I 70 anni di Confcommercio

I 70 anni di Confcommercio

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29 aprile 2015

Al Tempio di Adriano di Roma, che per l'occasione si è trasformato nel contenitore di settant'anni di storia, esperienza, impegno, emozioni che hanno caratterizzato l'attività della Confederazione dal 29 aprile del 1945 – giorno della sua fondazione – ad oggi, si è tenuto l'evento inaugurale delle celebrazioni del settantennale di Confcommercio.

 

Su grandi schermi led, nel corso della serata sono stati trasmessi il video "Il lungo viaggio" – che ha ripercorso, con foto storiche e contemporanee dell'archivio dei Fratelli Alinari, la storia del nostro Paese e delle imprese del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti – e il film "Una mano in più" – che ha raccontato il valore economico e sociale delle realtà che Confcommercio rappresenta. Sono state, inoltre, premiate due imprese associate che si sono distinte in questi settanta anni per innovazione e tradizione.

Il lungo viaggio

 

Una mano in più

 

Con il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, hanno partecipato esponenti del mondo della politica, delle istituzioni, dell'economia e del sistema confederale. Presenti, tra gli altri, i Ministri Dario Franceschini e Giuliano Poletti; il Vice Ministro Luigi Casero; i Sottosegretari Francesca Barracciu, Simona Vicari e Enrico Zanetti; Franco Bassanini (Cdp); Antonio Patuelli (Abi); Raffaele Squitieri (Corte dei Conti); Giuseppe Vegas (Consob); i parlamentari Francesco Boccia, Renato Brunetta, Daniele Capezzone, Cesare Damiano, Stefano Fassina, Maurizio Gasparri, Lorenzo Guerini, Maurizio Lupi, Giorgia Meloni, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi e Renato Schifani; i politici Corrado Passera e Giovanni Toti; i sindacalisti Carmelo Barbagallo e Susanna Camusso.

 

Il logo

Il logo dei 70 anni di Confcommercio

Evento di chiusura

Il 21 aprile 2016, al Teatro "La Fenice" di Venezia, si è tenuto l'evento di chiusura delle celebrazioni alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli (leggi l'intervento), e di numerosi esponenti del mondo della politica, delle istituzioni, dell'economia e del sistema confederale.

 

Premiati

Le aziende premiate all'evento di chiusura del 70 compleanno di Confcommercio

LAURA BERTULESSI per Italtrans: per aver innovato e fatto crescere con straordinaria capacità imprenditoriale ITALTRANS - Azienda leader nel trasporto dei prodotti surgelati Trent’anni fa, nel 1985, hanno iniziato la loro attività con un camion. Oggi la Italtrans è tra i primi centri logistici a livello europeo con 800 automezzi di proprietà condotti da autisti dipendenti tutti di nazionalità italiana. L’impresa da lavoro ad un indotto di più di mille persone.

MARCO BORDOLI per Crai: una realtà di spicco nel settore della Distribuzione moderna. È uno dei marchi storici italiani attivi nato nel 1973. Una grande impresa che svolge con qualità e puntualità la funzione di esercizio di vicinato con oltre 3400 punti vendita dando lavoro a oltre 15.000 addetti.

ELSA DI LODOVICO per Edi2: impegno e abnegazione nel gestire il suo negozio di pellicce dal 1945. Oggi, all’età di novantadue anni, ancora si reca tutte le mattine nel proprio negozio nel centro storico di Teramo; con lei collabora suo nipote, Piero Lattanzi, che sin da giovane età la segue in questa straordinaria attività.

GIUSEPPE NACCARATO per Altrama Italia: per aver realizzato ViaggiArt, un'applicazione mobile ed un portale web che permette all’utente di scoprire il patrimonio artistico e culturale che lo circonda, i luoghi e gli itinerari meno conosciuti, i servizi che abitualmente un turista desidera e cerca. (info mobilità, hotel, ristoranti, prodotti tipici e altro).

ANTONIO E NADIA SANTINI del ristorante Il Pescatore: per aver testimoniato il passaggio dall’economia rurale, fortemente legata alla comunità e al territorio, ad un’economia dei servizi aperta al mondo senza mai perdere i valori della sua storia. Raggiungendo così l’eccellenza nel campo della ristorazione. E per aver promosso e valorizzato la cucina italiana nel mondo.

