CONVEGNO SULLA RIFORMA PREVIDENZIALE

CONVEGNO SULLA RIFORMA PREVIDENZIALE

ROMA, 27 gennaio 2000 (testo integrale)

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27 gennaio 2000
Macro Carrier

Intervento del Presidente

Sergio Billè

 

"La riforma del

 sistema previdenziale

Un patto tra le generazioni,

una sfida per il paese"

 

CONFCOMMERCIO, 27 GENNAIO 2000

 

Non comprendo, continuo a non comprendere i motivi per i quali non si possano già oggi mettere sul tavolo tutti i numeri, tutti i possibili calcoli, tutte le ipotesi che riguardano quell'ineludibile, ormai obiettivamente ineludibile problema che si chiama riforma del nostro sistema di sicurezza sociale.

 

Non comprendo perchè un problema così attuale e così importante debba essere ancora rinviato, calendarizzato dopo il 2001, circondato da altre inutili e, per me, incomprensibili cortine fumogene.

 

Non comprendo quale peccato mortale si commetta nel voler discutere già oggi quel che sarà domani un ineludibile problema.

 

Come se questo paese non avesse già pagato abbastanza per la sua  politica del continuo rinvio. Come se questo paese non avesse pagato già un alto costo sociale ed economico per quelle riforme che sarebbero state indispensabili già molti anni fa ma che nessuno ha avuto il coraggio di realizzare.

 

I motivi per i quali il nostro paese non riesce ad essere sufficientemente competitivo e continua a restare un fanalino di coda nel processo di integrazione europea già da tempo avviato, li conoscete meglio di me e non c'è struttura internazionale che non ce li rammenti ogni giorno.

 

E la mancata riforma del Welfare è senza dubbio uno di questi.

 

Mi riferisco ovviamente agli andamenti demografici, al sempre più marcato processo di invecchiamento della popolazione, alla criticità ormai raggiunta nel rapporto tra lavoratori attivi e pensionati.

 

Per il mondo delle imprese tutto ciò si traduce in un costo del lavoro troppo elevato che penalizza, fortemente penalizza - e anche su questo ci sono dati inconfutabili - la competitività del nostro sistema produttivo.

 

A fronte di questo scenario di ormai cronico sbilanciamento, le riforme fino ad ora realizzate per contenere il deficit della nostra spesa previdenziale appaiono parziali e obiettivamente - vorrei che qualcuno riuscisse a dimostrarmi il contrario - insufficienti a risolvere in maniera strutturale i problemi connessi al finanziamento del sistema.

 

La legge 335 del 1995, legando più strettamente la pensione ai contributi versati, ha mantenuto intatto il sistema a ripartizione: essa va nella direzione giusta senza tuttavia risolvere il problema in tempi compatibili con le sfide che il mondo delle imprese è chiamato oggi ad affrontare.

 

 

Tocca alla politica decidere quale tipo di correttivo bisogna attuare senza alterare , in modo negativo, l'attuale assetto sociale.

 

Pesa in ogni caso come un macigno, sul nostro sistema previdenziale, il problema delle vecchie pensioni erogate a condizioni fortemente agevolate.

 

Anche se le pensioni-baby sono state per fortuna eliminate, rimane, infatti, a carico della collettività lo stock delle pensioni pregresse, con oneri annui che ammontano, come sapete, a migliaia di miliardi.

 

Uno dei principali problemi del sistema a ripartizione è, infatti, il peso di questa eredità che ha visto l'assunzione, per legge, di oneri e impegni che difficilmente le generazioni future possono sopportare.

 

In altri termini, la riforma dello Stato sociale, non dovrà soltanto garantire l'equilibrio tra contributi e prestazioni correnti, ma dovrà trovare il modo di distribuire in maniera equa il carico di questi oneri pregressi che sfuggono ai processi di concertazione sociale e che costituiscono il vero rischio per la tenuta del sistema nei prossimi anni.

