Caro petrolio: gli effetti su imprese e famiglie

Caro petrolio: gli effetti su imprese e famiglie

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8 agosto 2006

65/06
Roma, 08.08.2006

 

E quando arriverà a 100 dollari al barile?

 

CARO PETROLIO: GLI EFFETTI SU IMPRESE E FAMIGLIE

 

 

La dipendenza dell’Italia, delle economie occidentali (ma ora anche di quelle emergenti) dal petrolio, gli effetti delle crisi regionali e dei conseguenti shock petroliferi, l’impatto del caro petrolio su inflazione e crescita economica.

Questi i temi dell’analisi del Centro Studi Confcommercio, che in particolare evidenzia:

 

-          Con i continui rialzi di queste settimane e la previsione di un greggio a 77 dollari per barile a fine anno, tale da portarne la quotazione media 2006 a 70 dollari, nel solo biennio 2005-06 si avrà una crescita cumulata del prezzo del greggio del 152% rispetto alla media dei primi anni duemila. Attualizzando il prezzo del greggio del 1974, l’odierna quotazione risulta superiore a quella del primo shock petrolifero e si sta avvicinando pericolosamente (80 dollari al barile) a quella della “crisi degli ostaggi di Teheranâ€� del 1980.

-          La domanda di energia delle economie asiatiche emergenti sta crescendo in maniera esponenziale: tra il 1999 e il 2004 le importazioni di greggio nei paesi OCSE sono cresciute ad un tasso medio annuo dell’1,5% (1,8% dell’Italia), contro il 10,6% dell’india ed il 27,4% della Cina. Il nostro fabbisogno resta, tuttavia, elevato: toccherà i 650 milioni di barili di greggio a fine anno, un dato simile a quello del 1980, con un esborso pari ad oltre 38 miliardi di euro per la nostra bilancia commerciale.

-          L’Italia conta 581 autoveicoli ogni 1000 abitanti, ben il 24% al di sopra della media UE: nel 2004 oltre 31 miliardi di euro sono stati destinati all’acquisto di carburanti per trasporto privato e 29 miliardi per trasporto merci.

-          Nei confronti con gli altri paesi europei l’Italia è al primo posto per il prezzo del gasolio da riscaldamento, al secondo per quello da autotrazione e al quinto per la benzina: ma accise ed Iva pesano per il 58% sul prezzo finale della benzina e per il 51% su quello del gasolio.

-          L’impatto diretto dell’aumento del greggio incide per circa un quarto sull’inflazione (nel semestre gennaio-giugno è stato dello 0,6% su un’inflazione del 2,5%) ma gli effetti indiretti (sui trasporti, sui costi di produzione, etc.) hanno un impatto complessivo tale da generare una minore crescita del PIL che, sebbene limitata a qualche decimo di punto, è pur sempre penalizzante per un’economia come quella italiana caratterizzata da bassi tassi medi annui di crescita.

 

 

Perché il “caro-petrolio�: crisi ricorrenti e vincoli strutturali

 

Tutte le economie industriali dipendono fortemente dal petrolio, per il proprio fabbisogno energetico. Per l’Italia, questa dipendenza è superiore alla media, con impatti più pesanti in termini di costi delle imprese e di spesa delle famiglie.

Ma perché siamo soggetti a questa escalation dei prezzi internazionali del greggio, che dalla metà del 2004 sembra divenuta inarrestabile?

La risposta ci viene dalla storia degli ultimi quarant’anni circa, nel corso dei quali crisi regionali più o meno gravi si sono ripetute ciclicamente, determinando improvvisi, consistenti e talvolta duraturi rialzi delle quotazioni in dollari del barile con i medesimi impatti che si stanno registrando in queste settimane.

Per valutare meglio gli effetti del “caro-petrolio� è opportuno ricorrere ad un artificio, cioè ad una trasformazione dei prezzi tale da esprimerli in valuta costante, cioè come se non ci fosse l’inflazione. È il concetto che gli economisti definiscono come “prezzo reale�, vale a dire un prezzo che consente di valutarne il livello attuale, per un determinato bene, rispetto a quello che aveva in passato, in quanto è misurato in rapporto alla media di tutti gli altri prezzi nel tempo.

