Conferenza regionale organizzativa Unione Toscana - Intervento del Presidente di Confcommercio, Sergio Billè

Conferenza regionale organizzativa Unione Toscana - Intervento del Presidente di Confcommercio, Sergio Billè

Firenze 24 Maggio 2004

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24 maggio 2004
“Concludere” i lavori , dopo una mattina di discussione e confronto tra funzione pubblica e sistema associativo così ricca di

Conferenza regionale organizzativa Unione Toscana

Intervento del Presidente di Confcommercio, Sergio Billè

 

Firenze 24 Maggio 2004

 

 

Concludere i lavori, dopo una mattina di discussione e confronto tra funzione pubblica e sistema associativo così ricca di elementi di riflessione e di prospettive strategiche, non è un esercizio facile.

E tanto meno facile, perché in realtà – e spero che l’assunto risulti chiaro dai contenuti del mio intervento – si tratta esattamente non di “concludere”, ma di “iniziare”. “Iniziare”, cioè, a lavorare secondo quel metodo organizzato di relazioni tra sistema pubblico e iniziativa organizzata dei privati e delle imprese – fatto di condivisione degli obiettivi e dei ruoli, non meno che di verifica dei risultati concreti – che mi sembra costituire, in buona sostanza, il valore politico del “Nuovo Patto per lo Sviluppo”, che la recente intesa tra Regione Toscana e Parti Sociali pone a servizio della “Toscana che compete”.

“Toscana compete”: questo il titolo che l’Unione Regionale di Confcommercio ha molto efficacemente scelto per riassumere senso e temi dell’incontro.

E per competere – vale per la Toscana, ma vale naturalmente anche per l’insieme dell’Italia nell’età del federalismo – occorre, in definitiva, sciogliere i due nodi fondamentali, che sono emersi negli interventi di questa mattina: da quelli degli amici Presidenti Santini e Bocca a quelli del Sindaco Domenici, dell’Assessore Cenni, del Presidente Martini, senza tralasciare, peraltro, il tema caldo e classico del rapporto tra banca e impresa, specificamente affrontato dal dott. Marino del Monte Paschi.

Due nodi. Il primo è quello della governance dell’Italia federale. Il secondo è quello del modello di sviluppo da perseguire a fronte – ed io sono tra coloro che non esitano a dirlo con chiarezza – della crisi di competitività con la quale il Paese tutto sta letteralmente facendo i conti.

Due nodi, aggiungo, rispetto ai quali un po’ tutti e da troppo tempo – la politica anzitutto, ma poi anche i soggetti sociali e i sistemi di rappresentanza – mostrano difficoltà a ragionare in concreto.

Perché questo ? Io vedo sostanzialmente due cause.

La prima è che non c’è stata sufficiente cura nel mantenere e implementare quel metodo di confronto tra Governo e parti sociali, che pure ha consentito al nostro Paese di percorrere un bel tratto del processo di risanamento della finanza pubblica e di conseguire il traguardo dell’Europa dell’euro.

Dopo di che, però, quel metodo – parlo cioè della concertazione – che si era praticato a partire da condizioni di emergenza e quasi per stato di necessità è stato giudicato inidoneo o superfluo rispetto al compito impegnativo – altrettanto impegnativo, se non più impegnativo di quello del risanamento finanziario – della costruzione delle “gambe” con cui giocarci la partita della competitività, esaurita la valvola di sfogo delle svalutazioni, nel mercato interno europeo e in quello globale.

Dunque, che questo metodo venga oggi assunto, in Toscana, come proposta per la competitività è un dato politico, che testimonia il fatto che il “federalismo”, laddove correttamente interpretato e praticato, può davvero essere occasione di “buone pratiche”, che tengano insieme i valori della partecipazione e della responsabilità.

La seconda causa della difficoltà nel ragionare – e nel fare – in concreto sta, poi, nel fatto che l’Italia politicamente bipolare che si è venuta costruendo è stata profondamente segnata dal deficit del reciproco riconoscimento di legittimazione tra gli schieramenti politici.

Con il risultato che, troppo spesso, il confronto politico ha assunto i toni e i contenuti di una contrapposizione ideologica, che ha lasciato davvero poco spazio al confronto di merito.

E, tornando ai “nodi”, inizio dal tema della governance, perché è indubbio che proprio i modi e i tempi della transizione al federalismo e l’incompiuta riforma federalista del sistema istituzionale siano tra i fattori determinanti della crisi di competitività.

Lo stato dell’arte vede, ad oggi, da un lato, l’approvazione da parte del Senato, in prima lettura, del disegno di legge costituzionale di riforma federalista del sistema istituzionale; dall’altro, l’ancora lungo e complesso processo di definizione degli Statuti delle Regioni, tra cui quello della Regione Toscana, anch’esso approvato in prima lettura.