 

E' chiaro che sarà la collettività a dovere farsi carico di questi problemi. Ma come? Secondo quali parametri? Con quali meccanismi?

 

Non è un problema da poco ma mi sembra assurdo non cercare subito quella che si ritiene possa essere la soluzione più idonea.

 

A mio giudizio occorre trovare soluzioni che, nel breve periodo, possano portare ad un raffreddamento della spesa pensionistica e ad una diversa articolazione del sistema di finanziamento.

 

Ciò al fine di ridurre gli oneri che gravano sulle aziende e liberare così risorse che consentano il rilancio degli investimenti e dell'occupazione.

 

La possibilità di tornare a rendere competitivo il nostro sistema economico è legata strettamente a questo fattore. Se ci sono soluzioni alternative, è il momento di individuarle e metterle finalmente sul tavolo. Ma io sinceramente non le vedo.

 

Per questo ritengo urgente - è dalla scorsa primavera che insisto su questa proposta - il passaggio immediato al sistema contributivo per tutti i lavoratori mediante il sistema pro-rata, in modo da rapportare maggiormente l'importo pensionistico alla contribuzione effettivamente versata , unico modo per rimettere in equilibrio il sistema.

 

Non basta. Per riequilibrare il sistema, tutelarlo da tutti gli ulteriori scompensi che, da qui a qualche anno, certamente si verificheranno, occorrerebbe, a mio giudizio, portare l'età pensionabile di anzianità a 60 anni oppure al raggiungimento dei 40 anni di contributi.

 

L'introduzione di tali correttivi non può ovviamente prescindere dall'adozione di quelle che chiamerei misure solidaristiche da applicare sui trattamenti liquidati con il sistema retributivo. E, a questo scopo, potrebbe essere ipotizzato un prelievo del 2,5% sui trattamenti in essere, in tutti i settori, quando l'importo sia superiore ad un milione di lire mensili.

 

Così come è anche ipotizzabile la costituzione di un apposito Fondo nel quale far confluire queste risorse allo scopo di gestirle in maniera da garantire , nel tempo, un crescente accumulo di ricchezza.

 

E' un altro punto nodale sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione. Oggi, come ben sapete, le risorse utilizzate dagli enti previdenziali per far fronte al pagamento delle pensioni non producono alcun tipo di effetto sullo sviluppo dell'economia.

 

Ecco, invece, che queste risorse accumulate sulla base del contributo di solidarietà potrebbero essere proficuamente investite sul mercato favorendo così lo sviluppo di attività imprenditoriali.

 

Si innesterebbe così un meccanismo finalmente virtuoso con positivi effetti sull'incremento dell'occupazione, cosa di cui beneficerebbe, in conseguenza delle maggiori entrate fiscali e previdenziali, lo Stato il quale, a sua volta, potrebbe utilizzare parte di queste risorse per diminuire il costo del lavoro. E questa riforma avrebbe, altresì, un valore etico in quanto coinvolgerebbe, nel processo di risanamento, tanto i pensionati che i futuri pensionandi.

 

E vengo ad un altro punto cruciale sul quale la discussione avviata dal Governo dovrebbe essere, a mio giudizio, ulteriormente accelerata.

 

Mi riferisco alla necessità di sviluppare in ogni modo la previdenza integrativa se è vero, come sostiene l'Inps , che fra qualche decennio, il rendimento medio della pensione dei lavoratori dipendenti non potrà superare il 40% dell'ultimo stipendio acquisito.

 

Si tratta di una riforma fondamentale, urgente quanto le altre, perchè è l'unica che potrà evitare il progressivo e ineluttabile impoverimento di una fascia rilevante della popolazione anziana con conseguenze disastrose su tutto l'assetto economico del mercato.

 

Dovrà quindi prendere forma un sistema misto nel quale le due componenti operino su un piano di pari peso e dignità.

 

La previdenza integrativa , spostando risorse dal pubblico al privato, avrà inoltre il pregio di alimentare il mercato finanziario con evidenti riflessi su tutto il mercato.

