Intervento del Presidente Sangalli al Convegno "La Bilateralità efficace"

Intervento del Presidente Sangalli al Convegno "La Bilateralità efficace"

Roma, 25 marzo 2009

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27 marzo 2009

Cari Amici,
“l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”: così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha detto nel suo messaggio di fine anno.

Io trovo che questa esortazione sia giusta.

Perché contiene l’invito ad una lettura della crisi e delle sue prospettive senza cedimenti al pessimismo, ma nutrita da un consapevole realismo.

Perché, ancora e soprattutto, segnala la necessità di una straordinaria mobilitazione delle energie, delle risorse del Paese – sia sul versante pubblico, che su quello privato -  per reagire alla crisi e per tornare celermente  alla crescita.

Così, in occasione del nostro recente forum di Cernobbio, abbiamo declinato la necessità di questa mobilitazione, proponendo un Patto per la fiducia, un Patto per dare maggiore fiducia al Paese.

Un Patto per sostenere la fiducia delle famiglie che ancora c’è: perché sorretta da un qualche miglioramento del potere d’acquisto, dovuto alla riduzione dei tassi d’interesse e dei prezzi delle materie prime energetiche, e perché non si è ancora compiutamente materializzato il rischio della  crescita della disoccupazione.

Un Patto per sostenere la fiducia delle imprese, che invece già risulta  profondamente deteriorata: per il generale quadro congiunturale e, in particolare, per le crescenti difficoltà nell’accesso al credito.

Da questa lettura dello stato della crisi, deriviamo dunque l’urgenza di agire lungo due direttrici fondamentali: da un lato, il ripristino del circuito della fiducia tra le banche e tra le banche e le imprese;  dall’altro, una politica economica che faccia tutto quanto è possibile e necessario per contrastare la crescita della disoccupazione e, in ogni caso, per assicurare a chi, purtroppo, dovesse perdere il lavoro strumenti di protezione sociale e di sostegno al reddito.

Alla prova della crisi, il mercato del lavoro italiano arriva sulla scorta di un processo riformatore che – dapprima con il pacchetto Treu e poi con la legge Biagi – ha consentito, con l’introduzione di buone regole di flessibilità governata e contrattata, un’importante crescita dell’occupazione.

E’ stato ed ancora è il processo di costruzione, nel nostro Paese, di un’efficace flexicurity, ossia di una buona flessibilità accompagnata dalla giusta sicurezza sociale.

Un processo che prevedeva e prevede – mi sembra doveroso ricordarlo a pochi giorni dall’anniversario della tragica morte di Marco Biagi – una complessiva riforma degli ammortizzatori sociali ispirata dall’impegno alla rioccupabilità, dalla valorizzazione dei processi di formazione continua e, più in generale, delle politiche attive per il lavoro.

Insomma – come si dice in Danimarca, patria della flexicurity – l’obiettivo è quello di salvare le persone, e non quello di salvare posti di lavoro ormai decotti.

Questo processo – cioè la chiusura del circuito della flexicurity -  chiama in causa, sul piano delle risorse, anche il ragionamento sul riequilibrio della struttura della spesa sociale complessiva del nostro Paese, con il particolare rilievo che in essa assume la spesa previdenziale a discapito di altri interventi.

Noi, del resto, proponemmo, nella scorsa legislatura, che anche questi nodi strutturali venissero affrontati in sede di Protocollo d’intesa sul mercato del lavoro e sul welfare.

Così, purtroppo, non fu. Ed anche per questo, noi quel Protocollo non lo sottoscrivemmo.

Oggi, però, una risposta urgente al rischio disoccupazione va comunque messa in campo.

E noi condividiamo l’esigenza che nessuno sia lasciato senza protezioni. E che, dunque, si proceda con tutta la tempestività e la flessibilità necessarie, utilizzando anche strumenti in deroga rispetto a quelli ordinari fin qui vigenti.

