Forum Confcommercio (ed. 2001): I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000
Forum Confcommercio (ed. 2001): I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000
3a edizione del Forum Confcommercio-Ambrosetti
L'analisi e il confronto tra il ciclo economico americano e quello europeo, l'evoluzione dei sistemi imprenditoriali nella globalizzazione, le implicazioni degli attuali assetti economici sui sistemi di relazioni industriali, sul mercato del lavoro e sui metodi concertativi, saranno i temi portanti delle tre giornate della terza edizione del Forum "I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000" organizzato da Confcommercio in collaborazione con Ambrosetti.
Programma
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venerdì 30 marzo
- Conferenza stampa
Sergio Billè Presidente Confcommercio
Alfredo Ambrosetti Presidente Ambrosetti
- Interventi
Joseph La Palombara
Francesco Cossiga
Edward Luttwak
Giovanni Pellegrino
Ralph Dahrendorf
Yves Mény
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sabato 31 marzo
- Interventi
Lester Thurow
Otmar Issing
Robert Mundell
Pier Carlo Padoan
Didier Reynders
Tito Boeri
Richard Layard
Thomas Kochan
Vincenzo De Bustis
Umberto Agnelli
Livio Buttignol
Paul Luis Halley
Mario Resca
Guido Rossi
Enrico Letta
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domenica 1 aprile
- Interventi
Sergio Billè
Franco Tatò
Thomas Kochan
Franco Bassanini
Sergio Cofferati
Rapporto su "Competitività e globalizzazione": proposte per superare i ritardi strutturali del paese (sintesi per la stampa)
Premessa
Le venti proposte per la prossima legislatura derivano da una doppia considerazione sul caso italiano.
In un solo giorno, sulle piazze finanziarie mondiali, vengono scambiati titoli, azioni, obbligazioni, quote di fondi di investimento, per un ammontare che supera ampiamente i 1.000 miliardi di dollari USA, pari a poco meno dell'intero stock del debito pubblico italiano, che è di circa 2 milioni e mezzo di miliardi di lire e quindi il nostro Paese ha bisogno di stringere la sua appartenenza europea per aumentare la sua massa d'urto rispetto alla finanza internazionale.
Si sta affermando uno sviluppo improntato ad un unico paradigma "la fabbricazione dei prodotti e la fornitura dei servizi si realizza là dove i costi sono più bassi e la vendita si effettua dove i profitti sono più alti" e questo pone ai Paesi trasformatori come l'Italia enormi problemi di competitività sia nella competizione all'interno della U.E. sia in quella più ampia di livello mondiale.
Per adeguarsi al nuovo sistema di regole si impongono scelte estremamente innovative, notevole capacità prospettica nella lettura del cambiamento, della rivoluzione informatica, del peso della finanza sull'economia, della rivoluzione del mondo delle telecomunicazioni, dell'incombente "delocalizzazione" alla quale le imprese sembrano dover soggiacere.
È urgente assumere iniziative nel progettare il futuro, assumersi responsabilità dirette nel richiamare, con decisione, tutte le componenti della società civile a confrontarsi sui temi della competitività del sistema Paese, sui tempi della modernizzazione del sistema economico e dello sviluppo sociale del nostro Paese coerenti con l'essere parte della UE.
L'Unione Europea, peraltro, in campo economico non attende nessuno perchè la sua regola basilare, scritta indelebilmente dal trattato di Roma in poi, è quella della concorrenza tra Paesi, tra settori economici, tra imprese, e quindi chi rimane arretrato è destinato a divenire mercato di sbocco per i più forti o per i più efficienti.
Nell'occasione della campagna elettorale intendiamo perciò proporre ai partiti, ai vari poteri istituzionali, alle altre forze sociali uno strumento di riflessione sulle modalità per superare le arretratezze e le disfunzioni che pongono il nostro Paese in costante inferiorità rispetto ai partner europei.
La consapevolezza di essere:
- rappresentanti di un mondo, quello del terziario di mercato, che per la sua stessa natura non può seguire le scorciatoie della delocalizzazione per affrancarsi dalle disfunzione del sistema;
- parte preponderante del sistema economico;
- settore dal quale già dipendono le chances di sviluppo, specie occupazionali, in ogni Paese;
- l'unica attività economica presente in ogni comune del nostro Paese e quindi capace di portare dal territorio al centro i problemi reali della gente;
è alla base della nostra scelta di proporci il superamento dei divari che registriamo nei confronti dei Paesi UE.