Nell’un caso come nell’altro, però, mi sembra che vi sia ancora molto da fare per riequilibrare il rapporto tra l’asse verticale della sussidiarietà interistituzionale e l’asse orizzontale della sussidiarietà, cioè quella dimensione e quella struttura della società civile, dei suoi corpi intermedi e delle autonomie funzionali che pure avrebbe il diritto di svolgere un suo rilevante ruolo proprio rispetto a quei principi di partecipazione e di controllo che costituiscono il cuore ed anche l’anima dell’opzione federalista.

Nell’un caso come nell’altro, ancora, i meccanismi elettorali rischiano di riproporre meccanismi di selezione e di formazione della rappresentanza troppo strettamente legati alle forme classiche dei partiti politici e assai poco partecipativi rispetto ai processi di governance territoriale.

Quanto alle competenze, tanto il sistema delle competenze ripartite, già proposto dal ministro La Loggia, quanto il sistema delle competenze concorrenti abbinate alla clausola generale di residualità in favore delle Regioni mi sembra che non escludano affatto il rischio di un contenzioso istituzionale per conflitto di competenza.

Certo, con il disegno di legge costituzionale il profilo del contenzioso si sposta dall’asse del giudizio di legittimità affidato alla Corte Costituzionale all’asse, di merito e perciò più politico, del pronunciamento del Senato federale.

Ma - e questo rebus non mi sembra risolto - resta ferma, per le imprese, l’esigenza di poter contare, per quanto riguarda gli assetti regolamentari per il mercato e per l’attività di impresa, su norme certe, sicure e di reale affidabilità.

Certezza, in altri termini, che il riconoscimento dei valori della competitività e della concorrenza si possa tradurre sempre in una concreta unità federale della Repubblica. 

Comunque, mentre si completa in termini di riforma dell’ordinamento dello Stato e della forma di governo la transizione costituzionale del Paese al federalismo, resta ancora tutto da scrivere – tanto in termini di costituzione formale quanto in termini di costituzione materiale – il capitolo del federalismo fiscale.

Siamo ancora fermi alla missione impossibile dell’Alta Commissione di studio per il federalismo fiscale, cui manca la premessa, logicamente sancita nella Legge Finanziaria per il 2003, della legge quadro per il federalismo fiscale.

A fronte delle esigenze di risanamento della finanza pubblica e di riduzione del debito pubblico che derivano dalla costituzione materiale del Trattato di Maastricht e degli obiettivi politici di riduzione della pressione fiscale complessiva a carico di cittadini e imprese, permangono irrisolti gli interrogativi circa costi e coperture della devoluzione federalista dei poteri e delle funzioni fin qui esercitate dallo Stato.

La fiscalità della Repubblica federale dovrebbe rafforzare tanto la responsabilità amministrativa, cioè la coincidenza tra soggetto impositore e soggetto erogatore del servizio, quanto il principio del beneficio, cioè la corrispondenza tra beneficiari delle prestazioni e soggetti incisi dal pertinente tributo.

Ma il federalismo fiscale non può peraltro non tenere conto della variabilità quantitativa delle basi territoriali imponibili.

Così, ad esempio, nel caso della Lombardia, l’addizionale Irpef sostitutiva dei trasferimenti potrebbe attestarsi in misura inferiore all’1%.  Essa salirebbe tra il 3% ed il 5% per un significativo gruppo di Regioni del Centro-Nord e sarebbe comunque superiore al 10% per tutte le Regioni del Mezzogiorno, con un picco del 24% in Calabria.

Anche a fronte delle nuove competenze devolute alle Regioni - assistenza, organizzazione sanitaria e scolastica, polizia locale – non si potrà dunque non pensare ad un intervento equalizzatore rafforzato.

Quel che, in buona sostanza, imprese e cittadini attendono dal farsi del federalismo è un accrescimento di partecipazione e di efficienza: partecipazione ai processi di formazione dei budget pubblici ed alla conseguente allocazione delle risorse; efficienza delle e nel rapporto con le pubbliche amministrazioni.

Insomma, ben venga la “governance cooperativa” con la quale la Regione Toscana si accinge ad operare. Rispetto alla quale – lo sottolineo – si tratterà di verificare tanto la qualità dell’azione pubblica, quanto la capacità dei sistemi associativi di contribuire alla progettazione e alla realizzazione di una proposta per lo sviluppo, che sappia tenere insieme le buone ragioni e i giusti interessi delle imprese rappresentate con la centralità del processo di sviluppo territoriale.

Per quel che ci riguarda, per quel che riguarda Confcommercio, la “governance cooperativa” è il banco di prova del rafforzato ruolo politico ed organizzativo delle Unioni Regionali.

