Discorso Billè 1° forum nazionale giovani imprenditori

Discorso Billè 1° forum nazionale giovani imprenditori

Lecco, 7-8 maggio 2004

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10 maggio 2004
Intervento di Sergio Billè

 

Mi sembra che da questo convegno sia emerso, fra gli altri, un dato sul quale vale la pena di riflettere, e poi riflettere, e poi ancora riflettere in modo speculare ed evitando i soliti luoghi comuni.

Il dato è che 18 milioni di giovani under 40, il 38% della popolazione attiva di questo Paese, vogliono bene a questo Paese assai più di quanto forse si pensa, tanto che, se non proprio costretti, non sembrano avere alcuna intenzione di andarsene in Francia, in Germania, in Polonia o altrove per respirare un’aria diversa.

Ma attenzione, alimentando oltre misura il carnet delle illusioni, a non tirare, con loro,   troppo la corda  perché essa alla fine potrebbe anche spezzarsi e allora potrebbero venire, da questo fronte,  molte e non piacevoli sorprese.

Anche perché, chattando su Internet, vedono un mondo che corre. Poi, uscendo di casa, si trovano di fronte ad un paese che, invece, stenta spesso a muoversi e, quando lo fa, lo fa con esasperante lentezza.

Su almeno tre versanti i giovani attendono  risposte più chiare, affidabili e   convincenti.

E che siano le Istituzioni europee o quelle italiane o tutte e due insieme a dare queste risposte a loro poco importa. La cosa importante è che queste risposte arrivino e arrivino nel più breve tempo possibile.

La prima cosa  che i giovani chiedono è  di poter avere Istituzioni che operino per una reale modernizzazione delle regole e delle strutture del nostro mercato.

Per troppi anni la dirigenza politica italiana si è cullata nell’illusione che questo Paese potesse crescere e modernizzarsi anche senza mettere mano a sostanziali riforme. Un errore che abbiamo pagato caro perché questa politica del rinvio - perché questo era l’unico modo per non pestare mai  i piedi a nessuno -  non solo non ha risolto i problemi, ma ha anche prodotto un debito pubblico che ha drenato e purtroppo continua a drenare gran parte delle risorse che sono necessarie per lo sviluppo del sistema.

Non sorprende che molti giovani denuncino  la scarsa affidabilità di una classe politica che non è riuscita né a ridurre la spesa pubblica né a creare una burocrazia più efficiente né a creare soprattutto  condizioni di sistema che consentissero un reale sviluppo del libero mercato.

E mi sembra che l’attuale maggioranza di Governo, pur commettendo fin troppo visibili errori di strategia - abbia fatto bene a rompere questa annosa cultura del rinvio  tentando, in qualche modo, la via delle riforme di sistema.

Sarebbe però un vero guaio se ora queste riforme, a causa non solo della continua, talvolta  esasperante conflittualità fra le forze che compongono la maggioranza ma anche della mancanza di una produttiva ed efficace concertazione con le parti sociali,  si sfilacciassero per strada o sbagliassero alla fine addirittura obiettivo.

Questo rischio c’è, è palpabile e non si può far finta di non vederlo anche perché ce lo abbiamo ogni giorno sotto gli occhi.

I giovani chiedono alla classe politica più professionalità, più trasparenza e più pragmatismo nella gestione del quotidiano ma anche una maggiore  lungimiranza nell’affrontare i problemi di prospettiva. 

Non riescono a capire, ad esempio, come un problema vitale per l’evoluzione del nostro sistema come quello delle riforme costituzionali venga tolto e poi rimesso nel frigo cento volte senza mai arrivare ad uno straccio di decisione che trovi l’adesione di buona parte delle nostre forze parlamentari.

Essi hanno l’impressione- e non posso dar loro torto - che la classe politica pensi più a tutelare i propri interessi di bottega che al futuro di un Paese che, con questa architettura costituzionale, rischia di non andare più da nessuna parte.

Vogliamo fare qualcosa o aspettiamo che i giovani finiscano per girare la testa dall’altra parte? 

Secondo,  la nuova Europa allargata ad Est è sicuramente un progetto che soprattutto tra i giovani sta  creando molte aspettative.

Fino ad oggi l’Europa ha fatto assai poco per loro limitandosi a fissare regole di cornice che, per  quanto riguarda lo sviluppo del nostro mercato  e la modernizzazione del nostro sistema  hanno prodotto scarsi risultati.