Nonostante la globalizzazione le PMI europee mostrano di essere entità vitali e presenti, con un ruolo insostituibile nella produzione della ricchezza nazionale.
Le PMI pertanto non sono una specie in via di estinzione che deve in qualche modo essere difesa e tutelata, ma un insieme di organismi capaci di grande flessibilità ed adattabilità alle mutevoli condizioni del mercato e quindi in grado di contribuire alla crescita se messe in condizioni di operare in un contesto ambientale favorevole.
Fenomeni di concentrazione avverranno sicuramente in alcuni settori e per alcune modalità, ma in numerosi contesti la piccola impresa continuerà ad esistere ed a svilupparsi. Ad esempio, ovunque, sarà richiesta una elevata qualità del servizio o del prodotto piuttosto che la sua standardizzazione.
Soprattutto nel settore dei servizi, il contributo delle PMI risulterà fondamentale in relazione alle nuove tendenze economiche e sociali che si vanno ormai delineando:
- vivibilità e fruibilità dei centri storici per turisti e residenti;
- produzione e commercializzazione di prodotti alimentari di elevata qualità e necessariamente limitati nella quantità offerta dal singolo produttore (ad esempio il biologico);
- lavorazioni artigianali a contenuto creativo;
- cura della persona;
- strutture di ricezione e somministrazione a basso impatto ambientale e urbanistico (bed & breakfast, agriturismo, ecc.);
- servizi locali alle imprese;
- situazioni nelle quali le caratteristiche del territorio o della clientela non consentono facilità di spostamenti per raggiungere grandi insediamenti commerciali;
- opportunità create da Internet, che consente l'offerta di servizi e prodotti ad un numero potenzialmente vastissimo di utenti pur con piccole strutture organizzative.
PROPOSTA 1: La questione fiscale
Accelerare il cambiamento che il nostro Paese deve compiere richiede di restituire al settore privato una parte consistente delle risorse che oggi sono utilizzate per il funzionamento del settore pubblico dell'economia e ciò sollecita una diversa politica delle entrate.
Già oggi nella U.E. si registrano pesanti discrasie tra Paesi con elevata spesa pubblica che hanno l'esigenza di salvaguardare i loro livelli di prelievo e Paesi con bassa pressione fiscale che vogliono mantenere il loro vantaggio competitivo nell'attrarre risorse.
Ciò determina una situazione di stallo che peraltro dovrà essere presto superata perché la pressione fiscale dei sistemi economici con i quali i Paesi UE dovranno competere sono già oggi intorno al 35%.
Da questo punto di vista l'Italia appare in svantaggio per l'elevato livello di partenza e per i limitati sgravi previsti nei prossimi anni. Gli attuali livelli di prelievo (intorno al 43%) sono tali da creare un differenziale di costi per le imprese e per le famiglie in grado di frenare la crescita sia sul fronte della domanda che su quello dell'offerta.
