Conferenza Stampa sui prezzi e consumi

Conferenza Stampa sui prezzi e consumi

Roma, 22 ottobre 2008

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22 ottobre 2008

Quando, nel mese di marzo ed in occasione del nostro appuntamento di Cernobbio, segnalammo, forse per primi, rischi non marginali di recessione dell’economia italiana nel 2008, non mancò, a commento delle nostre previsioni, qualche autorevole scetticismo.

Invece e davvero purtroppo, avevamo visto giusto. E, oggi, non soltanto appare scontata una chiusura dell’anno in corso con un dato del PIL preceduto dal segno meno, ma anche le previsioni per il 2009 concordano largamente nel segnalare un’ulteriore contrazione della ricchezza che verrà prodotta nel nostro Paese.

Avevamo visto giusto, dunque. E perché lo ricordo?

Non certo per rivendicare un primato sul piano dell’analisi di assai scarso interesse pubblico e per nulla consolatorio.

Lo faccio, invece, per sottolineare – questo sì- che era corretto - corretto allora ed ancor più corretto oggi – indicare nella debolezza della domanda interna, ed in particolare dei consumi delle famiglie, il vero “tallone d’Achille” dell’economia italiana.

Un “tallone d’Achille” che – insieme ai tanti capitoli dell’agenda della competitività difficile del nostro Paese – motiva, del resto, un divario di crescita, ormai di lungo periodo, rispetto alle medie dell’Unione europea.

Insomma, i “fondamentali” dell’economia italiana vanno assolutamente tenuti ben presenti sia per leggere correttamente l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale, sia – e soprattutto – per costruire una risposta adeguata alla crisi.

E’ vero, infatti, che il nostro sistema bancario e finanziario, per le sue caratteristiche tradizionalmente più conservative, appare comparativamente più solido rispetto a quello europeo e statunitense.

E’ vero ed è un bene.

Ma, d’altra parte, bisogna aver chiaro che uno scenario di marcato rallentamento della crescita su scala globale è destinato ad avere un impatto particolarmente forte sulle caratteristiche di lungo periodo del nostro sistema produttivo.

Tanto sulle “multinazionali tascabili” vocate all’export e fortemente connesse agli andamenti della congiuntura su scala internazionale, quanto sulle imprese che operano sul mercato interno e che si confrontano con una persistente e crescente debolezza dei consumi.

Dunque, ancora una volta, non sono possibili né sconti, né scorciatoie.

E - dopo il tempo delle giuste, delle necessarie risposte urgenti all’emergenza della crisi finanziaria – bisognerà, ora, dedicare straordinaria attenzione ed impegno alla mobilitazione di tutte le politiche e di tutti gli strumenti utili a far ingranare al nostro Paese il passo di marcia di una crescita più robusta e di migliore qualità.

E’ stato, allora, un bene che il Governo abbia varato per tempo, già prima della pausa estiva, un piano triennale di stabilizzazione dei conti pubblici, mantenendo saldo l’obiettivo della riduzione del deficit e del debito pubblico attraverso un impegnativo programma di riduzione delle spese.

Ci ha reso più credibili, più solidi nel confronto con l’onda d’urto della crisi del capitalismo finanziario.

Una credibilità, una solidità che – va ricordato – ha anche consentito all’Italia di svolgere un ruolo di primo piano, affinché l’Europa si muovesse in maniera coordinata, mettendo sul piatto anche le garanzie dell’intervento degli Stati a tutela del risparmio, delle banche e dei prestiti interbancari.   

Bisogna, però, andare avanti, guardando proprio all’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale.

Andare avanti in maniera coordinata in Europa. E, cioè e in concreto, non esitando a procedere ad ulteriori riduzioni del costo del denaro e praticando, in generale, una lettura più espansiva del Patto di Stabilità e di Crescita.

Rendendo così agibili sia misure di riduzione della pressione fiscale, sia il finanziamento di investimenti in infrastrutture.

La questione, in altri termini, non è quella di allentare il rigore sui conti pubblici. Sui conti pubblici, sulla spesa corrente e su tanta spesa pubblica improduttiva, bisogna invece essere più che mai rigorosi.

Proprio perché è in questo modo che si legittima, che si rende credibile e produttiva una politica economica più espansiva ed antirecessiva.

Il che, ovviamente, è particolarmente necessario in un’ Italia, che nel 2007 – lo ha ricordato l’OCSE qualche giorno fa – si è collocata al sesto posto nella classifica mondiale dei paesi con la maggiore pressione fiscale.

Per queste ragioni, pensiamo che bisogna continuare a lavorare per costruire condizioni di riduzione strutturale della pressione fiscale: controllando, ristrutturando e riqualificando, riducendo la spesa pubblica improduttiva; recuperando evasione ed elusione; integrando il principio del pagare tutti per pagare meno con quello del pagare meno per pagare tutti; attuando un federalismo fiscale all’insegna del principio di responsabilità nella spesa e nella tassazione.

Ma intanto, qui ed ora, è anche il momento di confermare e rafforzare le misure di riduzione del prelievo fiscale su straordinari, premi e sulla redistribuzione degli incrementi di produttività e  di verificare la praticabilità di misure di alleggerimento della tassazione sulle tredicesime.

Certo, la detassazione totale delle tredicesime costerebbe tra gli otto ed i nove miliardi di euro. Ma, a fronte di questo costo, oltre 5 miliardi si tradurrebbero in consumi, migliorando il loro andamento tendenziale di un buon mezzo punto.