Valorizzando, in particolare, l’intesa tra Stato e Regioni che ha consentito di individuare risorse finalizzate agli ammortizzatori sociali per circa 8 miliardi di euro, oltre agli stanziamenti che si potranno rendere disponibili nell’ambito del nuovo Fondo a sostegno dell’economia reale e delle PMI, istituito di recente presso la Presidenza del Consiglio con uno stanziamento complessivo di circa 9 miliardi di euro.

Sono risorse importanti. Ed è fondamentale che esse siano tempestivamente attivate.

Ma altrettanto importante è che di quanto si sta facendo, nel tempo della crisi,  in via di emergenza e di urgenza,  si faccia tesoro per le riforme che verranno.

Si faccia tesoro, cioè, della necessità di rivedere un sistema di ammortizzatori storicamente pensato e costruito sulla scorta delle esigenze dell’impresa industriale, in particolare della grande impresa industriale.

Integrandolo, dunque, con le esigenze che nascono dal ruolo crescente dell’impresa diffusa e delle nuove tipologie dei contratti di lavoro.

E, in particolare, con le esigenze di quel mondo dell’economia dei servizi di mercato che, già oggi, contribuisce alla formazione del PIL e dell’occupazione del nostro Paese per ben più del 40%.

Anche in questo caso, insomma, si tratta di fare della crisi un’opportunità. Di farne, cioè, l’occasione per preparare un’Italia più moderna e competitiva.

Ma c’è ancora dell’altro. Perché proprio la crisi sottolinea come sia importante, quanto sia fondamentale mantenere stretta, pur nei momenti più difficili, la relazione tra l’attività d’impresa ed i lavoratori.

Mantenere cioè solida l’idea e la pratica di una comunità professionale che non si dissolve sotto i colpi della crisi, ma riesce a mantenersi viva e vitale.

Pronta a tornare a pieno regime, nel momento in cui la congiuntura migliorerà e la ripresa tornerà.

E’, insomma, la filosofia di una società attiva, in cui la cessazione del rapporto di lavoro sia davvero l’estrema ratio e in cui riduzioni o sospensioni di attività vedano l’intervento tanto degli strumenti di integrazione del reddito, quanto di attività formative.

E’ un modello che, tanto alle imprese quanto ai lavoratori, chiede ed offre responsabilità.

Sapendo che lavoro ed occupabilità restano, in ogni caso, la migliore forma di protezione sociale.

E’ un modello che valorizza le relazioni tra le parti sociali ed i loro accordi contrattuali come matrice degli istituti del cosiddetto welfare contrattuale.

Ed è un modello che proprio la nostra contrattazione collettiva ha da tempo positivamente sperimentato: sul terreno della formazione, della previdenza e dell’assistenza sanitaria integrativa, del monitoraggio degli andamenti del mercato del lavoro.

E’ un modello che chiede alla bilateralità un impegno costante per il perseguimento di maggiore efficacia ed efficienza. E che, oggi, chiede anche – sulla scorta dei più recenti provvedimenti – che la bilateralità agisca sul terreno del sostegno al reddito.

E’ un impegno ed una sfida cui non ci sottraiamo. Ma, proprio perché si tratta di un terreno nuovo, pensiamo che occorra gradualità e realismo.

In questo senso, abbiamo  condiviso con i Sindacati un avviso comune in materia, affinché i suoi contenuti possano essere accolti dal Ministero del  Lavoro come contributo delle imprese e dei lavoratori del terziario all’evoluzione del proprio sistema di welfare contrattuale.

Sistema importante oggi, ed ancora più importante domani.

Sistema, allora, che richiederebbe anche scelte più coraggiose in materia di applicazione integrale della contrattazione collettiva.

Una contrattazione collettiva, del resto, da poco riformata, con un’intesa il cui obiettivo è – cito testualmente – “il rilancio della crescita economica, lo sviluppo occupazionale e l’aumento della produttività, anche attraverso il rafforzamento dell’indicazione condivisa da Governo, imprese e sindacati per una politica di riduzione della  pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, nell’ambito degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica”.

Anche di questo, soprattutto di questo, l’Italia ha infatti bisogno – entro ed oltre il perimetro della crisi – per tenere insieme risanamento della finanza pubblica, crescita e sviluppo, coesione sociale. 

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