Le linee di intervento per una politica di riduzione del prelievo che tenga adeguatamente conto delle esigenze delle piccole e medie imprese dovrebbero essere articolate sui punti seguenti:
- riduzione della pressione fiscale e contributiva di un punto percentuale del PIL all'anno per dieci anni;
- regole di contenimento e di razionalizzazione della finanza locale. I timidi segnali di riduzione del carico tributario rischiano di essere vanificati dall'andamento del prelievo fiscale a livello locale, a causa del moltiplicarsi di addizionali e degli aumenti determinati dagli Enti Locali. Alcuni tributi, ben lungi dall'essersi semplificati, si sono invece complicati (come ad esempio le addizionali ai tributi erariali e la vera e propria giungla di aliquote, scadenze, detrazioni e modulistica a cui ha dato luogo l'ICI). Negli Enti Locali si va in sostanza affermando un uso strumentale dei tributi di loro competenza, i quali vengono utilizzati solo come mezzo per recuperare il ridimensionamento delle risorse provenienti dal bilancio statale. In ambito locale bisogna quindi imporre il rispetto del principio della controprestazione e ritornare ad una misura del tributo coerente con la qualità e la quantità dei servizi effettivamente offerti dall'amministrazione;
- drastica riduzione dell'IRAP; escludendo ad esempio il costo del lavoro, abbassando l'aliquota, prevedendo ampie fasce di esenzione in rapporto alle dimensioni dell'attività;
- valutazione del capitale umano ai fini della DIT per l'occupazione indipendente;
- sul fronte della repressione dell'abusivismo non sono stati realizzati significativi risultati, anzi il fenomeno appare in netto aumento. Da questo punto di vista la libera circolazione degli individui, i fenomeni di immigrazione, la diffusione dell'economia illegale costituiscono un fattore di distorsione della concorrenza tra le imprese che deve essere rapidamente riportato sotto controllo. Importanti risultati sul fronte della coerenza delle dichiarazioni fiscali sono state ottenuti grazie all'intervento delle associazioni di categoria sul fronte degli studi di settore. Bisogna pertanto estendere l'applicazione di questo strumento alle numerose attività che ora sfuggono a qualsiasi controllo;
- riconoscimento come beni strumentali di beni tipici delle PMI del terziario, da agevolare sia in fase di ammortamento che di investimento;
- sia per le famiglie sia per le imprese occorre ritornare a normali e più ampie condizioni di deducibilità dal reddito di una serie di costi (sanità, trasporti, beni ad utilizzazione promiscua, previdenza integrativa, ecc.) le cui possibilità di deduzione nel corso degli anni dell'emergenza finanziaria sono state sempre ostacolate e che invece potrebbero servire a rilanciare la domanda o ad alimentare i mercati finanziari come nel caso della previdenza integrativa.
PROPOSTA 2: Il sistema di finanziamento
La creazione reale e non più "virtuale" di un mercato interno tra i Paesi della UEM a seguito dell'entrata in vigore dell'Euro nel 2002 pone con urgenza la necessità di affrontare in tempi rapidi il grande tema del sistema di finanziamento armonizzato delle attività produttive.
È necessaria, infatti, la definizione di un quadro normativo in grado di assicurare:
- parità di condizioni tra le imprese per quanto riguarda il mercato mobiliare;
- accesso diretto al mercato dei capitali anche da parte delle piccole e medie imprese. Al riguardo è necessario il superamento degli ostacoli che hanno finora impedito la diffusione di strumenti quali le cambiali finanziarie e i certificati di investimento. In particolare, la necessità di favorire la creazione di un mercato secondario per garantire la liquidità dei titoli e di attuare iniziative per abbattere il costo delle garanzie collaterali previste dall'attuale normativa su cambiali finanziarie e certificati di investimento a tutela dei risparmiatori. Si pensi, al riguardo, all'opportunità di attivare un fondo pubblico di garanzia che interagisca con banche e confidi;
- revisione della legislazione relativa al mercato secondario per far decollare un sistema che è essenziale per il finanziamento strutturale delle PMI nonché favorire la trasformazione delle imprese individuali in società di capitali, anche unipersonali.
PROPOSTA 3: Il rapporto banca impresa
Il Rapporto banca-impresa dovrà modificarsi per consentire al sistema economico di reggere le nuove sollecitazioni concorrenziali che riguarderanno sia le condizioni di accesso al credito che l'erogazione di servizi elettronici di pagamento. In quest'ultimo caso, l'evoluzione tecnologica e la realizzazione di economie di scala devono necessariamente favorire una maggiore diffusione a costi più contenuti.
Si auspica un'elevata diffusione della moneta elettronica, come peraltro già avviene in altri Paesi dell'Unione Economica Monetaria, sia per prevenire molti problemi pratici connessi all'introduzione dell'euro sia per motivi di sicurezza. È necessario però che il costo d'uso di tale sistema discenda drasticamente.
Appare pertanto opportuno intervenire in via prioritaria sui seguenti aspetti:
- supporti alla creazione di reti tra imprese con un ampio utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche in quanto il potenziamento di strumenti di incentivazione finanziaria costituisce fattore di particolare rilievo per garantire la competitività di imprese e di interi distretti economici;
- attuazione di interventi per favorire l'accesso al credito bancario da parte delle piccole e medie imprese. Al riguardo, appare determinante lo sviluppo di forme di regolamentazione e sostegno dell'associazionismo di garanzia con lo scopo di favorire lo sviluppo di soggetti sempre più patrimonializzati e professionalizzati in grado di fornire alle piccole e medie imprese non solo garanzie, ma anche consulenza finanziaria e gestionale mirata.