A partire dallo scorso anno le quotazioni petrolifere stanno evidenziando una situazione di shock permanente, che le ha portate a discostarsi in misura consistente dalla media del periodo 2000-2004, stabile intorno ai 28 dollari per barile. Nel 2005, infatti, la quotazione nominale media si è attestata sui 54 dollari, per raggiungere i 70 dollari nell’anno in corso. In pratica, in un solo biennio si è avuta una crescita cumulata dei prezzi internazionali del greggio del 152% rispetto alla media dei primi anni duemila, superiore a quella del secondo shock petrolifero del triennio 1979-81 â€" che fu di circa il 120% rispetto alla media della seconda metà degli anni settanta â€" e seconda solo a quella del primo shock petrolifero, quando nel biennio 1973-74 superò in termini cumulati il 230% rispetto alla media dei primi anni settanta.

Il dato allarmante è rappresentato dal fatto che se si attualizza il prezzo del greggio del 1974 â€" cioè poco più di 11 dollari per barile â€" in dollari 2006, utilizzando l’Indice dei prezzi al consumo americano elaborato dal Bureau of Labour Statistics, si verifica come esso risulti pari ad una quotazione di circa 46 dollari per barile. In termini di prezzo reale o prezzo relativo, quindi, l’attuale quotazione del greggio risulta superiore di oltre il 35% rispetto a quella del primo shock petrolifero, e si sta pericolosamente avvicinando alla quotazione massima, in termini reali, raggiunta dal greggio nel secondo dopoguerra, cioè i quasi 80 dollari al barile del 1981in corrispondenza del secondo shock petrolifero innescato dalla “crisi degli ostaggiâ€� di Teheran nel 1980.

 

 

 

Il grafico mostra in modo piuttosto netto che all’origine di questi “salti� nei prezzi internazionali del petrolio, che hanno effetti destabilizzanti sull’economia, vi sono sempre situazioni di crisi nei rapporti internazionali, a volte sfociate in forme di conflitto armato, che in molti casi vengono successivamente riassorbite.

Tuttavia, nello scenario attuale, caratterizzato dalle contemporanee crisi israelo-libanese, USA-Iran e USA-Corea del Nord, vi è un altro elemento che potrebbe portare ad una “isteresi� di questa situazione, un fenomeno che si verifica ogni qualvolta un fattore congiunturale, per sua natura reversibile, assume connotazioni strutturali, divenendo irreversibile.

L’elemento di cui si parla è la crescita, a ritmi elevatissimi, della domanda di energia da parte delle economie asiatiche emergenti, essenzialmente Cina e India.

Un solo dato per tutti: tra il 1999 ed il 2004, ultimo anno per il quale le informazioni sono comparabili, le importazioni di greggio nei paesi dell’area OCSE, cioè le economie industrializzate avanzate, sono cresciute ad un tasso medio annuo dell’1,5%, contro il 10,6% dell’India ed il 27,4% della Cina.

Fatta pari a 100 la domanda mondiale di greggio, nei primi anni settanta quasi un terzo era assorbito dagli USA, un quarto dalla UE e solo il 5% dall’Asia. Oggi, quasi il 20% è assorbito dalla Cina, mentre la quota della UE è scesa al 16%, così come quella degli USA è intorno al 25%.

Sulla base di queste valutazioni, alcuni scenari stimano plausibile un incremento dei prezzi del greggio fin oltre i 100 dollari per barile, quotazione che potrebbe rimanere a lungo su questi livelli, in quanto il trend rialzista è destinato a durare almeno per i prossimi quindici anni, considerando che una domanda in continua e sostenuta espansione fronteggia una sostanziale inadeguatezza, attuale e futura, delle forniture di greggio.

 

 

La maggiore esposizione al “caro-greggio� del sistema economico nazionale: fattori strutturali

 

Occorre considerare che:

