Legambiente e Confcommercio presentano il rapporto sull'"Italia del disagio insediativo", uno screening dello sviluppo locale, socioeconomico e abitativo

Legambiente e Confcommercio presentano il rapporto sull'"Italia del disagio insediativo", uno screening dello sviluppo locale, socioeconomico e abitativo

Crisi e declino non arrestano il cammino del paese: Soft economy e territorio le grandi risorse per la competitività.
Economia, istruzione, occupazione e turismo in crescita, ma è un’Italia a quattro velocità.
Al palo Emilia Romagna e Liguria, bene Sud e Sardegna, Lazio e Umbria.

È cresciuto il reddito, è cresciuto il turismo, è cresciuta la scolarizzazione di fascia alta. E non parliamo della Spagna, dell’Irlanda o dell’Olanda. A dispetto del declino, della crisi, del malessere e dell’inquietudine l’ultimo decennio ha visto un progresso, forse lento ma continuo, del nostro Paese, con la sorpresa Mezzogiorno che – partendo certo da livelli molto bassi – ha comunque mostrato evidenti segni di ripresa. L’Italia resta però a più velocità. C’è chi scende e chi sale, chi sta fermo, chi va piano, chi pianissimo, chi corre. E in questo contesto il Sud è sorprendentemente più dinamico del Nord, mentre alcune regioni che tradizionalmente sono considerate aree del benessere – Emilia Romagna e Liguria – mostrano preoccupanti segni di rallentamento.

È, sinteticamente, il quadro che emerge dal nuovo rapporto “L’Italia del disagio insediativo” che analizza l’ultimo decennio di vita in Italia (gli anni compresi tra il 1996 e il 2005) dal punto di vista dei servizi, del commercio, dello sviluppo locale, socioeconomico e abitativo, del turismo. Il rapporto di Legambiente e Confcommercio, curato da Serico, è stato presentato questa mattina a Roma dai presidenti di Legambiente e Confcommercio Roberto Della Seta e Carlo Sangalli, dal presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati, Ermete Realacci, e dal curatore del rapporto e responsabile di Serico, Sandro Polci.

Per uno sguardo generale dei dati del rapporto partiamo dal reddito disponibile (+21,6%), passato dai 10.808 euro del 1996 ai 13.142 del 2005. C’è un incremento netto della ricchezza che, associato all’aumento della consistenza dei depositi bancari, indica una solidità dell’economia legata al risparmio. C’è una forte crescita della scolarizzazione di fascia alta (diplomati e laureati) e, conseguentemente, della popolazione istruita, che danno la sensazione di una parziale uscita da quella fase involutiva che vedeva l’Italia tra gli ultimi in Europa per istruzione e specializzazione. C’è una diminuzione dell’incidenza delle abitazioni non occupate (circa il 5% in meno), che sottintende una voglia di far rientrare nel circolo virtuoso dell’economia immobiliare una quota del patrimonio edificato e non utilizzato. C’è una crescita del turismo (+12,3%), dei servizi medici, dell’assistenza sociale e, dato anch’esso positivo, c’è un incremento dell’occupazione testimoniato da quel 7,1% in meno nel rapporto tra numero di abitanti e lavoratori.

Fin qui i dati positivi. Ma c’è anche come al solito l’altra faccia della medaglia, quella dell’Italia che invecchia (la popolazione con meno di 14 anni scende dell’11,1% tra 1996 e 2005 quella con più di 65% sale addirittura del 25,7%), la diminuzione del numero dei pubblici esercizi (-17,1%) a vantaggio dei centri commerciali, con una progressiva scomparsa dei piccoli negozi di prossimità e degli esercizi di vicinato in grado di mantenere in vita un tessuto sociale, in particolar modo nei piccoli comuni. E poi, ma il dato non è certo nuovo, c’è una esasperazione della mobilità privata, con un rapporto abitanti per autovetture che è passato da circa 2 nel 1996 a 1,5 nel 2005.