PROPOSTA 4: Le politiche occupazionali
Non meno rilevante sul piano economico e sociale è il problema dell'occupazione da cui discende la vitalità del mercato interno, il livello e la qualità dell'offerta di beni e servizi, la competitività del sistema economico rispetto a quelli d'altri Paesi.
La risposta ai problemi occupazionali, specie nel Mezzogiorno non può venire da istituti onerosi ed ormai superati dalle moderne dinamiche di mercato, quali quelli derivanti dalle rigidità in uscita.
Sono necessarie perciò azioni strutturali volte ad un aumento significativo degli investimenti e, per quanto concerne i temi più strettamente attinenti al mercato del lavoro, ad una riduzione dei costi, all'aumento della flessibilità e alla semplificazione normativa, nodi che da sempre limitano l'effettivo decollo del mercato del lavoro e del Mezzogiorno in particolare.
A specchio con questo tema vi è quello del tasso di disoccupazione ancora elevato che vede un sistema del tutto inadeguato di promozione dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro: quale la nuova legislazione sul collocamento che non è ancora del tutto operativa.
Questa situazione di ritardo, abbastanza ricorrente nella attuazione delle norme che riguardano i temi occupazionali, spiega perché in Italia la popolazione attiva, cioè quella che dichiara di lavorare o di essere in cerca d'occupazione è inferiore ad altri Paesi europei.
Il perdurare della disattenzione determina pressioni pesantissime sui cittadini in cerca di lavoro sino al punto di scoraggiarne l'ingresso nei canali ufficiali di lavoro.
Per quanto riguarda la flessibilità del lavoro in uscita chiediamo l'immediata revisione dello statuto dei lavoratori, frutto della filosofia ormai superata del garantismo proprio degli anni '70.
È necessario imboccare con decisione la logica di introdurre forme di flessibilità contrattata, modificando la legislazione in materia di licenziamenti che ostacola, da un lato, la crescita delle aziende oltre la soglia critica dei 15 dipendenti e dall'altro, il consolidamento delle imprese di piccole dimensioni che intendono avere dipendenti regolari.
La maggiore flessibilità deve essere realizzata anche attraverso una adeguata regolamentazione dei contratti a termine e del lavoro parasubordinato, contribuendo in tal modo a far emergere anche quelle porzioni di lavoro sommerso che rendono statisticamente "povero" il nostro mercato del lavoro.
Occorre, inoltre, intervenire in maniera strutturale sulla normalizzazione delle condizioni di concorrenza tra aziende di uno stesso settore, attraverso l'efficacia obbligatoria del contratto di lavoro. Ciò al fine di favorire la trasparenza dei rapporti di lavoro specie laddove è più diffuso il lavoro sommerso.
Livelli di contrattazione
Va confermato l'obiettivo individuato con il Protocollo sulla politica dei redditi del 1993 relativamente alla definizione di un doppio livello di contrattazione.
In quest'ottica il ruolo della contrattazione collettiva nazionale deve essere quello di consentire un aggiornamento dei soli minimi contrattuali attenendosi strettamente al rispetto dei tetti programmati di inflazione, senza occupare ruoli e spazi di pertinenza della contrattazione decentrata.
PROPOSTA 5: La riduzione del costo del lavoro
È necessario procedere ulteriormente nella direzione di una riduzione della forbice esistente tra costo del lavoro, retribuzione lorda e retribuzione netta dei lavoratori, situazione che tra l'altro limita l'impatto sul reddito disponibile dei rinnovi contrattuali.
Secondo le stime dell'OCSE il cuneo fiscale italiano è prossimo al 47%, valore che se non fondamentalmente dissimile da quello registrato da Francia e Germania, Paesi con sistemi di protezione sociale analoghi al nostro, risulta decisamente più elevato di quello riscontrato in Spagna e Irlanda, rispettivamente 37% e 33%, paesi che hanno saputo affrontare meglio la competizione sui mercati. Un confronto che rischia di vedere ulteriormente penalizzata l'Italia con l'allargamento della UE ad altri paesi con bassa tassazione sul lavoro.
