anche di definire i criteri di applicazione, con situazioni assurde ed incoerenti per quanto riguarda Tosap, Tarsu ed Ici.

Ma al carico fiscale, sia per le aziende che per i cittadini, deve aggiungersi il carico di una vasta gamma di costi indiretti determinati dall'inefficienza del sistema dei servizi e di una macchina amministrativa che rende poco e non fornisce servizi adeguati

Le terapie e la detassazione della tredicesima

Servono, dunque, terapie di emergenza a cominciare dal varo di misure che aprano il mercato del lavoro alla flessibilità. Ma è necessario nel contempo stimolare gli investimenti e ripristinare un clima di fiducia tra gli imprenditori.

Ma è fondamentale anche il rilancio dei consumi utilizzando misure di politica fiscale volte a ridurre drasticamente, sia pure una tantum, la pressione dei redditi delle famiglie. Una sorta di "eurotassa al contrario" realizzata attraverso una minore tassazione della tredicesima o di altre mensilità aggiuntive comunque denominate. La riduzione al 50% dell'Irpef su queste componenti della retribuzione comporterebbe un aumento di reddito disponibile delle famiglie di circa 10 mila miliardi. Di essi poco più di 8000 si tradurrebbero in spesa delle famiglie destinata ai consumi, che crescerebbero in quantità di circa l'1,7% con un incremento del Pil dell'1,1%.

In assenza di tale intervento la crescita attesa nel '99, sia del Pil che dei consumi, sarebbe non solo più modesta ma incapace di riavviare il ciclo della nostra economia.

Per recuperare la perdita di gettito, quantificata in 10 mila miliardi, 1300 deriverebbero dal maggior introito dell'Iva; 4200 da maggiori entrate delle imposte dirette sulle imprese ed i rimanenti 4500 con inasprimenti di prelievo sui redditi di capitale, su consumi energetici e con ulteriori tagli alla spesa corrente.

Comunque, il quadro macroeconomico che si avrebbe con la detassazione delle mensilità aggiuntive potrebbe essere il seguente: 

  • il Pil del '98 attestato all'1,3%, dopo la flessione dello 0,5% nel primo semestre del '99, avrebbe un incremento dell'1'7% nel secondo semestre per attestarsi all'1,1% per l'intero anno; 
  • le importazioni dal 6,1% nel '98, dopo un -9% nel primo semestre '99 registrerebbero un - 3,7% nel secondo semestre per collocarsi ad un -6,4 per l'intero anno; 
  • i consumi delle famiglie calcolati all'1,7% nel '98 registrerebbero un 1,3% nel primo semestre dell'anno in corso, seguito da un 2% nel secondo semestre ed un 1,7% per l'intero anno; 
  • gli investimenti dopo un 3,5% del '98, raggiungerebbero un 2,2% nel primo semestre '99 ed un 3,1% nel secondo, con un 2,6% per l'anno intero; 
  • infine le esportazioni, dopo l'1,2% del '98 avrebbero un - 7,6% nel primo semestre del '99, un successivo - 3,3% nel secondo semestre ed un definitivo - 5,4% per l'anno intero. 

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