Con i chiari di luna che abbiamo davanti, sarebbe davvero un intervento importante: per i lavoratori e le famiglie e per tutte le imprese, produttrici o distributive che esse siano.

Chiari di luna, dicevo. Perché queste sono, ad oggi, le nostre previsioni: nel 2008, Pil –0,3% e consumi –0,7%; nel 2009, Pil –0,3% e consumi –0,5%.

Ce ne è abbastanza – mi sembra – per sottolineare la necessità di interventi urgenti e per ricordare il celebre ammonimento di Lord Keynes sul fatto che, nel lungo termine, saremo tutti morti!

 

Una specifica attenzione andrà inoltre dedicata al tema dei rapporti tra banche e imprese, tra banche e PMI.

Rafforzando il sistema dei consorzi di garanzia fidi e prevedendo, anche per i prestiti erogati per loro tramite, l’attivazione della garanzia “sovrana” dello Stato.

Emergono già, infatti, segnali significativi di difficoltà di accesso al credito, di richieste di rientri anticipati, di inasprimento dei tassi.

E, invece, oggi più che mai è necessaria maggiore collaborazione, maggiore cooperazione tra banca e impresa.

Oggi più che mai, è necessario, in generale, un Paese più coeso e più responsabile.

Vale per la politica, perché, del resto, molte tra le necessità e le risposte che ho fin qui segnalato sono materia di ampia condivisione bipartisan.

Vale per il rapporto tra la politica e le forze sociali, perché è il momento di un confronto più impegnativo e più serrato su regole e scelte per la crescita e lo sviluppo.

Vale per il rapporto tra le forze sociali, che oggi condividono la possibilità e la responsabilità di concorrere in modo significativo alla costruzione di un’Italia più ambiziosa, definendo regole contrattuali che riconoscano e premino l’impegno per il rafforzamento della produttività.

Rafforzare la produttività è un’esigenza generale del nostro sistema produttivo. E lo è, anche e particolarmente, per quell’economia dei servizi, che noi rappresentiamo.

Un’economia dei servizi che, già oggi, contribuisce alla formazione del PIL e dell’occupazione per ben più del 40%, e che ancor più potrà contribuirvi domani, rafforzando la produttività delle sue imprese.

Per questo, la scorsa settimana, abbiamo avviato il confronto con Cgil, Cisl e Uil sulla riforma della contrattazione.

Lo abbiamo fatto sulla scorta dell’apprezzamento delle linee di fondo emerse nel corso del lavoro svolto tra Confindustria ed il Sindacato, ma anche sottolineando l’esigenza di un modello di contrattazione capace di dare risposta alle esigenze proprie delle imprese e dei lavoratori dei servizi.

La partenza è stata positiva. Perché tutti abbiamo condiviso almeno due  punti: la forte preoccupazione per il ciclo economico che abbiamo di fronte, e la necessità di meglio connettere dinamica salariale e incrementi di produttività.

Spero davvero che questa condivisione di partenza si possa mantenere e rafforzare nello sviluppo di un confronto compiuto e rapido, che porti così il suo specifico contributo all’accordo generale tra le parti sociali e ad un loro avviso comune.

Avviso comune, che possa essere fatto proprio dal Governo anche in riferimento alle misure di detassazione di straordinari, premi e accordi di produttività.

Lo ribadisco: coesione e responsabilità sono condizioni più che mai necessarie per rispondere alla crisi e  per accelerare il passo di crescita del Paese.

Con questo stesso spirito di responsabilità, oggi vi proponiamo anche una lettura della questione prezzi.

Semplicemente, per far emergere una verità non di parte e senza alcun cedimento alla demagogia e a troppe interessate strumentalizzazioni.

Per ricordare  come l’andamento dei prezzi sia sostanzialmente omogeneo tra l’Italia e gli altri paesi europei.

Per  segnalare  l’impatto determinante dei prezzi delle materie prime agricole e dei prodotti petroliferi sulla formazione del prezzo praticato ai consumatori finali.

Per evidenziare quanto morde la concorrenza nel commercio italiano, escludendo in radice la possibilità di comode rendite di posizione.

Per sottolineare  la debolezza di lungo periodo dei consumi delle famiglie e la riduzione dei margini delle imprese commerciali, chiamate a confrontarsi con le   difficoltà di queste famiglie sia attraverso riassorbimenti parziali di incrementi dei listini della produzione, sia intensificando le offerte di convenienza  ed ora anche con l’adesione all’iniziativa della “carta sociale” dedicata a chi è più in difficoltà.

Questa è la verità. Certificabile e certificata.

Certificata, dolorosamente certificata,  da una riduzione dello stock di imprese commerciali di 15 mila unità negli ultimi  18 mesi e da un ricorso alla cassa integrazione cresciuto del 111% nei primi 5 mesi dell’anno.

A riprova del fatto che, davvero, famiglie ed imprese del commercio si confrontano con gli stessi problemi, con le stesse difficoltà.

Sì, dunque, alla verità e all’impegno. Alla verità sui prezzi e all’impegno per la maggiore produttività lungo tutta la filiera che va dalla produzione alla vendita al consumatore finale.

Il commercio italiano – liberalizzato, concorrenziale  e senza incentivi a carico della finanza pubblica – la sfida per la maggiore produttività l’ha fatta propria da tempo.

Anche perché proprio questa è la via più efficace per tenere sotto controllo prezzi e inflazione.

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