Federalismo tra questione settentrionale e questione meridionale

Federalismo tra questione settentrionale e questione meridionale

Sessione del 18 marzo 2007 Villa d'Este - Cernobbio (Como)

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18 marzo 2007
ASSEMBLEA NAZIONALE

Siamo arrivati alla fase conclusiva dei lavori del nostro incontro. Prima, dunque, di dare la parola al Presidente del Senato, Franco Marini, che ringrazio per avere accettato il nostro invito, consentitemi di ripercorrere molto rapidamente il “filo rosso� del ragionamento che abbiamo fin qui sviluppato, con il contributo di tanti autorevoli amici e relatori.

Senza indulgenza nei confronti del “declinismoâ€�, abbiamo però sottolineato che non è certamente il caso di cullarsi sugli allori di una crescita del PIL dell’1,9% nel 2006 o sull’attesa di un analogo e non scontato risultato nel 2007. Al contrario, bisogna cogliere la finestra di quel tanto di ripresa che c’è per mettere in campo le riforme necessarie: le liberalizzazioni strategiche; una politica per i servizi che abbia pari dignità con la più tradizionale e consolidata politica industriale; il controllo e la riduzione della spesa pubblica per consentire â€" in parallelo al recupero di evasione â€" l’avvio della riduzione della pressione fiscale; il sostegno all’innovazione tecnologica ed organizzativa, ivi compresa una flessibilità dei rapporti di lavoro governata e contrattata, che agisca a contrasto della precarietà del lavoro nero e della disoccupazione; la riforma del welfare per renderlo, al contempo, finanziariamente sostenibile e socialmente più inclusivo; la valorizzazione di risorse ancora largamente inesplorate come quelle del turismo e dei processi di riqualificazione delle grandi aree urbane; gli investimenti infrastrutturali e, in particolare, quelli per il sistema dei trasporti e della logistica.

Siamo, ora,  alla vigilia della ripresa di una fase di concertazione tra Governo e parti sociali. Occorre, da parti di tutti, un supplemento di responsabilità. Negli anni ’90 â€" gli anni di nascita del modello della concertazione â€" questa responsabilità collettiva si tradusse in una politica dei redditi che consentì di superare la crisi finanziaria del Paese e di perseguire, poi, l’obiettivo dell’ingresso dell’Italia nell’area dell’euro. Oggi, sarebbe necessario un “Pattoâ€� che assumesse quale suo obiettivo strategico il rafforzamento della produttività e la maggiore crescita. Naturalmente, occorrerebbe anche un’architettura della concertazione coerente con questo obiettivo e che, dunque, riconoscesse ciò che già oggi il mondo dei servizi â€" rappresentato da Confcommercio in tutte le sue componenti fondamentali â€"  significa per l’economia e la società italiana: il 63% del PIL  e il 67% dell’occupazione.

Gli assetti istituzionali del Paese giocano, ovviamente, un ruolo determinante ai fini della competitività di sistema. Questo è il punto di riflessione specifico dei lavori di oggi.

Perché, dunque, parlare di federalismo tra questione settentrionale e questione meridionale?

Perché â€" a nostro avviso -  occorre completare la transizione incompiuta verso il federalismo, affrontando e risolvendo il nodo del federalismo fiscale. Ciò va fatto tenendo presenti le esigenze di fondo del controllo qualitativo e quantitativo della spesa pubblica ad ogni livello, del controllo e della riduzione della pressione fiscale, del rapporto tra autonomia impositiva e responsabilità politica ed amministrativa.

Del resto, basta pensare ai dati di Banca d’Italia diffusi ieri l’altro: in rapporto al PIL, diminuisce il debito dello Stato, ma cresce quello delle Amministrazioni locali.