 

Come sono cambiati i consumi delle famiglie

Nel 1945, anno di costituzione di Confcommercio, le famiglie, in un contesto di sopravvivenza per gli effetti della guerra, i consumi delle famiglie italiane erano rivolti per circa l'80% a generi alimentari e bevande (negli anni prebellici erano intorno al 54%). Mediamente il prezzo del pane, calcolato con i valori attuali in euro, era pari a poco più di un euro al kilo, un litro di latte costava 1,03 euro, un kilo di pasta circa 2 euro, un kilo di carne bovina 13 euro

Già nel 1955 i consumi si erano diversificati e la quota di consumo dei beni e servizi aveva raggiunto il 39%, mentre i generi alimentari scendevano al 50%. Questa tendenza negli ultimi 60 anni si è progressivamente accentuata.

Oggi, in una società post-industriale e fortemente terziarizzata, il consumo di beni e servizi non alimentari supera il 75%, mentre la spesa per i prodotti alimentari rappresenta meno del 20%.

Fermo restando la diversificazione nella qualità e nella varietà dei prodotti in commercio, attualmente un kilo di pane costa in media 2,80 euro, la pasta 1,60 euro al kilo, un litro di latte 1,55 euro, la carne bovina poco più di 16 euro. Per pasta, uova ed olio i prezzi sono in media più bassi che negli anni '50 (tabb. 1 e 2).

Tab. 1 – Consumi delle famiglie per gruppi di beni
comp. %

  Generi alimentari, bevande e tabacchi Vestiario e calzature Altri beni e servizi TOTALE
1938 54,4 12,7 32,8 100,0
1945 79,7 4,2 16,1 100,0
1955 50,3 10,7 39,0 100,0
1965 45,7 9,0 45,3 100,0
1975 33,9 9,3 56,8 100,0
1985 25,4 10,0 64,5 100,0
1995 19,2 9,1 71,7 100,0
2005 17,4 8,1 74,5 100,0
2007 17,2 7,7 75,0 100,0
2014 18,5 6,1 75,4 100,0
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

Tab. 2 – Prezzi medi al consumo di alcuni prodotti alimentari
euro 2014

  Pane (Kg.) Pasta (Kg.) Carne bovina (Kg.) Uova (pezzo) Latte (litro) Olio di oliva (litro)
1938 2,10 2,78 11,34 0,46 1,09 6,98
1945 1,11 1,99 13,04 0,84 1,03 11,71
1955 2,06 3,03 16,61 0,52 1,19 8,37
1965 1,68 2,53 18,93 0,40 1,19 8,00
1975 1,59 2,36 20,72 0,32 1,25 9,15
1985 2,08 1,97 17,29 0,27 1,31 5,40
1995 2,53 1,95 15,70 0,21 1,44 5,44
2005 2,76 1,39 15,26 0,21 1,47 4,76
2007 2,89 1,39 15,98 0,22 1,46 5,60
2014 2,86 1,60 16,49 0,24 1,55 4,59
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

I flussi turistici

I primi significativi movimenti turistici negli esercizi alberghieri, sia di italiani che di stranieri, si registrano a partire dagli anni ‘60. Se nel 1965 le presenze turistiche non superavano i 100 milioni, nel 1975 raggiungevano circa i 140 milioni di cui poco meno di 50 milioni provenienti dall'estero.

Oggi il movimento turistico in Italia conta circa 250 milioni di presenze, di cui circa 130 milioni estere (tab. 3).

Tab. 3 – Movimento dei clienti negli esercizi alberghieri
presenze, milioni

  Totale di cui stranieri % stranieri/totale
1956 52,6 16,7 31,7
1965 97,5 37,7 38,6
1975 139,7 47,5 34,0
1985 170,7 64,0 37,5
1995 208,0 84,6 40,7
2005 240,4 102,3 42,6
2007 254,3 113,0 44,4
2013 254,8 126,3 49,6
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

Il sistema distributivo

Nell'immediato dopoguerra gli esercizi commerciali totali al dettaglio non raggiungevano le 800mila unità, di cui circa 250 mila erano operatori in forma ambulante.

Migliorando nel corso degli anni ‘60 e ‘70 le condizioni di vita e di reddito dei cittadini, la rete degli esercizi si è ampliata sul territorio superando nel 1971 complessivamente 1 milione di unità. Oggi la rete si è assestata al di sotto dei 950 mila unità di cui otre 188mila ambulanti (tab. 4).