Gli indicatori esaminati dal rapporto di Legambiente-Confcommercio-Serico sono complessivamente 53 e riguardano, tra l’altro, popolazione, istruzione, assistenza sociale e sanitaria, produzione, commercio e pubblici esercizi, turismo, ricchezza. L’analisi si sofferma sul “carattere” dei singoli comuni e delle province per poter valutare la qualità dei servizi territoriali diffusi e la possibilità di competere per uno sviluppo coerente con le proprie risorse e identità. Il rapporto è dunque un’utile base per elaborare strategie d’attacco che garantiscano al Paese la crescita migliore, sistematizzando quelli che sono gli elementi vincenti dello sviluppo locale: la coesione territoriale e il rispetto dell’identità, il dinamismo imprenditoriale della piccola impresa, il rafforzamento della rete turistica, la mitigazione dello spopolamento in atto.

La struttura del report consente una analisi più puntuale di quanto evidenziato finora e schematicamente divide in quattro (territori lumaca, lepre, formica e cicala) le diverse aree del Paese. Tra i territori lepre ci sono molte province e aree del Nord e del Centro, ma anche alcune province del Sud che in questi anni hanno evidenziato notevoli tassi di miglioramento, come ad esempio le province lucane di Potenza e Matera. Diversamente, i territori tartaruga manifestano una lentezza strutturale, dovuta ad altre condizioni di partenza e di “deambulazione”. Una lentezza che a volte procede verso miglioramenti e lente uscite dalle condizioni di disagio, come in alcune aree del Mezzogiorno. E una lentezza che si trasforma anche in rallentamenti e riduzioni del benessere a causa di effetti di “cronicità” degli indicatori, come nel caso della provincia di Trieste, tra le prime per qualità della vita ma in lenta e progressiva involuzione a causa di una struttura demografica troppo matura e potenzialmente foriera di un percorso di ritorno a condizioni di disagio insediativo. I territori cicala sono dotati di numerose risorse (ambientali, culturali, economiche, sociali) ma si contraddistinguono, ad esempio, per l’eccessivo uso delle risorse ambientali (si pensi al consumo di suolo a fini edificatori) oppure hanno raggiunto soglie di qualità della vita molto elevate e difficili da mantenere nel lungo periodo. E’ il caso dell’Emilia Romagna e della Toscana, che esprimono elevati valori degli indicatori di benessere ma presentano al contempo un fenomeno parziale di involuzione, passando tra il 2001 e il 2005 dal gruppo di massimo benessere a quello della cosiddetta medietà (seppure con i migliori parametri). Una trasformazione che potrebbe essere espressione di una difficoltà di mantenimento delle condizioni locali dello sviluppo a causa di una minore dotazione di risorse, amministrative, economiche, finanziarie (e di una difficile situazione economica generale), ma in alcune aree si configura anche come l’esito di una rapidità della crescita, fino alla soglia più elevata di benessere, che non è in grado di consolidare i risultati raggiunti, evidenziando dunque problemi di sostenibilità dello sviluppo. L’Italia dei territori formica è infine quella che non fa notizia ma dove una lungimiranza di medio-lungo periodo premia il lento, consistente e duraturo cammino dei territori verso uno sviluppo solido e coeso. E’ il caso di alcune aree del Mezzogiorno che, pur non avendo la dinamica di molte regioni del nord e del centro, stanno uscendo in modo significativo da situazioni consolidate di disagio. Come le regioni del sud e delle isole, a partire dalle province della Sardegna, che più di altre hanno dimostrato nel decennio capacità di crescita, innovazione, sviluppo e miglioramento delle condizioni insediative. O quelle storicamente disagiate della Calabria che, pur rimanendo inserite nel gruppo di maggior disagio, evidenziano localmente lenti ma costanti miglioramenti di alcuni indicatori, quali il reddito, la composizione della popolazione, la diminuzione delle abitazioni non occupate e l’incremento del turismo.

“L’indagine presentata da Legambiente e Confcommercio – ha sottolineato Roberto Della Seta – invita a leggere l’Italia traguardando gli schemi troppi generici, a cominciare da quello di un nord produttivo e performante e di un sud in perenne affanno. Il dato più confortante è che laddove si sono registrati miglioramenti, la diffusione è stata a macchia d’olio, si è allargata dalle aree metropolitane ai comuni contermini e al territorio circostante, compresa la realtà dei piccoli comuni che nel nostro Paese hanno un peso specifico e un valore simbolico notevolissimi, ma sono stati troppo a lungo sacrificati. C’è in definitiva una vitalità e un protagonismo delle realtà medie e medio-piccole che fa ben sperare per il futuro. E’ interessante notare anche quali sono stati i principali settori che hanno tenuto in piedi la baracca in questi anni: l’istruzione, il turismo, la crescita dei servizi per la popolazione e per le imprese: non a caso gli ingredienti principali di quella soft economy che si conferma la via più realistica per dare all’Italia un futuro solido e moderno. Elementi che possono innescare dinamiche positive a patto che ci sia una grande attenzione alla sostenibilità, allo sviluppo pulito, alla valorizzazione delle risorse locali. Dove questi aspetti vengono trascurati o addirittura sviliti c’è invece decrescita, crisi, declino. Lo studio ci dice inoltre che bisogna stare molto attenti alle dinamiche in atto nei piccoli comuni, dove la perdita di alcuni servizi e dei piccoli esercizi commerciali può avere effetti davvero devastanti”.

Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, “questa analisi ci conferma un'Italia a diverse velocità, con un'espansione del benessere a macchia di leopardo, trainata per un verso da alcune aree metropolitane e dall'altro persistente nei disagi strutturali. Non solo il divario tra nord e sud, ma passi diversi, velocità diverse che indicano sì un paese vitale, ma che ancora non ha valorizzato tutte le sue risorse in termini di capitale umano, investimenti, ricerca, sviluppo e innovazione. E su questo punto è la politica che deve cambiare passo per creare quelle condizioni di ripartenza e consolidamento dell'economia che ancora oggi sono deboli. Perchè è vero che tutti speriamo che il Pil del 2007 possa chiudere con un tasso di crescita al 2%, ma è anche vero che tutte le economie avanzate che stanno crescendo hanno puntato sui servizi. E noi da questo punto di vista ancora siamo indietro. L'Italia deve puntare alla leadership del cosiddetto “capitalismo culturale”. Quello, cioè, capace di valorizzare il patrimonio della nostra identità. Identità culturale, storica ed ambientale, ma anche frutto di un modo tipicamente italiano di vivere e di consumare. Un’identità, tra l’altro, non  delocalizzabile. Bisogna investire non in termini di incentivi a carico della finanza pubblica, ma piuttosto in termini di attenzione politica. L’Italia deve puntare a mettere in campo una rete di relazioni tra iniziativa privata e funzione pubblica non rivolta alla pura sopravvivenza ma a un progetto di più ampio respiro”.

“Non c’è nostalgia - ha aggiunto Sandro Polci, curatore del rapporto - ma valorizzare i piccoli centri, come diceva il Cattaneo, significa tutela ambientale certezza nella manutenzione del territorio, opportunità di sviluppo economico”.