PROPOSTA 6: Mezzogiorno e lavoro sommerso
I dualismi territoriali che determinano profondi squilibri nello sviluppo del Paese sollecitano, poi, l'attivazione di una politica economica strabica, che da un lato guardi alle aree settentrionali dove si riscontrano fenomeni di congestione produttiva e di ampliamento del sistema delle infrastrutture civili all'espansione dei processi immigratori, dall'altro al Mezzogiorno dove le attività economiche soffrono, tra l'altro di fenomeni di rarefazione sul territorio e di disarmonia localizzativa rispetto alle filiere produttive che impediscono efficaci economie di agglomerazione.
Il problema del sommerso e tutte le implicazioni che esso comporta è in parte figlio "naturale" di questo sistema, che non ha saputo individuare soluzioni efficaci nell'accompagnare le imprese al mercato con una effettiva gradualità di trasferimento dei maggiori oneri. Oggi il fenomeno continua ad espandersi a dimostrazione che le soluzioni debbono essere molto più legate alle dinamiche gestionali delle imprese, altrimenti si rischiano delocalizzazioni in Albania o negli Stati della ex Yugoslavia o nell'est europeo, Romania, Bulgaria, dove il costo del lavoro è ampiamente competitivo rispetto a quello italiano.
Bisogna prevedere che, a fronte di differenze esistenti e verificabili in base a parametri obiettivi tra aree territoriali, si realizzino sistemi retributivi flessibili che tengano conto del diverso potere di acquisto esistente. Ciò agevolerebbe il ricorso all'instaurazione di contratti di lavoro regolari, in quanto compatibili con le risorse di ogni area, e nuovi insediamenti idonei ad incrementare le economie locali ed il livello occupazionale in aree di forte criticità.
PROPOSTA 7: Le Politiche Territoriali
Patti territoriali
Come dimostra l'esperienza dei Patti europei, possono avere un futuro affidati alla responsabilità delle Regioni, purché si risolvano i problemi di fondo che riguardano sostanzialmente due fasce di malesseri: i nodi procedurali interni e la distonia con gli strumenti europei.
Questi problemi rischiano di cronicizzarsi se le categorie protagoniste dell'economia sono allontanate dalle fasi operative della pianificazione, ovvero se non si attua pienamente, anzi si depaupera, la negoziazione dal basso, cioè la possibilità di promuovere e di cogestire con gli Enti locali i progetti sul territorio.
Nuovi strumenti di negoziazione per le politiche urbane
I problemi legati alla desertificazione dei centri urbani stanno esplodendo in diversi Paesi europei come nel nostro. La corretta funzionalità dell'assetto urbano, infatti, dipende dall'equilibrio del complesso delle attività sociali, economiche e civili che vi sono insediate.
Tale equilibrio negli anni recenti è stato pesantemente intaccato soprattutto a causa di una assenza di politiche adeguate e per l'effetto di fenomeni di ristrutturazione che hanno riguardato soprattutto il settore della distribuzione.
Per ridare spinta a politiche di rinnovamento urbano serve, anzitutto, una maggiore attenzione dei poteri europei (che tra l'altro favorisca la costituzione di un unico centro decisionale per competenze oggi disperse, ad esempio attraverso l'istituzione di una direzione per le politiche urbane, come proposto dal Comitato delle Regioni).
Serve inoltre predisporre strumenti di concertazione ad hoc, sul modello dei Patti e Contratti d'area: così si andrebbe incontro alla necessità di vedere realizzati progetti di rinnovamento urbano, senza attendere il riordino unitario delle norme urbanistiche a livello legislativo.
Contratti di programma
La nuova linea che permette la stipula di Contratti di programma con riferimento ai "sistemi produttivi locali", come da ultimo ridefiniti con la legge 140/99, consente l'accesso delle piccole e medie imprese del terziario alle procedure di tale strumento.