Tab. 4 – Numero degli esercizi del commercio al dettaglio

  in sede fissa ambulante totale
1945 531.195 247.276 778.471
1956 725.778 300.627 1.026.405
1961 871.161 312.425 1.183.586
1971 802.523 282.744 1.085.267
2001 725.444 121.090 846.534
2011 776.155 175.913 952.068
2014 755.045 188.274 943.319
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat, Osservatorio Nazionale del Commercio

Pil e debito pubblico per abitante

Nel 1945 l'Italia era povera e, pur uscendo da un lungo e doloroso conflitto bellico, evidenziava un debito per abitante inferiore rispetto al reddito prodotto. Negli anni '60 si registrava il "periodo d'oro", con un pil per abitante, calcolato con i valori attuali, che, sulla spinta del boom economico, superava i 9mila euro e un debito pubblico che per ogni italiano era di soli 2.300 euro: il Pil prodotto era 4 volte circa superiore al debito accumulato. A partire dagli anni ‘70 il divario tra Pil e debito pubblico si è iniziato ad assottigliare per invertirsi completamente dagli anni ‘90. Oggi a fronte di un Pil per abitante pari a circa 27 mila euro, ci sono oltre 35mila euro di debito per ogni italiano (tab.5).

Tab. 5 – Dati per abitante
euro 2014

  Pil Debito pubblico
1945 1.347 906
1955 5.995 1.807
1965 9.515 2.360
1975 15.913 7.762
1985 21.066 15.246
1995 26.069 29.817
2005 29.021 30.774
2007 30.365 31.114
2014 26.582 35.117
Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat e Banca d'Italia

 

Una nota sul Pil e i consumi dall’Unità d’Italia a oggi

Sintesi per la stampa (per le figure e le tabelle vd. documento integrale)

Negli ultimi 150 anni, il Pil pro capite è cresciuto di oltre 12 volte, passando da 2.188 a quasi 27mila euro, mentre i consumi hanno mostrato una dinamica meno favorevole crescendo di circa 9 volte (da 1.802 a 16.284 euro pro capite).

Dopo la seconda guerra mondiale, che ha fatto crollare il Pil del 46%, la recente crisi finanziaria globale è la peggiore crisi economica di tutta la storia d’Italia con un Pil pro capite sceso di quasi il 13% tra il 2008 e il 2014; anche per i consumi la recente crisi è stata particolarmente profonda con un calo medio annuo dell’1,7% a fronte di una crescita quasi ininterrotta del 4,3% medio annuo dal 1946 al 2007.

Dall’Unità d’Italia fino alla seconda guerra mondiale quasi la metà del sistema produttivo italiano era impegnato nell’agricoltura; dagli anni ’50 la terziarizzazione dell’economia cresce costantemente tanto che oggi i servizi valgono quasi i tre quarti di tutta la produzione annuale di ricchezza (73,6%); nello stesso periodo l’industria ha perso 10 punti passando dal 33% al 23,9%.

Questi, in sintesi, i principali dati che emergono dall’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sul Pil e i consumi dall’Unità d’Italia ad oggi presentata in occasione della cerimonia conclusiva delle celebrazioni del Settantennale di Confcommercio che si è svolta oggi a Venezia.

 

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Il Pil pro capite in Italia dal 1861 al 2015

Dal 1861, anno dell’Unità d’Italia, al 2015, la popolazione è passata da poco più di 26 milioni di persone a quasi 61 milioni, con una crescita del 132%. La crescita della popolazione ha fortemente rallentato tra il primo periodo, fino al 1945 (+0,66%), e il secondo periodo (+0,43%). Soltanto durante la prima guerra mondiale la popolazione conobbe una temporanea riduzione, perdendo, nel 1919, quasi un milione di unità rispetto al 1916, in gran parte a causa della pandemia di influenza nota come “Spagnola”.

Infografica PIL vs Consumi

Nei 155 anni di Unità d’Italia, il Pil per abitante in termini reali è cresciuto di 12,3 volte: valeva, ai prezzi attuali, 2.188 euro nel 1861 e nel 2015 ha raggiunto 26.916 euro, manifestando un tasso medio annuo di variazione dell’1,6%.

Nell’arco di questi 155 anni, è possibile distinguere due grandi periodi, caratterizzati da ritmi medi di crescita profondamente diversi (fig. 1).

Il Pil pro capite reale è cresciuto dal 1861 al 1945 a un tasso medio annuo dello 0,1%
(tab. 1) mentre nel periodo che va dal 1946 al 2015 ha mostrato un tasso di variazione del 3,5% medio annuo, 35 volte, quindi, il tasso medio del primo periodo.

