Interventi adottati e Decreto maggio, alcune riflessioni di Confcommercio Professioni

Interventi adottati e Decreto maggio, alcune riflessioni di Confcommercio Professioni

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7 maggio 2020

L’inizio della cosiddetta fase 2 purtroppo non determinerà una ripresa ordinaria degli incarichi professionali ma la gran parte dei professionisti prevede un forte calo di fatturato rispetto ai mesi e anni precedenti.

Per questo Confcommercio Professioni ha chiesto di portare fino a giugno 2020 l'indennità di sostegno al reddito di 600 euro e di alzarne l’importo senza prevedere un tetto di reddito come requisito per l’attribuzione. Ciò non toglie che la richiesta della stessa indennità dipenda da una scelta etica del singolo che la dovrebbe evitare se è in condizioni di affrontare senza alcun problema i bisogni per il proprio sostentamento nei mesi in cui la misura è prevista.

Certo è che per alcune professioni (turismo e sport/palestre) vanno trovate soluzioni di sostegno al reddito oltre il mese di giugno. Mentre per le professioni ordinistiche, sarebbe opportuno che l'indennità fosse riconosciuta sulla base di criteri e modalità di attribuzione ragionevolmente assimilabili a quelli degli altri professionisti, cosa che invece non è avvenuta prevedendo limitazioni legate al reddito e al fatturato.

Inoltre, in molti casi in cui le pensioni sono molto basse, il divieto di cumulo tra pensioni e redditi per l’indennità non risulta equo. E il requisito dell’iscrizione in via esclusiva ad una gestione INPS o ad una Cassa di previdenza privata non permette a molti professionisti di usufruire dell’indennità se percepiscono un reddito per cui versano contributi ad altre gestioni anche se si tratta di un importo molto più basso di 600 euro.

Con riferimento, invece, alle scadenze fiscali e contributive dei mesi di maggio e giugno (sulla base degli interventi di proroga del Dl Cura Italia e Dl Liquidità) abbiamo costantemente messo in evidenza che la crisi in atto non permette ai lavoratori autonomi di aver la liquidità necessaria per adempiere. Tra il 31 maggio ed il 30 giugno 2020 si accavallano una serie improponibile di versamenti, solo ad esempio:

  • IVA e ritenute contributive (per chi ha dipendenti) del mese di marzo;
  • “rottamazione-ter” per una o due rate (per chi ha utilizzato la rimessione in termini del Decreto-legge Cura Italia con riferimento alla rata scaduta il 28 febbraio);
  • rate della cosiddetta pace fiscale o definizione liti pendenti;
  • piani di rateizzazione degli avvisi bonari che non sono stati sospesi e continuano a decorrere;
  • IMU e IVA di maggio e ritenute-contributi di maggio;
  • rate delle cartelle esattoriali rinviate dal Cura Italia;
  • IRPEF-IRAP-IRES (saldi e acconti); imposta sostitutiva dell’Irpef (saldo e acconto) per il regime forfettario;
  • cedolare secca sulle locazioni;
  • contributi per gli iscritti alla gestione separata INPS.

 

L’elenco rende evidente la necessità urgente di un intervento forte di moratoria e di dilazione dei pagamenti. Va trovata una soluzione anche con riferimento all’intero debito fiscale pregresso. Il tutto per liberare risorse che i lavoratori autonomi potranno utilizzare per la sopravvivenza delle proprie attività economiche. Se si continua a prendere decisioni mese per mese su questo punto, non si danno certezze che, invece, sono indispensabili per andare avanti e programmare la ripresa.

Anche la misura contenuta nel Decreto-legge cd. “liquidità” che consente ai contribuenti di rideterminare il reddito presunto e l’acconto con un margine di errore del 20 per cento non è, purtroppo, sufficiente. La prima rata dell’acconto deve essere versata entro il 30 giugno 2020 quando mancano ancora sei mesi al termine dell’anno ed ogni ipotesi di stima deve considerarsi addirittura fantasiosa.

Per le professioni, inoltre, la limitazione prevista dal Decreto liquidità con riferimento al calo di fatturato del 33 per cento confrontato tra marzo e aprile 2020 rispetto agli stessi mesi del precedente periodo di imposta non è correttamente applicabile. Questo criterio ha determinato rilevanti penalizzazioni.

I professionisti, solitamente, fatturano a lavoro eseguito e, quindi, a marzo o aprile 2020 potrebbero aver emesso le fatture con riferimento ad attività svolte e concluse nei mesi di gennaio e febbraio dell’anno 2020, o addirittura, nel precedente anno 2019.

Se dal mese di marzo 2020 si è avviata la fase di graduale - ed ora improvvisa – riduzione degli incarichi professionali, la fatturazione avvenuta e i compensi incassati devono assicurare la liquidità necessaria per sostenere almeno i costi futuri.

Questo problema ci sarebbe se il medesimo criterio di calcolo della perdita di fatturato fosse assunto come presupposto per gli indennizzi a fondo perduto o per la copertura dei costi fissi sostenuti, che dovrebbero riguardare i professionisti che hanno subito danni nel periodo corrispondente al lockdown.

Inoltre, riteniamo che non si possa prescindere, anche per motivi di equità, dal riconoscere l'estensione anche ai professionisti del credito di imposta previsto dall'articolo 65 del Decreto-legge Cura Italia nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione degli immobili.

Chiudiamo questa breve carrellata, in attesa del Decreto cd. maggio, osservando che si continuano a dimenticare i professionisti anche nel Bando Invitalia, che consente di ottenere il rimborso delle spese sostenute dalle aziende per l’acquisto di dispositivi ed altri strumenti di protezione individuale (DPI) per l’attuazione dei protocolli di sicurezza per i luoghi di lavoro. Ricordiamo, però, che anche gli studi professionali al pari delle imprese stanno acquistando i DPI ed adottando misure di protezione individuale e non riusciamo a comprendere il motivo dell’esclusione.

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