È urgente, però, per rendere operativa questa possibilità, dare corpo ad una normativa attuativa più articolata sulla definizione dei criteri per l'individuazione dei sistemi produttivi locali. La recente delibera che assegna a Sviluppo Italia il coordinamento di questo strumento dovrà essere seguita al più presto da un regolamento che permetta alle iniziative imprenditoriali di partire.
Sistemi produttivi locali
Il ritardo delle Regioni nella definizione e individuazione dei sistemi produttivi, definiti non esclusivamente in base alla prevalenza della attività manifatturiera, rallenta la possibilità di fruire degli interventi attivabili per i territori a vocazione terziaria.
PROPOSTA 8: Europa e Regioni
Il QCS rappresenta per l'Italia l'ultima occasione per usufruire di una parte cospicua dei Fondi che la comunità mette a disposizione delle aree con un prodotto lordo inferiore alla media CEE, dato che con l'ingresso nell'Unione dei paesi dell'Est e di Cipro, probabilmente solo la Calabria, fra le regioni italiane, rientrerà ancora fra le aree dell'obiettivo 1.
Chi più sarà chiamato a dar prova di se sono le Regioni che, oltre ad avere a disposizione circa 70.000 miliardi di lire da spendere, sono state dotate di nuovi poteri, che le rendono il principale soggetto di questa nuova fase.
Il piano comunitario 2000/2006 è caratterizzato da un maggior coinvolgimento delle parti sociali e degli enti locali nella determinazione delle politiche di sviluppo, attraverso il meccanismo della concertazione, che diviene l'elemento caratterizzante dei patti territoriali e di tutte quelle leggi di incentivazione che stanno percorrendo le fasi della regionalizzazione.
Per quanto riguarda il Piano Operativo Nazionale sullo sviluppo locale, esso attribuisce addirittura la totalità delle risorse ai settori maturi, in particolare industria e pubblica amministrazione, nonostante gli impegni presi ai tavoli di concertazione, nei confronti degli altri settori.
Il pericolo che si prospetta è che il ruolo delle Regioni non si discosti molto rispetto a quando ad occuparsi di interventi in economia era solo lo Stato.
Riguardo agli attori della concertazione, in sede di impostazione degli interventi il coinvolgimento delle forze economiche è stato limitato ai tavoli di consultazione, senza che in molti casi siano potuti entrare nel merito delle decisioni.
Come prima azione, occorre uno snellimento procedurale per partire subito con la realizzazione dei progetti di sviluppo locale in quanto rallentamenti nei processi decisori, comporterebbero la perdita di ingenti risorse comunitarie che sarebbero dirottate verso altri Paesi.
Inoltre col meccanismo della c.d. riserva premiale, che nel 2003 attribuirà il 6 per cento di tutte le agevolazioni ai paesi che meglio avranno dimostrato di utilizzare le risorse comunitarie, l'Italia rischia di non partecipare.
Come secondo punto, ridefinire il Piano Operativo Nazionale sullo sviluppo locale attribuendo risorse congrue al turismo, alla cultura, al commercio e ai servizi.
PROPOSTA 9: Lo sviluppo del capitale umano
Lo sviluppo del capitale umano è un altro fattore necessario per reggere la competizione in Europa.
È, quindi, necessaria la progettazione di una politica della formazione di tipo complessivo con interventi coordinati tra di loro in grado di offrire un percorso articolato di crescita sia nel campo del lavoro dipendente, che nel campo delle attività imprenditoriali.
PROPOSTA 10: La Riforma del Welfare State
Il Welfare State costituisce la struttura portante dei modelli socio-economici che caratterizzano i Paesi europei e non può essere considerato come una sorta di lusso, di cui ci si può privare in momenti di difficoltà economica. Al contrario è, invece, garanzia di realizzazione dei diritti di cittadinanza della persona ed obiettivo di civiltà.
In Italia la questione previdenziale ha fagocitato tutte le altre spese sociali: ormai viene dato uno spazio irrisorio alle esigenze delle fasce deboli della società, donne, giovani, disoccupati, specie di lunga durata che in Italia rappresentano una parte drammaticamente significativa.
La spesa sociale per prestazioni familiari, lotta contro la povertà, disoccupazione e sanità è pari ad appena il 5% del totale della spesa sociale ed inferiore di oltre 20 punti percentuali a quella di Francia, Germania e Spagna.