In parte quest’accelerazione si può attribuire alle innovazioni tecnologiche e a un progressivo incremento della produttività, crescente al crescere del livello d’istruzione della popolazione. In larga parte, però, è da ascriversi ad una fondamentale variabile di contesto, cioè al lungo periodo di pace che ha contraddistinto l’Europa dal 1946 fino a oggi.

E, in questo senso, stupisce che nell’attuale dibattito sul senso e le prospettive dell’Unione europea - e della moneta unica, che ne costituisce indispensabile pilastro - sia costantemente assente un collegamento tra la costruzione europea, la pace e la crescita economica post-bellica, tre fatti che non possono non avere qualche legame causale e che non possono, quindi, essere ritenuti semplice frutto di circostanze favorevoli e accidentali.

I periodi di crisi economica

Dal 1861 a oggi, la nostra storia è costellata da diverse cadute del prodotto pro capite reale. Fino al 1945 gli episodi di crisi sono sostanzialmente legati agli eventi bellici o di instabilità post-bellica (fig. 1, zoom 1861-1945): terza guerra d’Indipendenza, entrata nel primo conflitto mondiale, smobilitazione dopo la grande guerra, guerra d’Etiopia e conseguenti effetti del regime delle sanzioni internazionali, seconda guerra mondiale.

Quest’ultima è la più grave con una caduta del prodotto pro capite di quasi la metà (nel 1945 il Pil pro capite è soltanto il 54% di quello del 1939). Di eccezionale intensità appare anche la caduta del 1867 (terza guerra d’Indipendenza) mentre la crisi conseguente alla prima guerra mondiale si divide nei periodi 1914-1915 e 1920-1921, nel cui intermezzo (periodo 1916-1919) lo sforzo bellico e la consistente riduzione della popolazione fanno crescere il Pil.

Alle crisi belliche si aggiungono gli effetti di quella del 1929 negli Stati Uniti, il cui riverbero in Italia copre il biennio 1930-1931 con una caduta complessiva del Pil pari al 7,2%.

Durante il secondo lungo periodo di pace si avvertono due cadute prima dell’ultima recente: la prima riguarda lo shock petrolifero, dovuto largamente alla circostanza che i Paesi arabi esportatori di petrolio, a causa della crisi innescata dalla guerra del Kippur (ottobre 1973, attacco ad Israele da parte di Egitto e Siria), scelgono di contrarre bruscamente le esportazioni verso i paesi occidentali, accusati di sostenere Israele, formando un cartello che di fatto determina il prezzo della materia prima sui mercati internazionali (qualcosa che non era mai accaduto in precedenza). Sono gli anni in cui si è appresa la lezione che un elevato prezzo del petrolio danneggia le economie che consumano energia, soprattutto a fini di trasformazione industriale.

Si giunge al 2007 che nello scorcio finale presenta, sul piano internazionale, segni di una possibile crisi imminente, che si manifesta, poi, nei dati del Pil trimestrale delle principali economie avanzate, Italia inclusa, a partire dal 2008. Il Pil pro capite, tra il 2008 e il 2014 scende del 12,8% (dell’1,9% è la riduzione media annua nel periodo; tab. 1).

Effettivamente, quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, si configura come la peggiore crisi economica di tutta la storia d’Italia, dopo quella sofferta a cavallo del secondo conflitto mondiale.

Per esserne certi, è sufficiente accorpare, partendo dalle evidenze della figura 1, gli anni che vanno dal 1914 al 1921 - considerando la crescita 1916-1918 come un temporaneo intermezzo tra due periodi di recessione - e quelli che coprono la crisi successiva al 1929 fino alla guerra d’Etiopia (considerando le fibrillazioni del Pil nel quadriennio 1932-1935 parte integrante di un più ampio contesto recessivo). In quest’accezione di crisi confrontiamo tre periodi: 1914-1921 (otto anni), 1930-1936 (sette anni) e 2008-2014 (sette anni). Le cadute cumulate di prodotto reale per abitante sono pari al 9,8% nel primo periodo (dall’interventismo all’avvento del fascismo, grosso modo), dell’8,5% dal 1930 alla fine della guerra di Etiopia, del 12,8%, come detto, dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008 al 2014, considerato anno finale del periodo recessivo.

