Convegno degli Italiani europei "Il laborioso mondo delle Pmi e lo Stato"

Convegno degli Italiani europei "Il laborioso mondo delle Pmi e lo Stato"

Roma, 8 marzo 2006

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8 marzo 2006
Cari Amici,

Cari Amici,

grazie per l’invito ad intervenire alla discussione di oggi, il cui ampio dossier preparatorio testimonia di un’attenzione al “mondo laborioso e creativo� delle piccole e medie imprese articolata e meditata.

 

Tanto articolata e meditata che â€" volendomi attenere alla disciplina dei tempi di intervento che ci avete opportunamente proposto â€" devo, naturalmente,  scegliere  anzitutto in che modo “investireâ€� i miei dieci minuti.

 

Scelgo, dunque, di investirli per discutere â€" fondamentalmente â€" delle buone ragioni di un’attenzione specifica al tema delle PMI e dei modi possibili per assicurare continuità a questa attenzione nei lavori della prossima legislatura.

 

La prima e la più importante delle buone ragioni è l’affermazione di apertura del dossier: “L’Italia rimarrà vitale finchè il tessuto delle piccole e medie imprese che la caratterizzano rimarrà vitale�.

 

Affermazione apodittica, ma davvero imprescindibile in un Paese in cui circa il 95% delle imprese è ricompreso nella classe dimensionale fino a 20 occupati 

 

Affermazione non solo imprescindibile, ma anche urgente â€" in termini di analisi e di proposta â€" in una fase in cui questo vero e proprio motore del nostro sistema produttivo “batte in testaâ€�, facendo registrare â€" secondo dati recenti dell’Osservatorio Nomisma-Crif â€" una  contrazione degli investimenti delle microimprese â€" quelle fino a 10 addetti e con fatturato entro i 2,5 milioni di euro â€" di oltre il 12% tra il 2004 e il 2005 e una riduzione del loro indice di dinamicità â€" che misura strategia aziendale, sviluppo organizzativo e sviluppo tecnologico â€" di quasi il 22%.

 

Certo, questi dati sono la conseguenza di tutti i processi di fondo che investono il nostro Paese e che ne definiscono la condizione di competitività difficile:

-                    la globalizzazione dei mercati e delle produzioni e il basso tasso di innovazione tecnologica in gran parte dei settori produttivi “maturiâ€�;

-                    il deficit di dotazione infrastrutturale e l’impatto del caro-energia;

-                    le inefficienze del sistema dei servizi;

-                    il “pesoâ€� di un sistema di sicurezza sociale, che occorre rendere, al contempo, finanziariamente più sostenibile  e socialmente più inclusivo;

-                    il “ritardoâ€� nei processi di semplificazione dei procedimenti amministrativi e, più in generale, la difficoltà nel realizzare un rapporto tra funzione pubblica e iniziativa privata realmente cooperativo;

-                    la questione irrisolta del ritardo di sviluppo dell’intera area territoriale del Mezzogiorno.

 

E’, ovviamente, una lista di criticità esemplificativa e certamente non esaustiva.

Una lista che vale per tutte le imprese italiane, ma -  ancora prima e di più â€" per la cosiddetta impresa diffusa, cioè per quelle piccole e medie imprese così profondamente radicate nei processi di sviluppo territoriale  e che, certamente, non sono - per così dire â€" “vocateâ€� alla delocalizzazione.

 

Ancora prima e di più â€" ecco il punto â€" perché fare â€" come è scritto nel dossier â€" di “un disegno organico di politiche costruite sulla specificità delle piccole  e medie imprese…un asse portante dell’intera politica economica si è rivelato â€" e da sempre - difficoltosoâ€�.

 

Da sempre: con una continuità, cioè, di lungo, di lunghissimo periodo e con una responsabilità politica assolutamente bipartisan.

 

La responsabilità â€" voglio dire â€" di scelte che hanno invece guardato  â€" troppo e troppo a lungo â€" alla grande impresa â€" e, in particolare, alla grande impresa industriale â€" come il soggetto “principeâ€� del percorso della crescita e dello sviluppo.

E, conseguentemente, come l’oggetto  pressoché esclusivo delle categorie di analisi, degli strumenti di intervento  e delle risorse della politica economica.

 

Provo a dirlo in altri termini: di “campioni nazionaliâ€�, c’è certamente bisogno. Ma â€" in un Paese in cui sono le piccole e le medie imprese a costituire la struttura del sistema produttivo â€" questo non basta.

 

Ecco perché c’è la necessità di politiche specifiche per le piccole e le medie imprese e â€" in particolare â€" per quelle piccole e medie imprese dei servizi, che meriterebbero di essere poste al centro di un grande progetto di innovazione tecnologica ed organizzativa.

 

Non fosse altro perché â€" come è noto -  è appunto il nesso stretto tra innovazione e servizi  a dar largamente conto degli incrementi di efficienza e produttività registrati nelle economie del mercato globale che più galoppano.

 

Anche per il nostro sistema dei servizi bisogna evitare, dunque, la trappola della politica dei due tempi: non può esserci prima il tempo della concorrenza e delle regole di apertura dei mercati e, poi, il tempo delle politiche attive, delle regole e degli strumenti â€" cioè â€" per l’accrescimento dell’efficienza dell’attività d’impresa.

