Concertazione e governabilità

Concertazione e governabilità

Villa d'Este - Cernobbio (Como), 16 marzo 2008

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18 marzo 2008

Siamo arrivati alla giornata conclusiva dei lavori del nostro forum.

Il "filo rosso" di questi lavori è stato l'insistenza sulla necessità di quel "crescere di più e meglio", che abbiamo proposto sia assunto come questione prioritaria, nel corso della prossima legislatura, dalla politica e dalle politiche.

"Crescere di più, crescere meglio": un'esigenza più che mai valida – come abbiamo visto nel corso dei lavori – per l'Europa intera, poiché resta ancora davvero molto da fare per cogliere, a meno di due anni dal traguardo del 2010, l'obiettivo strategico fissato dall'Unione europea per il nuovo decennio, in occasione del vertice di Lisbona del 2000: "diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".

Del resto, questa è anche la premessa "europea" del Rapporto per la liberazione della crescita francese, predisposto – su incarico del Presidente Sarkozy – dalla Commissione presieduta da Jacques Attali.

In premessa, appunto, lì si ricorda che "anche se l'Europa oggi cresce a una velocità inferiore alla metà della media mondiale, e più lentamente della media dell'OCSE, anche se la sua demografia è in declino, l'Europa non ha alcun motivo di restare al traino".

È la scelta e la capacità politica di innescare profondi processi riformatori che fa la differenza, e che spiega, poi, perché – in assenza di queste riforme – il nostro Paese da troppo tempo cresca strutturalmente – cioè sia che il ciclo economico sia positivo, sia che il ciclo economico sia negativo – meno dei principali Paesi europei.

Per questo abbiamo detto – con le nostre venti tesi – della necessità di una legislatura costituente e sottratta alla dittatura del breve termine.

Costituente in un duplice senso: perché resta aperta la necessità di una riforma della legge elettorale e di riforme istituzionali che diano all'Italia condizioni di effettiva ed efficace governabilità. E, ugualmente, riforme profonde – sul terreno economico e sociale – sono urgenti, oggi più che mai, per ingranare, nel nostro Paese, la marcia di quella crescita più robusta e di migliore qualità, che è la condizione fondamentale per il risanamento della finanza pubblica e, in particolare, per la riduzione del debito, così come per lo sviluppo e per l'equità sociale e intergenerazionale.

È – lo ripeto – la condizione fondamentale: anche per reagire a crescenti fratture sociali e territoriali, dando risposta ai temi che compongono l'agenda della questione meridionale, così come quella della "nuova" questione settentrionale.

Una legislatura, ancora, sottratta alla dittatura del breve termine: perché – come è ricordato nel Rapporto Attali – gli effetti delle riforme vanno valutati "sul lungo periodo e innanzi tutto dal punto di vista delle vittime del conservatorismo attuale...".

Intorno a questa impostazione, abbiamo registrato – nel corso dei lavori – molte e importanti convergenze scientifiche e politiche. E anzitutto – sul piano politico – quelle dei candidati premier del PDL e del PD, Silvio Berlusconi e Walter Veltroni.

Intendiamoci, però. È giusto chiedere che – a fianco dell'Italia operosa dei tantissimi imprenditori e lavoratori che certamente "fannulloni" non sono – scenda in campo una buona e nuova politica: quella, cioè, che – anche attraverso la riduzione della frammentazione del sistema dei partiti – sblocchi la crisi della decisione politica e assicuri la tenuta nel tempo della coerenza e della coesione programmatica degli schieramenti di maggioranza e di opposizione.

Ma non c'è dubbio che la scelta di lavorare per la centralità delle politiche per la crescita e per costruire un futuro più ambizioso per l'Italia chiama in causa anche la responsabilità nostra e di tutte le forze sociali.

Per questo abbiamo scelto di concludere il nostro percorso di riflessione sulle ragioni della crescita con questo momento di discussione sul nesso tra concertazione e governabilità.

Perché da tempo le forze sociali – tanto le associazioni imprenditoriali, quanto i Sindacati dei lavoratori – chiedono alla politica di assicurare governabilità, e ancora di recente lo hanno fatto in occasione delle consultazioni condotte dal Presidente Marini.