Ma è anche il banco di prova per scelte e politiche che diano concretezza alla questione della democrazia economica, cioè al riconoscerci in un’opzione per la competitività, fatta di confronto nel mercato, tra tutti i soggetti del pluralismo imprenditoriale – le imprese piccole, le medie e quelle grandi – secondo regole trasparenti e non distorsive.

Fatta dall’impegno per il rafforzamento della dotazione di stock infrastrutturale e del capitale umano e per la valorizzazione di quella straordinaria vitalità dell’economia dei servizi di mercato – il commercio, il turismo, i servizi, i trasporti – che, in Toscana e nell’Italia tutta, ha continuato a crescere ed a produrre occupazione, pur in un quadro congiunturale difficile e, a volte, quasi nonostante tutto.

E nonostante, anzitutto, la colpevole disattenzione dei policy-makers, attardati nella nostalgia di un modello di sviluppo vetero-industriale, che mostra di non sapersi confrontare con gli unici veri assett di cui oggi il Paese dispone: la ricchezza del territorio; il dinamismo dell’impresa diffusa.

Anche rispetto al nodo della crisi di competitività, occorre, dunque, una svolta.

Perché penso che l’Italia e l’Europa non possano “rassegnarsi” alla crescita rallentata e frazionale,  mentre accelera il passo di crescita delle altre aree del mondo.

Perché penso che l’accelerazione della crescita richieda l’attivazione di misure di politica economica in grado di esplicare effetti  già nel breve periodo, con una qualità di scelte che sia comunque coerente con le azioni di medio-lungo termine.

Perché bisogna partire dalla riduzione della pressione fiscale sia per i suoi effetti sulla domanda sia per i suoi effetti sulla crescita potenziale.

Ma perché questi effetti si producano, occorre che questa riduzione sia strutturale, cioè non finanziata in deficit, e virtuosa, cioè non seguita  da riduzioni di servizi, aumenti dei loro costi, aggravi della fiscalità locale, destinati a vanificare gli effetti della riduzione della pressione fiscale di primo livello rispetto al reddito effettivamente disponibile e alla domanda.

Una riforma fiscale possibile, insomma, a condizione che via una chiara scelta politica di riqualificazione e ristrutturazione di tutte le componenti della spesa pubblica corrente e, in sede europea, un’interpretazione del Patto come Patto di Crescita (anzitutto) e di Stabilità.

Basta la riduzione della pressione fiscale per costruire una risposta alla crisi di competitività? Certo che no.

Essa, però, è la premessa coerente per tutte le altre azioni di medio-lungo termine, che occorre mettere in campo.

E’ la premessa coerente per scelte di innovazione e riposizionamento strategico del nostro sistema produttivo più attente alla centralità dello sviluppo territoriale, a partire da risorse ancora largamente inesplorate : beni culturali e ambientali; riqualificazione delle aree urbane; commercio e turismo; servizi alle imprese.

Ma, da sola, non basta perché occorrono poi azioni conseguenti – e di medio/lungo termine – per il rafforzamento del capitale umano, della ricerca e sviluppo e dell’innovazione diffusa, della dotazione di stock-infrastruturale a partire dal nocciolo “duro” dei trasporti e della logistica.

E’ la premessa coerente per il passaggio dal welfare state alla welfare society, spingendo alla riqualificazione della spesa pubblica corrente ed anche della spesa sociale.

Ma, da sola, non basta perché occorrono poi processi riformatori conseguenti – e di medio/lungo termine – per un rapido decollo del secondo pilastro previdenziale fondato sulla centralità dei fondi contrattuali, per la riforma degli ammortizzatori sociali, per la formazione continua, per la partecipazione dell’iniziativa organizzata dei privati alla costruzione di un welfare finanziariamente sostenibile e socialmente inclusivo.

E’ la premessa coerente, ancora, per una rinnovata centralità ed efficacia della politica dei redditi. Per la quale occorrono, poi, tanto un più efficace metodo di lavoro tra Governo e parti sociali, quanto – nel merito- scelte tariffarie antinflazionistiche e una struttura di accordi contrattuali più attenta alla differenziazione territoriale del potere d’acquisto e ai divari territoriali di produttività.

Il tempo utile per la svolta, sia rispetto al nodo della governance sia rispetto al nodo della partita per la competitività, sta però scadendo.

Eppure, se sapremo tutti recuperare il gusto di ragionare e di fare in concreto, queste partite possono essere ancora vinte.

Con quel giuoco di squadra, che proprio la Toscana intende praticare in campo e rispetto al quale, certamente, non mancherà il contributo di quelle decine di migliaia di imprese che oggi, in questa area territoriale, si riconoscono nel sistema associativo di Confcommercio.

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