-          in primo luogo, tra i 15 paesi UE l’Italia vanta il più elevato numero di autovetture in rapporto alla popolazione, con 581 autoveicoli ogni 1.000 abitanti, ben il 24% al di sopra della media UE e, simmetricamente, il più basso rapporto di numero di persone per autoveicolo, pari ad 1,72, cioè inferiore di circa il 20% alla media UE. Secondo le stime dell’ultimo CNIT (Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti) relativo al 2004, le spese di esercizio e manutenzione ordinaria delle autovetture ad uso privato ha sfiorato i 95 miliardi di euro, dei quali oltre 31 miliardi sono destinati all’acquisto di carburanti, cioè il 33% circa. Riguardo, invece, alle merci, le stime del CNIT parlano di oltre 1 miliardo e 400 milioni di tonnellate trasportate su gomma e di circa 83 milioni di tonnellate trasportate su ferro. Il trend di crescita delle merci trasportate su gomma tra il 1995 ed il 2004 è stato dell’1,5% medio annuo. Al 2004 risultano circolanti nel nostro Paese oltre 4,5 milioni di autocarri, autotreni e autoarticolati, con un costo complessivo di esercizio pari a quasi 243 miliardi di euro, il 12% circa dei quali, cioè oltre 29 miliardi di euro, per i soli costi relativi all’acquisto dei carburanti. Occorre considerare, anche a causa della particolare conformazione geografica del nostro Paese e dell’elevato numero di comuni presenti sul territorio, che la percorrenza media di una tonnellata di merce su strada è di soli 115 chilometri, con un’ovvia inefficienza in termini di ricavo medio a viaggio/chilometro o a tonnellata/chilometro e, quindi, di profittabilità a causa della più elevata incidenza dei costi fissi;

 

 

Prezzi Europei Di Alcuni Prodotti Petroliferi â€" 3^ Settimana Luglio 2006

(importi in euro per litro)

 

 

Benzina senza Pb

Gasolio autotrazione

Gasolio riscaldamento

 

Prezzo

Industr.

Accisa + IVA

Prezzo

finale

Prezzo

Industr.

Accisa +

IVA

Prezzo

finale

Prezzo

Industr.

Accisa +

IVA

Prezzo

finale

Belgio

0,592

0,841

1,432

0,570

0,511

1,082

0,477

0,123

0,600

Danimarca

0,563

0,816

1,379

0,532

0,590

1,122

0,559

0,492

1,050

Germania

0,556

0,848

1,404

0,540

0,632

1,173

0,493

0,150

0,643

Grecia

0,607

0,500

1,107

0,594

0,427

1,021

0,589

0,432

1,021

Spagna

0,571

0,564

1,135

0,563

0,442

1,005

0,475

0,174

0,650

Francia

0,532

0,809

1,341

0,523

0,601

1,124

0,507

0,167

0,675

Irlanda

0,533

0,648

1,181

0,561

0,563

1,124

0,615

0,142

0,757

ITALIA

0,592

0,795

1,387

0,593

0,614

1,207

0,547

0,593

1,140

Lussemburgo

0,606

0,599

1,205

0,551

0,402

0,953

0,514

0,073

0,587

Paesi Bassi

0,611

0,907

1,518

0,557

0,559

1,116

0,560

0,351

0,911

Austria

0,552

0,622

1,174

0,537

0,510

1,047

0,486

0,227

0,713

Portogallo

0,579

0,797

1,376

0,557

0,528

1,084

0,551

0,168

0,719

Finlandia

0,547

0,838

1,385

0,536

0,508

1,044

0,490

0,194

0,684

Svezia

0,549

0,811

1,360

0,555

0,634

1,189

0,482

0,574

1,056

Regno Unito

0,530

0,905

1,435

0,550

0,908

1,458

0,486

0,123

0,609

 

Fonte: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati Minstero Sviluppo Economico.

 

 

-          in secondo luogo, il nostro Paese è tra quelli con il più elevato prezzo dei carburanti nell’ambito della UE a 15, ma non ai primi posti perlomeno per la benzina, la cui  quotazione è arrivata a 1,39 euro per litro, ponendo l’Italia attualmente al quinto posto dopo Paesi Bassi, Regno Unito, Belgio, Germania. Assai elevato risulta il prezzo finale del gasolio per autotrazione, che con un 1,21 euro per litro colloca l’Italia al secondo posto in Europa, subito dopo il Regno Unito. Il primato all’Italia spetta invece per il gasolio da riscaldamento. Secondo i dati dell’ultimo quadriennio, il fabbisogno medio di carburanti per autotrazione, cioè benzina e gasolio, è pari a circa 48 miliardi di litri. Si tratta di un dato complessivo che si è mantenuto stabile, in quanto si stanno delineando mutamenti nel parco circolante rispetto alla tipologia di alimentazione, che vedono il graduale ridursi dei veicoli a benzina a fronte di immatricolazioni crescenti di veicoli alimentati a gasolio. Tra il 2002 ed il 2005, infatti, il consumo di benzina si è ridotto da 22 a 18 miliardi di litri, mentre quello di gasolio è cresciuto da 26 a 29 miliardi di litri. Quest’effetto di sostituzione è stato, peraltro, favorito sia dal differenziale di prezzo che ancora permane tra benzina, più costosa, e gasolio, sia dal progresso tecnologico, con il miglioramento dell’efficienza dei motori e la riduzione dei consumi di carburante a parità di rendimento;