Anche in prospettiva storica lunghissima, quindi, la recente crisi appare come fenomeno di eccezionale entità. E il dato relativo alla crescita del Pil per abitante nel 2015, pari allo 0,7%, è solo un quinto del tasso medio di crescita del periodo post bellico (3,5%), restando sotto la metà della media della crescita dall’Unità d’Italia a oggi (1,6%).

La terziarizzazione dell’economia italiana e l’apertura degli scambi commerciali

Nel 1861 quasi la metà del sistema produttivo italiano era impegnato nell’agricoltura (tab. 2), meno di un quarto nell’industria e meno del 30% nei servizi (compresa la P.A.).

Nei 15 anni successivi all’unificazione, la struttura cambia poco e, anzi, l’agricoltura cresce anche in termini di quota.

Successivamente, tra i governi della sinistra storica e l’era della belle époque, si vive la modernizzazione complessiva del paese. La manifattura cresce, la terziarizzazione comincia: i servizi guadagnano dieci punti in quota.

Infografica economia terziarizzata

Questo processo non si interrompe più, salvo il periodo eccezionale della seconda guerra mondiale, durante il quale, come già visto, il Pil pro capite quasi si dimezza: l’attività  produttiva torna ad essere prevalentemente agricola, come indicato per l’anno 1945 dalla tabella 2.

Nel 1968, per la prima volta nella storia d’Italia, il valore aggiunto dell’agricoltura scende sotto il 10% del prodotto complessivo; nel 2001 scende per la prima volta sotto il 3% mentre quello dei servizi supera il 70%.

La crescita dell’industria ha un picco alla fine degli anni ’70 (36,2% l’incidenza sul totale raggiunta nel 1968) per poi cominciare a declinare fino all’attuale quota del 23,9% (tab. 2).

I servizi oggi valgono quasi i tre quarti di tutta la produzione annuale di ricchezza.

Di pari passo con la modernizzazione e la terziarizzazione, c’è il fenomeno dell’apertura delle economie avanzate e, oggi, anche quelle in via di sviluppo. Anzi, uno dei processi che accelerano la crescita è proprio l’apertura al commercio con l’estero, oggi crescente anche in termini di servizi (finanziari, turistici, assicurativi e di trasporto, soprattutto).

La figura 2 evidenzia la dinamica temporale del grado di apertura dell’economia italiana (l’indice è calcolato come somma di esportazioni ed importazioni in percentuale del Pil).

È ben visibile l’impatto delle vicissitudini legate all’autarchia fascista, che in dieci anni, più o meno dal 1925 alla guerra d’Etiopia, riducono il grado di apertura con l’estero dal 25-28% al 10-13%, complici anche le sanzioni internazionali decretate dalla Società delle Nazioni, antesignana dell’attuale ONU. Alla fine della seconda guerra mondiale il grado di apertura è prossimo allo zero.

Dopo, si cambia definitivamente registro e la correlazione tra scambi internazionali e crescita economica è netta (figg. 1 e 2).

La svalutazione della lira, cui consegue l’uscita dallo SME (settembre 1992), favorisce le esportazioni accelerando la crescita del grado di apertura. La riduzione delle importazioni nell’anno 2009 - con un Pil che scende del 5,5% in aggregato - spiega la caduta del grado di apertura. Ma il processo di intensificazione degli scambi commerciali di beni e servizi con il resto del mondo sostanzialmente è continuo dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi.

Uno sguardo ai consumi degli italiani dall’Unità d’Italia a oggi

È ovvio che i consumi per abitante - da considerarsi, a grandi linee, il principale indicatore di benessere economico medio di una collettività - abbiano mostrato dinamiche simili a quelle della produzione di ricchezza (cioè del Pil pro capite). Infatti, la crescita media 1862-2015 al tasso annuale dell’1,4% (leggermente inferiore a quello del Pil) è formata da una riduzione media di 3 decimi di punto fino al 1945 e poi da un’accelerazione al 3,6% medio annuo (tab. 3).

Confrontando queste evidenze con quelle della tabella 1 sul Pil reale pro capite, si evince che il rapporto consumi-Pil è sceso nel primo periodo per risalire moderatamente nel secondo.

Infografica crisi

Anche per i consumi la crisi 2008-2014 appare di profondità inconsueta soprattutto nel confronto con il periodo 1946-2007: durante la recente crisi i consumi pro capite sono scesi dell’1,7% medio annuo contro una crescita, quasi ininterrotta, a un tasso del 4,3% medio annuo dal 1946 al 2007.

 

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