O la nuova Europa si deciderà a cambiare  passo facendo finalmente le cose che ha da tempo promesso per quanto riguarda soprattutto formazione, tecnologie, ricerca, migliori e più qualificati standard di accesso al mondo del lavoro, apertura dei mercati, livello dei redditi, mobilità, aperture di credito per chi voglia iniziare un’attività di impresa, o la delusione tra i giovani finirà col toccare punte di vera e propria esasperazione.

Essi, in questo momento, credo che si sentano “ostaggi” di una sempre più costosa ed ingombrante burocrazia che, a Bruxelles come a Strasburgo come altrove, appare soprattutto prigioniera delle proprie scartoffie.

Se non è così, l’Europa lo dimostri. Fino ad ora non lo ha fatto.

L’ultimo tema che propongo alla vostra riflessione ci interessa ancor più da vicino perché riguarda, da un lato,  i rapporti fra Stato e sistema delle imprese e, dall’altro, quell’allargamento della concorrenza e delle regole che dovrebbero favorire lo sviluppo di un libero mercato che, in questo Paese, o non ci sono o vengono utilizzate in modo piuttosto ambiguo.

Credo, ad esempio, che l’idea  allo studio del Governo di riesaminare, per reperire risorse da destinare al mercato, tutto il grande capitolo degli incentivi che vengono destinati alle imprese meriti attenzione.

E mi auguro che non sia solo un’idea perché è da tempo che noi chiediamo che venga  finalmente sollevato il coperchio al recipiente che contiene  tutti questi incentivi che, da anni, anzi da tempo inveterato, vengono erogati e distribuiti con criteri che appaiono francamente opinabili.

Non si comprende perché fino ad oggi questo sia rimasto un argomento tabù anche se è ormai provato che, in molti casi, questi incentivi vengono erogati con la logica della riserva di caccia a tutto danno di quelle  imprese che cercano di fare davvero innovazione e, assai più di altre, contribuiscono all’aumento dei posti di lavoro.

Sarà quindi bene tirar fuori dal recipiente questi incentivi e verificare a quali comparti sono stati destinati e quali risultati essi hanno realmente prodotto.

La verità è che, in tutti questi anni, ha prevalso la cultura di una  forma di quasi automatico  assistenzialismo nei confronti di certi comparti industriali che è costata tanto al contribuente, ma, per quanto riguarda lo sviluppo del mercato, ha prodotto assai poco.

Forse questa politica poteva avere una sua ragion d’essere fino alla metà degli anni novanta quando era ancora il comparto industriale a produrre il maggior valore aggiunto e nuovi posti di lavoro.

Ma oggi tutti sanno che non è più così perché sono le imprese del terziario di mercato - turismo, servizi, commercio, trasporti ed altro - a creare nuovo lavoro e a produrre la parte più consistente del nostro Pil.

Ma ad esse il sistema degli incentivi riserva solo delle briciole perché i fondi disponibili restano bloccati altrove e guai a toccarli.

Ma vado  oltre anche perché si può pensare che, impostando il discorso in questo modo, io voglia difendere solo, anche se più che legittimi, interessi di bottega.

E allora mi vorrei confrontare con voi su altri problemi di carattere più generale e che riguardano l’evoluzione, anzi la non evoluzione del nostro sistema sociale ed economico.

Il primo. Non è sorprendente che, in Italia, tutte le nuove opportunità di investimento aperte dalle privatizzazioni siano sempre finite nelle mani di pochi privilegiati, quelli che già gestivano consistenti rendite di posizione? E, difatti, queste operazioni non sono servite né a migliorare la concorrenza né a liberalizzare quote di mercato. Cartelli erano e cartelli, in gran parte, sono rimasti.

Secondo. La politica degli incentivi è servita fino ad oggi più a tenere in piedi imprese inefficienti che a favorire lo sviluppo di quelle sane.

Caso Alitalia a parte che è assai più complesso perché coinvolge strutture ed infrastrutture che sono essenziali per il turismo e, in generale, per la mobilità.

Terzo. In un libero mercato, una riforma, del sistema del Welfare dovrebbe avere l’obiettivo di proteggere prima le persone e poi le imprese e non viceversa.

Quarto. Bisogna mettere mano ad una riforma della giustizia che tuteli, soprattutto per le nuove generazioni, più e meglio di quanto accade oggi, l’efficienza del sistema e la salvaguardia dello stato di diritto. Insomma, bisogna cambiare e cambiare in fretta. Questo i nostri giovani ci chiedono.

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