La compatibilità della spesa sociale nelle future politiche di bilancio costituirà sicuramente il vero nodo della politica economica dei prossimi anni, con due obiettivi da raggiungere nel breve periodo:
- raffreddamento della spesa pensionistica;
- riduzione degli oneri che gravano sulla produzione.
In tal senso occorre:
- procedere al passaggio immediato al calcolo contributivo per tutti i lavoratori, con il sistema pro-rata;
- consentire l'accesso alla pensione di anzianità a 60 anni, per uomini e donne, ovvero al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione;
- programmare, altresì, una spesa sociale di modello europeo nei confronti delle spese per prestazioni familiari, lotta alla povertà, disoccupazione.
Lo sviluppo dei fondi pensione privati consentirà di ridurre il livello pensionistico obbligatorio e, nello stesso tempo, di immettere nuova linfa nel mercato finanziario.
Tuttavia, non può essere sottovalutato che un diverso utilizzo del TFR produce aggravi di liquidità per le imprese, quindi, vanno previste misure compensative, quali:
- un abbattimento del costo del lavoro;
- l'accesso a forme di finanziamento agevolato che compensino la minore liquidità;
- destinare gli investimenti dei Fondi preferibilmente nell'ambito del settore economico di appartenenza delle imprese associate.
In ogni caso per lo sviluppo della previdenza complementare bisogna:
- rendere obbligatorio il trasferimento del TFR ai Fondi pensioni contrattuali (chiusi);
- eliminare ogni forma di tassazione sul rendimento dei Fondi pensioni chiusi.
PROPOSTA 11: Il sistema sanitario
Il ripensamento delle politiche sociali deve coinvolgere anche la sanità per realizzare in questo settore l'auspicato allineamento con gli altri Paesi economicamente avanzati.La sanità, infatti, rappresenta un ulteriore elemento di criticità nel processo di risanamento della finanza pubblica.
In quest'ambito suscita preoccupazione l'annunciato sforamento della spesa sanitaria da parte delle Regioni, derivante dal mancato rispetto del patto di stabilità interno. Il DPEF evidenzia che per tali spese, nel periodo 2001-2004, sono previsti tassi di crescita del 3,5%, superiori a quello medio, trainando in questo modo la crescita della spesa corrente al netto degli interessi.
Le nostre proposte riguardano:
- la definizione degli standard qualitativi delle prestazioni erogate dal Sistema Pubblico a parità di risorse impiegate e dei controlli sistematici per garantirli;
- il ripristino della totale esenzione fiscale delle somme versate ai fondi sanitari integrativi di origine contrattuale;
- l'integrazione delle strutture pubbliche con le strutture private che presentino standard qualitativi predeterminati per elevare l'efficienza del sistema;
- l'eliminazione di ogni forma di discriminazione tra le diverse categorie di utenti nell'erogazione delle prestazioni connessa con la condizione economica familiare.
PROPOSTA 12: L'efficienza della P.A.
Non meno rilevante ai fini dell'ottimizzazione dell'uso delle risorse per il funzionamento del Paese e per il suo livello di efficienza-efficacia sono le disfunzioni della P.A..
Il sistema delle burocrazie pubbliche pone a carico delle imprese e dei cittadini i suoi costi ed i suoi ritardi: effetti entrambi intollerabili di una cultura dell'amministrazione più di tipo borbonico che mittel-europeo.
Secondo l'ISTAT le imprese con più di tre addetti spendono in "burocrazia" 22.500 miliardi di lire ogni anno, pari all'1% del totale dei costi aziendali, sia utilizzando personale dipendente, sia ricorrendo a consulenze esterne.
L'elefantiasi dei controlli formali e l'enciclopedismo della certificazione richiesta sono del tutto "alieni" rispetto alla cultura ad esempio dell'ENA francese ed a quella di altri Paesi europei.
La nostra P.A. è ancora incapace di dialogare con se stessa sia a livello centrale (tra ministeri ed altre istituzioni nazionali) che locale (tra comuni regioni, province Asl etc..) a causa del ritardo nella realizzazione di un unico sistema informativo, obiettivo che sarà realizzato solo tra alcuni anni con la carta d'identità elettronica.