 

Il nostro paese, da questo punto di vista, è in forte ritardo e non comprendo le ragioni per le quali bisogna ancora girare intorno a questo problema senza risolverlo.

 

Perchè i fondi complementari stentano a decollare? Certo, pesano gli eccessivi vincoli normativi, ma l'ostacolo maggiore credo che sia rappresentato dalla insufficiente incentivazione fiscale dei fondi chiusi ancora scarsamente appetibili nonostante le nuove iniziative assunte su questo versante dal Governo. 

 

Questa scarsa attenzione per i Fondi chiusi, quale unica vera alternativa all'attuale modello di Welfare italiano, appare ancora più grave ove si consideri il ruolo che le parti sociali hanno sempre svolto nel determinare i nuovi assetti previdenziali.

 

Non può essere dimenticato, infatti, che , già alla fine degli anni 60, la trasformazione del sistema fu condivisa anche dal mondo sindacale quale strumento di sicuro incentivo per lo sviluppo del Paese.

 

Oggi le stesse parti sociali hanno preso atto che le condizioni sono completamente mutate e che ben diversi sono gli scenari sui quali occorre intervenire.

 

E' giusto quindi che , attraverso la contrattazione collettiva e attraverso i fondi di categoria, vengano individuati quei meccanismi che possano consentire agli stessi protagonisti del mutamento sociale di traghettare il sistema verso gli assetti futuri.

 

So bene che, in questo modo, imprenditori, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi si assumono , nei confronti del Paese, un pesante onere, ma non vedo alternative ad un impegno che va onorato nell'interesse generale di un paese che deve guardare con fiducia ai propri futuri traguardi.

 

Per questi motivi, anche a livello politico, devono essere varate tutte le misure che saranno indispensabili per diffondere anche nuove prassi di relazioni sindacali.

 

I lavoratori autonomi rappresentano la più sottile ed esposta linea di confine tra previdenza complementare di tipo collettivo e di tipo individuale. Infatti, se le stesse caratteristiche   “sociologiche” del lavoro autonomo rendono  il fondo collettivo difficile da “collocare”, è peraltro vero che il lavoratore autonomo avverte l’esigenza di una compiuta conoscenza dei costi e dei benefici di un rapporto individuale con il mercato finanziario.

 

Confcommercio, consapevole dell'entità di questo problema, si è già attivato in questa direzione promuovendo Fon.Te, il Fondo di previdenza complementare per i dipendenti del terziario ed Eurogruzzolo, quale Fondo di riferimento per i lavoratori autonomi del commercio, del turismo e dei servizi.

 

E’ questo, peraltro, il ruolo assegnato dalla legge alle associazioni di categoria : promuovere i fondi pensione a favore dei propri iscritti. Un ruolo, tuttavia, che rischia di essere contraddetto da una tipizzazione del fondo aperto ancora insufficiente, che relega l’opzione tra fondi contrattuali e fondi aperti in una concorrenza che può assumere tratti unfair.

 

Ricordo alcuni aspetti :

 

- i fondi aperti sono promossi da soggetti a fini naturalmente lucrativi, godono di minori economie di scala e, inoltre, diversamente dai fondi contrattuali, hanno dei costi di collocamento che ribaltano sugli aderenti;

 

- la legge, coerentemente, impedisce che i fondi aperti siano dedicati ad una specifica categoria, e pertanto, al di là di alcune politiche di commercializzazione, i fondi aperti non sono “costruiti” per contenere una politica di investimento fatta su misura per i lavoratori autonomi, o meglio per ciascuna categoria;

 

- il fondo di categoria può essere organizzato in modo da        dare spazio alle specificità delle categorie mantenendo però le elevate economie di scala derivanti dal fatto di essere il fondo di tutti i lavoratori autonomi; 

 

- l’adesione al fondo di categoria consente di sperimentarne i benefici e non obbliga a rimanervi anche se non si è soddisfatti: si è liberi di aderire, e liberi di rimanere o cambiare. 