 

Concorrenza e politiche attive vanno, invece, coniugate insieme. Per consentire a tutte le imprese â€" le piccole, le medie, le grandi â€" di irrobustire il loro modello di business e di crescere.

 

Politiche specifiche per le piccole e le medie imprese, dicevo. Ma â€" naturalmente â€" a condizione che la specificità non divenga separatezza. Piuttosto quel che occorre è che la consapevolezza del ruolo di queste imprese nel sistema produttivo innervi di sé l’intera gamma delle politiche economiche e sociali.

 

Insomma, politiche dedicate, sì; ma nel quadro generale di un progetto di crescita e di sviluppo che riconosca nell’impresa diffusa una delle grandi risorse di questo Paese.

 

Fin qui â€" dunque â€" le buone ragioni della centralità della questione PMI all’interno dell’agenda dei lavori per la prossima legislatura.

 

Ma come dare continuità e tensione al tema?

 

Certo, non con la stanca ritualità dei confronti tra Governo e parti sociali.

 

Si tratta, invece, di recuperare il meglio della esperienza della concertazione, cioè la capacità e la volontà di condividere pochi e qualificati obiettivi strategici e di impegnarci tutti in maniera conseguente.

 

Una concertazione per “progetti�, di cui il “progetto PMI� sia un capitolo qualificato, ma non separato rispetto agli altri.

 

Con un metodo di confronto che eviti tanto il rito della consultazione universalistica delle sigle â€" sganciata da una doverosa verifica della loro reale rappresentatività e, dunque, della loro capacità di contribuire alla concertazione per “progettiâ€� â€" quanto la tentazione delle relazioni privilegiate e dei tavoli “separatiâ€�.

 

Una nuova concertazione, coerente â€" poi â€" con l’architettura istituzionale della Repubblica federale e che sia, dunque, occasione strutturata di confronto e di coordinamento tra i diversi soggetti istituzionali che compongono l’asse verticale della sussidiarietà, ma anche con i protagonisti della dimensione orizzontale della sussidiarietà: le rappresentanze sociali e le autonomie funzionali, tra cui le Camere di Commercio.

 

A cui â€" a dire il vero â€" il dossier riserva un giudizio un po’ affrettato e ingeneroso: “Le Camere di Commercio devono mettersi in grado di funzionare come centri di servizi e non semplicemente come registri di imprese. Altrimenti, è meglio cambiare e rendere la contribuzione delle imprese volontaria (e non obbligatoria) e commisurata alla qualità dei servizi offertiâ€�.

 

A fronte di questo giudizio, voglio ricordare non solo il nesso istituzionale tra iscrizione alle Camere e obbligo della tenuta dei Registri Imprese, ma anche e soprattutto quanto le Camere hanno fatto e stanno facendo â€" nell’ambito di un’esperienza di autogoverno delle diverse “business-communitiesâ€� territoriali â€" proprio in tema di servizi alle imprese.

 

Sia che si tratti di agire sul versante dei processi di semplificazione, sia che si tratti di operare per la promozione di nuova imprenditorialità e per la formazione; sia che si tratti di sostenere l’export e i processi di internazionalizzazione, sia che occorra promuovere l’infrastrutturazione dei territori o sostenere l’innovazione o una più robusta  cultura finanziaria delle PMI.

 

Certo, è un processo in corso e c’è ancora molto da fare. Ma, oggi, non si può davvero dire che il sistema italiano delle Camere di Commercio viva â€" nell’esperienza quotidiana delle imprese italiane â€" soltanto come responsabile istituzionale della tenuta del Registro delle imprese.

 

Le Camere di Commercio sono cambiate, stanno cambiando e ancora di più dovranno cambiare: rafforzando, anzitutto, le sinergie di programma e operative con le associazioni imprenditoriali per divenire delle vere e proprie “agenzie per le imprese�, cui la funzione pubblica potrà e dovrà delegare funzioni valutative e istruttorie, ma anche compiti di regolamentazione e autoregolamentazione.

 

E’ in questa prospettiva â€" dunque â€" che trovo particolarmente interessante la proposta di costruzione di “un disegno istituzionale che dia alla rappresentanza delle PMI (e non solo) ascolto nelle politiche specificheâ€�.

 

Un disegno che passa da un CNEL riformato e dal suo legame, appunto, con le rappresentanze e con le Camere di Commercio.

 

Concludo con una proposta: la proposta che Confcommercio rivolge agli schieramenti politici alla vigilia del confronto elettorale.

 

Confrontiamoci sui programmi e sulle proposte. Se c’è un terreno comune â€" e noi crediamo che ci sia â€" fatto dal “nocciolo duroâ€� del problema della competitività e dalla necessità di affrontare i problemi concreti dell’economia reale e del fare impresa, riconosciamolo come un’agenda bipartisan per la prossima legislatura.

 

Perché di politica â€" e di una nuova qualità della politica â€" le imprese italiane, e in particolare le piccole e medie imprese, hanno davvero bisogno.

 

Grazie.

 

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