Parlare di uno stato di “sofferenzaâ€� del Patto di stabilità interno non mi sembra, dunque, improprio. E derivarne, allora, la necessità di sciogliere la questione del federalismo fiscale â€" cioè di un sistema che responsabilizzi tutti i livelli di governo, nei confronti dei cittadini come delle imprese, nell’uso del prelievo fiscale in relazione alla quantità e alla qualità dei servizi resi â€" mi sembra la logica conseguenza politica.

Tanto più ora, vorrei dire. Quando, cioè, è ormai comune il convincimento â€" espresso anche nel documento predisposto da Cgil, Cisl e Uil per l’avvio del confronto con il Governo â€" sul fatto che gli effetti redistributivi delle politiche fiscali, tentati con l’ultima legge finanziaria, vengono largamente indeboliti dalla crescita delle addizionali e dei tributi locali.

Insomma, nella nostra analisi e nella nostra proposta, il federalismo fiscale dovrebbe concorrere ad un uso più attento e razionale delle risorse del Paese.

E, naturalmente, alla riduzione della pressione fiscale complessiva.

Una scelta â€" lo ripeto â€" da fare ora. Per consolidare la ripresa e per imboccare la strada di una crescita duratura e robusta, fondata su una più consistente domanda interna -  quella che concorre alla formazione del PIL per ben il 60% -  e su più significativi consumi delle famiglie.

Ci sono margini per avviare la riduzione della pressione fiscale. Basta scegliere di non disperdere le risorse in mille rivoli ulteriori di spesa pubblica e di concentrare quanto è disponibile in una riduzione possibile delle aliquote IRPEF: un punto all’anno per tre anni è compatibile con lo stato di salute dei conti pubblici e anzi, con maggiore crescita indotta, aiuterebbe lo stesso risanamento della finanza pubblica.

Torno al federalismo. Per dirla con una battuta, si tratta di costruire un federalismo pro-competitivo e solidale. Non possiamo, invece, permetterci un federalismo inquinato dalla logica dei conflitti di competenze e dalla sovrapposizione di più livelli burocratici. Anche perché, già oggi, la burocrazia costa al Paese qualcosa come 40 miliardi di euro all’anno.

Ridurre la tassa della burocrazia, si può e si deve. L’Europa si propone di ridurre questa tassa del 25% entro il 2012. In Italia, questo significherebbe potere far conto su 1 punto in più di crescita del PIL. E non sarebbe davvero poco!

Se sapremo costruire questo tipo di federalismo, daremo risposte alle esigenze che si leggono tanto nella nuova ed emergente questione settentrionale, quanto nella sempre aperta questione meridionale. Anzi, questo tipo di federalismo potrebbe essere occasione di recupero dei divari di crescita e di sviluppo tra il Mezzogiorno e le altre aree del Paese.

E’ il federalismo coerente con il progetto di fare dell’Italia una società attiva, più attiva. Quella, cioè, che si fonda sulla responsabilità individuale e collettiva, sulla responsabilità politica ed istituzionale.

E’ il federalismo che si apre anche alla dimensione della sussidiarietà orizzontale, ridistribuendo compiti e funzioni tra pubblico e privato. Chiedendo alla sfera pubblica di fare meno, ma meglio; chiedendo all’iniziativa organizzata dei privati, ai corpi intermedi, alle autonomie funzionali di assumere responsabilità di ordine generale. Ad esempio, sui terreni della sicurezza sociale, del finanziamento delle infrastrutture pubblico/privato, dei processi di sviluppo territoriale, della formazione e della ricerca.

Un Paese competitivo e che voglia sfuggire alla trappola della crescita lenta deve assicurare governabilità. Ciò richiede un esecutivo dotato di maggioranze parlamentari adeguate e di solide e coerenti intese programmatiche. Si tratta, allora, di ragionare di legge elettorale.

Sapendo che non esistono leggi elettorali perfette e che non tutto dipende dalle leggi elettorali.

Tanto dipende, anche e invece, dalla capacità di riconoscersi in un bipolarismo maturo.

Quello che concepisce la democrazia come una somma e non come una sottrazione.

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