Ma, d'altra parte, una concertazione ben impostata – sul piano del metodo, così come su quello del merito – può essa stessa recare un contributo importante alla governabilità del Paese, agevolando un processo riformatore che deve prevalere – nell'economia e nella società – rispetto a privilegi e posizioni di rendita, chiusure corporative ed egoismi minuti.

Del resto, almeno nell'ultimo venticinquennio della storia repubblicana, metodo e sostanza della democrazia partecipativa – fondata sul confronto e le relazioni tra istituzioni, partiti politici e organizzazioni sociali di rappresentanza – si sono espressi, al livello più alto, nel metodo e nella pratica della concertazione.

Metodo e pratica hanno ben funzionato in alcune fasi d'emergenza della storia del Paese, a partire dalla risposta alla crisi macroeconomica e finanziaria del '92, che generò gli accordi del '93 sulla politica dei redditi e sul modello contrattuale.

Per il resto, si è trattato di un'esperienza in cui molto vi è stato di rituale, che ha sofferto di una ridondanza di obiettivi e che ha oscillato fra relazioni privilegiate e partecipazione universalistica, senza avere il coraggio di affrontare e risolvere il nodo di chi rappresenta che cosa.

Insomma, superate le emergenze e le urgenze, è troppo spesso mancata quella vitale presbiopia – lo dico nello stesso senso in cui fu autorevolmente detto della virtuosa presbiopia della nostra Carta Costituzionale – che è necessaria per scegliere e costruire il futuro.

Da qui bisogna partire – a mio avviso – per tentare una manutenzione straordinaria della concertazione, fondata su una più puntuale attenzione alla rappresentatività reale dell'economia reale del Paese.

Ciascuno, dunque, contribuisca sulla base della sua capacità di analisi e di proposta, ma a nessuno sia riconosciuto il diritto all'esercizio di poteri di veto. E soprattutto, nella formazione delle scelte, gli interessi siano misurati in ragione del loro apporto all'economia reale del Paese: per quella che oggi è, e ancor più per quella che vogliamo sia domani e dopodomani.

C'è la necessità e la possibilità di farlo.

C'è, infatti, la necessità e la possibilità di un grande patto sociale per la produttività del Paese e, in questo contesto, per la produttività di quell'economia dei servizi, che già oggi contribuisce, per ben più del 40%, alla formazione del PIL e dell'occupazione.

C'è la necessità e la possibilità di una riforma dell'architettura della contrattazione, che – senza ridondanze e sovrapposizioni – specializzi la missione del primo e del secondo livello, stimoli gli incrementi di produttività, perfezioni lo scambio tra incrementi di produttività e aumenti salariali.

C'è la necessità e la possibilità di un'intesa forte sulla qualità e la produttività della spesa pubblica che – attraverso la pratica dello spendere meno e meglio e insieme ad un'equilibrata prosecuzione dell'azione di contrasto e recupero dell'evasione e dell'elusione – renda agibile il percorso di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sull'impresa.

C'è la necessità e la possibilità di chiudere il cerchio della flexicurity: con la riforma degli ammortizzatori sociali, e con l'efficienza dei servizi per l'impiego e dei processi di formazione continua.

C'è la necessità e la possibilità di evitare segmentazioni del mercato del lavoro, confermando i principi di una buona flessibilità governata e contrattata, che ha mostrato di agire efficacemente per l'accrescimento del tasso di partecipazione della popolazione attiva al mercato del lavoro e per il contrasto della precarietà del lavoro nero e della disoccupazione. Il che vuol dire incentivare la trasformazione dei rapporti di lavoro a termine e flessibili in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma anche ragionare senza pregiudiziali sulle rigidità di questi ultimi.

L'elenco, dunque, è già nutrito, anche se parziale.

Ma, insomma, quel che mi preme dire – e, spero, condividere – è che per tutti – e, in particolare, per la politica e per le forze sociali – è giunto il momento di non rinviare la formazione di scelte a lungo discusse e spesso anche largamente condivise.

"Si può fare?". "L'Italia si può rialzare?".

In entrambi i casi, la risposta è sì. In entrambi i casi, non dipende se non dalla qualità delle scelte che sapremo fare.

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