 

E non si può non parlare ora dell'ipotesi di utilizzo forzoso del Tfr oggetto di discussione anche in sede di Governo.

 

E qui bisogna essere chiari. Se è vero - non saremo certo noi a negarlo - che queste risorse canalizzate verso forme di previdenza complementare, possono facilitare l'avvio di un diverso modello previdenziale, è innegabile però che non si possono addossare alle aziende i costi di una simili operazione.

 

Vanno quindi messe a punto - e attendiamo su questo più chiaro indicazioni da parte del Governo - misure compensative soprattutto a favore delle piccole e medie imprese.

 

Anche in questo caso , comunque, ritengo, che solo i fondi chiusi possano essere i naturali destinatari di quella parte di risorse che escono dalla disponibilità delle aziende per trovare adeguata collocazione in un meccanismo creato dalle stesse parti che rappresentano sia i lavoratori che le imprese.

 

Viceversa, l'accumulo in un fondo aperto potrebbe realizzare un improprio trasferimento di ricchezza dall'uno all'altro settore produttivo  creando scompensi e squilibri ulteriori.

 

E non si può ovviamente, in questo contesto, non parlare anche della necessità di ripensare il sistema degli ammortizzatori sociali.

 

Anche su questo versante vanno abbandonate le logiche meramente assistenziali per passare ad un sistema che razionalizzi l'uso delle risorse e generi sviluppo economico, agevoli il reinserimento nelle attività produttive, valorizzi le risorse umane, facendo della formazione un elemento essenziale nel processo di riqualificazione o di riconversione dei lavoratori.

 

Nel nuovo assetto dovranno essere garantite uguali opportunità per tutti i settori economici, senza introdurre tuttavia nuovi oneri sul costo del lavoro e demandando alla contrattazione collettiva l'individuazione dei nuovi destinatari.

 

Alla luce delle ipotesi di riforma, appare positivo il superamento dei prepensionamenti, che pur avendo consentito la ristrutturazione di comparti dell'economia senza dar luogo a tensioni sociali, hanno rappresentato un notevole onere per lo Stato, contribuendo a porre in crisi il sistema previdenziale.

 

Il processo riformatore in atto deve interessare anche l'assistenza che non deve più essere erogata in maniera indiscriminata, ma si deve qualificare e differenziare.

 

Questo è l'obiettivo che deve essere perseguito per passare dalle vecchie logiche di uno Stato sociale esclusivamente assistenziale ad un sistema integrato, che accanto a prestazioni di assistenza sia capace di garantire misure attive per il lavoro.

 

C'è chi sostiene - e probabilmente c'è chi lo sosterrà anche in questa sede - che prendere di petto oggi un problema come quello della riforma delle pensioni non è solo prematuro, ma rischia soprattutto di generare allarmismo, di produrre, a cascata, effetti psicologici negativi su chi, dovendo sopportare già situazioni difficili e vivendo al limite della sopravvivenza, non sente certo il bisogno di essere sottoposto a carichi ulteriori.

 

Non escludo che ciò possa anche essere vero.

 

Ma, nelle stesse persone, non generano forse altrettanta apprensione, preoccupazione, angoscia, allarme, senso di sfiducia le notizie che quasi ogni giorno segnalano e fin troppo evidenziano lo scarso grado di competitività del nostro sistema economico che, nel processo di integrazione europea, resta un fanalino di coda?

 

Non generano forse allarmismo le notizie sull'incapacità del nostro sistema di produrre nuova occupazione e di far uscire il Mezzogiorno dalla sua ormai cronica, debilitante stagnazione?

 

E non genera forse allarme,  nei più giovani come nei prossimi pensionandi,  il fatto che non si riesca a trovare il modo di riformare questo sistema paese dando ad esso una più moderna legge elettorale e un più efficiente assetto istituzionale?

 

Continuare a giocare a mosca cieca su un problema così importante e soprattutto così attuale è un azzardo, un azzardo che, in nome delle generazioni future, non possiamo più permetterci.

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