-          in terzo luogo, la sostanziale rigidità dei consumi, almeno nel breve periodo, unita ai continui e consistenti incrementi di prezzo dei carburanti, favorisce un drenaggio fiscale troppo oneroso per famiglie ed imprese, considerando che accise ed Iva pesano per il 58% sul prezzo finale della benzina e per il 51% sul prezzo finale del gasolio. Una approssimativa quantificazione del gettito derivante dai carburanti, considerando i consumi medi di un anno di benzina e gasolio auto, risulta pari ad oltre 32 miliardi di euro. Si tratta di una cifra che deve essere ridimensionata, adottando al più presto provvedimenti di sterilizzazione dell’IVA sui continui incrementi di prezzo;

-          in quarto luogo, considerando che nel nostro Paese dalla fine degli anni novanta si è nuovamente invertito il trend relativo alle importazioni di petrolio greggio, con un tasso medio annuo di crescita dell’1,8% fino al 2004, che è accelerato al 3,2% dal 2004 al 2006, il fabbisogno petrolifero nazionale si sta oggi quindi avvicinando ai 650 milioni di barili, un dato simile a quello del 1980, che comporta un esborso per la bilancia commerciale pari ad oltre 38 miliardi di euro, cioè poco più del 10% del valore complessivo delle nostre importazioni di beni e servizi.

 

 

L’impatto su inflazione e crescita

 

Il continuo rialzo dei prezzi internazionali del greggio che si sta manifestando dal 2004, è uno shock che si trasmette sui prezzi sostanzialmente attraverso due forme di effetti: gli “effetti di primo impatto�, che possono essere sia diretti sui prezzi al consumo perché l’energia fa parte del paniere di spesa delle famiglie, sia indiretti tramite i prezzi alla produzione, perché l’energia è uno degli input primari nelle attività di trasformazione industriale da cui si ottengono i prodotti finiti.

Esistono, poi, gli “effetti di secondo impatto� sui prezzi al consumo, conseguente alla inevitabile spirale prezzi-salari-aspettative di inflazione, innescata appunto dai rialzi delle quotazioni del greggio.

Tuttavia, occorre considerare che le oscillazioni, anche violente, nei prezzi delle materie prime energetiche si traducono in variazioni fortemente più attenuate in termini di inflazione, in quanto l’effetto diretto sulla crescita dei prezzi al consumo è di durata temporanea, destinato ad esaurirsi nell’arco di un anno e, soprattutto, di intensità decisamente più contenuta.

Difficile, risulta quantificare gli effetti di secondo impatto, perché questi meccanismi di feed-back derivanti dall’interazione tra aspettative d’inflazione e adeguamenti salariali dipendono sia dalla situazione macroeconomica generale, sia dalla politica monetaria e, cioè, dal comportamento della Banca Centrale, nel nostro caso la BCE.

Per gli effetti di primo impatto, invece, sebbene quelli indiretti siano più prolungati, in quanto si trasmettono più gradualmente e lentamente nel tempo, è possibile stimare le conseguenze degli effetti diretti. I derivati del petrolio, infatti, e gli altri prodotti energetici suoi sostituti, fanno parte del “pacchetto� energetico all’interno dell’Indice dei prezzi al consumo e reagiscono in misura quasi istantanea ai rincari del greggio, praticamente nello stesso mese dello shock o, al massimo, in quello successivo.

 

Secondo una stima autorevole della Banca Centrale Europea, una regola empirica diffusamente utilizzata indica che per ogni incremento del 10% dei prezzi al barile in euro, si determina â€" mediamente nell’arco di un semestre â€" un incremento dell’1,5% della variazione tendenziale dei prezzi al consumo dei prodotti energetici che, ponderato per il peso di questa componente nel paniere dell’Indice armonizzato dei prezzi al consumo, quello utilizzato per i confronti tra Paesi UEM â€" che è di circa l’8-9% - si traduce in un impatto diretto di circa 1 o 2 decimi di punto percentuale sull’inflazione al consumo complessiva. In pratica, ogni aumento del 10% del prezzo in euro di un barile di greggio si traduce in uno 0,2% circa di incremento del tasso d’inflazione.