Regioni Reddito per abitante € Inc.% popolazione sopra 65 anni Pubblici esercizi per 1000 abitanti Presenze turistiche per Kmq Servizi persone per 1000 abitanti Consumi elettrici per famiglia U. L serv. Medici per 1000 abitanti
  1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.% 1996 2005 Var.%
PIEMONTE 12.751,2 15.540,3 21.9% 17.4% 21.9% 25.5% 4.2 4.11 -2.2 % 319.1 367.82 15.3% 3.60 4.37 21.5% 2.46 2.58 4.7% 2.44 3.22 31.7%
VALLE D’AOSTA 13.588,7 16.111,7 18.6% 16.1% 19.6% 21.9% 11.82 8.76 -25.9 % 1.079,3 981.48 -9.1% 4.65 4.06 -12.7% 3.25 3.34 2.7% 2.36 3.43 45.3%
LIGURIA 12.803,1 16.407,1 28.1% 21.6% 26.3% 21.9% 7.02 5.96 -15.2% 2.838,0 2.622,31 -7.6% 3.95 3.80 -3.9% 2.38 2.50 4.9% 3.15 4.25 34.9%
LOMBARDIA 13.131,8 15.335,3 16.8% 14.5% 18.8% 29.7% 4.4 3.95 -10.3% 958.5 1109.28 15.7% 3.24 3.55 9.7% 2.69 2.82 4.9% 2.36 3.70 56.7%
TRENTINO ALTO ADIGE 11.827.9 13.775,3 16.5% 14.8% 17.3% 16.8% 6.52 5.74 -12.0% 2.818,2 2.906,09 3.1% 3.12 2.97 -4.6% 2.58 2.70 4.7% 1.78 2.71 52.9%
VENETO 11.773,7 13.492,1 14.6% 15.3% 18.7% 22.4% 4.75 4.62 -2.6% 2.319,4 2.966,62 27.9% 3.27 3.35 2.3% 2.72 2.79 2.7% 2.21 3.12 41.2%
FRIULI V.G. 12.283,2 15.067,1 22.7% 19.4% 21.9% 12.9% 6.14 5.39 -12.2% 1.025,8 1.090,93 6.4% 3.32 3.11 -6.4% 2.57 2.66 3.5% 2.49 3.36 84.0%
EMILIA ROMAGNA 13.286,4 15.587,5 17.3% 19.6% 22.7% 15.7% 5.18 4.61 -11.0% 1.523,5 1.640,18 7.7% 4.12 3.70 -10% 2.72 2.87 5.8% 2.86 3.85 34.7%
TOSCANA 11.915,2 14.860,5 24.7% 19.5% 22.9% 17.4% 5.70 4.55 -20.1% 1.375,0 1.542,06 12.2% 3.61 3.65 1.1% 2.77 2.86 3.5% 2.79 3.81 36.6%
UMBRIA 10.663,3 12.646,6 18.6% 19.4% 23.2% 19.6% 5.12 3.95 -22.9% 536.7 680.5 26.8% 3.53 3.56 0.9% 2.62 2.72 3.8% 2.69 3.46 28.7%
MARCHE 11.182,4 13.288,1 18.8% 18.5% 22.2% 19.7% 4.84 4.29 -11.2% 1.155,3 1.325,64 14.7% 3.46 3.81 10.0% 2.51 2.68 6.7% 2.50 3.32 32.9%
LAZIO 11.237,4 14.417,8 28.3% 14.1% 18.6% 31.5% 4.13 4.05 -1.8% 1.186,7 1.632,59 37.6% 2.98 3.14 5.4% 3.08 3.4 5.3% 2.31 4.40 90.8%
ABRUZZO 9.346,6 11.289,2 2.8% 16.9% 20.9% 23.4% 5.14 4.55 -11.4% 514,6 642,20 24.8% 3.52 4.03 14.2% 2.45 2.60 5.9% 2.67 3.47 30.0%
MOLISE 8.643,6 10.556,6 22.1% 17.6% 21.5% 22.0% 4.86 4.29 -11.6% 104,3 170,13 63.1% 2.80 3.24 15.4% 2.15 2.42 12.7% 2.25 3.07 36.7%
CAMPANIA 8.023,9 10.145,9 26.4% 11.1% 14.8% 32.9% 3.11 3.03 -2.8% 1.330,9 1.464,9 10.1% 2.13 2.53 18.5% 2.77 2.83 2.0% 2.28 2.95 29.5%
PUGLIA 7.970,0 9.861,2 23.7% 12.4% 16.6% 34.5% 3.06 3.07 0.5% 385,4 536,74 39.3% 2.49 2.63 5.8% 2.65 2.84 7.1% 2.14 2.65 24.2%
BASILICATA 7.975,1 9.491,1 19.0% 14.2% 19.3% 35.5% 4.16 3.31 -20.4% 106,7 192,3 80,1% 2.27 2.49 9.8% 2.12 2.34 10.4% 2.03 2.67 31.6%
CALABRIA 7.665,1 9.488,7 23.8% 13.3% 17.6% 32.5% 4.69 3.48 -25.8% 324,5 490,75 51.2% 2.38 2.51 5.7% 2.66 2.92 9.8% 2.20 2.74 24.4%
SICILIA 8.039,7 10.159,1 26.4% 13.8% 17.4% 26.4% 2.80 2.74 -2.3% 391,7 519,36 32.6% 2.35 2.34 -0,4% 2.93 3.09 5.7% 2.25 2.91 29.1%
SARDEGNA 8.558,3 10.960 28.1% 12.5% 16.7% 33.4% 4.67 4.53 -2.8% 315,2 427,77 35.7% 2.25 2.70 20.0% 3.35 3.48 3.7% 2.18 3.19 46.0%
ITALIA 10.808 13.142 21.6% 15.30% 19.2% 25.7% 4.36 3.99 -8.4% 981 1.146 16.8% 3.03 3.24 6.9% 2.55 2.86 12.0% 2.36 3.39 43.8%

 

Fig1 - Mappa del disagio insediativo 1996

Fig2 - Mappa del disagio insediativo 2005

Fig3 - I territori che corrono e quelli che rallentano 1996-2005

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