 

 

Incrementi del prezzo del greggio nei periodi di shock

e impatto diretto sull'inflazione italiana

(variazioni percentuali)

 

 

ott73-

mar74

ott78-

nov79

lug90-

ott90

gen99-

set00

ott03-

ott04

mag05-

lug06

USD/barile

+237%

+193%

+111%

+198%

+67%

+50%

EUR/barile

+270%

+187%

+97%

+297%

+56%

+50%

 

1974

1980

1991

2000

2004

2006 (*)

Tasso di inflazione italiana (**)

21,8%

15,5%

6,4%

3,4%

2,6%

2,5%

Contributo dei prezzi dei beni energetici (***) all'inflazione complessiva

 - Tasso di variazione dei beni energetici (a)

39,5%

39,2%

10,8%

7,6%

2,4%

10,3%

 - Peso nel paniere dei beni energetici(b)

6,1%

7,0%

6,8%

6,6%

6,5%

6,3%

 - Impatto sull'inflazione (c) = (a) x (b)

2,4%

2,7%

0,7%

0,5%

0,2%

0,6%

 

(*) Periodo gennaio - giugno

(**) Deflatore dei consumi delle famiglie

(***) Energia elettrica, gas, carburanti e combustibili

Fonte: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati BCE e ISTAT.

 

 

Dalla tabella emerge chiaramente che, nel corso degli ultimi trent’anni le economie industriali avanzate, tanto più che la ricostruzione è riferita alla sola economia italiana maggiormente esposta sul piano strutturale agli shock sull’offerta, hanno adottato correttivi sempre più efficaci in termini di stabilizzazione delle oscillazioni dei prezzi del greggio â€" basti pensare all’adozione di processi produttivi innovativi di tipo energy-saving, o al sensibile miglioramento nell’efficienza dei propulsori di autoveicoli in termini di rendimento e abbattimento dei consumi/Km, nonché all’adozione da parte delle banche centrali di politiche monetarie restrittive finalizzate al controllo dell’inflazione - tanto da ridurre l’impatto inflazionistico a pochi decimi di punto anche in presenza di variazioni molto consistenti nei listini petroliferi sui mercati internazionali.

Ma assieme all’impatto sull’inflazione complessiva, occorre considerare anche l’impatto sulla crescita del PIL reale.

Una quantificazione è possibile attraverso complessi modelli matematici, i cui risultati vanno tuttavia interpretati con estrema cautela ed hanno natura puramente illustrativa, in quanto molti fattori rilevanti che sono presenti nelle analisi congiunturali risultano assenti in tali modelli per una serie di restrizioni teorico-formali a monte.

Sia la BCE e l’OCSE, su dati trimestrali, sia il FMI su dati annuali, hanno effettuato queste stime ipotizzando un incremento permanente del 50% nelle quotazioni internazionali del greggio, determinandone l’impatto sulla crescita economica dell’eurozona, importatrice netta di prodotti petroliferi.

 


Effetto di un incremento del 50% del prezzo del petrolio sulla crescita del PIL reale nell’eurozona

(punti percentuali)

 

 

Crescita PIL reale

 

1° anno post shock

2° anno post shock

3° anno post shock

 

Modelli su dati trimestrali

BCE

-0,2

-0,2

0,0

OCSE

-0,4

-0,2

0,4

 

Modelli su dati annuali

FMI

-0,1

-0,3

0,1

 

Fonte: BCE.

 

Di fatto, prendendo spunto da questa simulazione e adottandola come schema interpretativo della situazione attuale, la crescita sostenuta di queste settimane delle quotazioni del greggio, che a fine 2006 potrebbe toccare i 77 dollari per barile, risultando stabilmente intorno al 50% al di sopra dei circa 50 dollari della metà del 2005, avrebbe un impatto prevalente nel corso del 2007-2008. Tale impatto si tradurrebbe in un minore incremento del PIL oscillante tra 1 decimo e 4 decimi di punto percentuale, per poi esaurirsi nel corso del 2009 secondo la BCE o, addirittura, avere un effetto positivo sulla crescita, di qualche decimo di punto secondo l’OCSE e il FMI, sotto l’ipotesi che i paesi OPEC, in virtù del maggior reddito connesso al rialzo delle quotazioni del greggio, accrescano la propria propensione al consumo e quindi la domanda di beni importati dall’area dell’euro.

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