Quali le conseguenze? Un intollerabile allungamento dei tempi necessari ad avviare una attività economica e di quelli connessi con gli adempimenti ricorrenti: fattori tutti che portano a disincentivare scelte di investimento nel nostro Paese.
Adeguare l'apparato pubblico alla nuova realtà economica e sociale del Paese realizzando un sistema di rapporti tra istituzioni ed economia che:
- aumenti l'autonomia e la responsabilità di governo attraverso il potenziamento delle funzioni di indirizzo e controllo e il contestuale decentramento delle funzioni gestionali;
- rilanci le autonomie locali attraverso l'attribuzione alle stesse di strumenti necessari ad assolvere alla loro funzione di legislazione e di indirizzo sul territorio;
- promuova il mercato combattendo i monopoli e stimolando la concorrenza sia nelle attività economiche, che nell'offerta di servizi pubblici;
- promuova l'innovazione e l'imprenditoria;
- garantisca la rappresentatività delle formazioni sociali;
- aumenti l'efficienza dell'amministrazione pubblica.
In sintesi, le imprese devono poter contare:
- sulla stabilità dei Governi per pianificare i loro investimenti senza rischi di inversioni di rotta nelle politiche di bilancio le quali soprattutto negli ultimi anni, non rispettando le programmazioni pluriennali per il rilancio delle attività economiche, sottraggono risorse stanziate precedentemente attraverso le rimodulazioni dei capitoli di spesa;
- su un riordino delle competenze, delle funzioni e delle autonomie istituzionali per ovviare all'incertezza che comporta la conflittualità e la confusione di rapporti tra i vari livelli politico amministrativi;
- sull'unicità del mercato e su regole uniformi a tutela della concorrenza e della libertà di iniziativa economica;
- sul buon funzionamento delle strutture regionali soprattutto dopo il decentramento di competenze, materie e funzioni da parte dello Stato, che va potenziato in ragione della prospettiva europea, rilanciando l'intero sistema degli enti locali in risposta alle esigenze dei cittadini.
Da ultimo occorre evitare il rischio che per ridurre il numero delle leggi si finisca per introdurre nuove regolazioni e complicazioni burocratiche.
PROPOSTA 13: Ottimizzare il contesto giuridico
È necessario concentrare l'attenzione non solo sulle normative di settore, per aggiornarle ma anche su quelle che trattando temi collaterali che risultano di fatto condizionanti per il posizionamento delle imprese sul mercato ma anche su quelle che incidono sul contesto in cui opera l'impresa.
Vanno tarate le regolamentazioni in materia di igiene degli alimenti o di sicurezza degli impianti perché mal si adattano alla realtà imprenditoriale italiana costituita in prevalenza da piccole aziende.
In campo ambientale, è necessario ricercare soluzioni che, pur riconoscendo valore primario alla difesa dell'ambiente, proteggano la competitività del sistema economico, anche al fine di evitare distorsioni di mercato e della concorrenza all'interno della UE.
Le politiche di settore non possono prescindere dal ricorso a strumenti di sostegno indirizzati a rafforzare le strategie di crescita delle imprese, quali lo sviluppo di reti, l'introduzione di nuove tecnologie, il miglioramento della logistica, il consolidamento di formule associative.
Tra i pochi strumenti in campo è necessario utilizzare al meglio quelli che hanno dato prova di buon funzionamento, quali ad esempio la legge 488/92 che tuttavia deve essere maggiormente tarata sulle esigenze dei settori del commercio e del turismo e dotata di adeguate risorse.
La sicurezza alimentare
Entro il 2002 l'intera legislazione di settore sarà ridefinita con l'emanazione di 84 nuovi provvedimenti, tra direttive e norme regolamentari.
In questo quadro la nostra presenza ai tavoli comunitari deve essere maggiormente incisiva perché le scelte che si faranno avranno conseguenze dirette sul riposizionamento delle imprese della distribuzione nel mercato, sulla tutela delle produzioni tipiche nazionali e sulle stesse nostre tradizioni gastronomiche.
È necessario che si superi la logica di provvedimenti acritici, il cui termine di riferimento è rappresentato genericamente "dall'industria alimentare", e che il commercio e la somministrazione di alimenti siano considerate per la specificità del loro ruolo e del loro peso nel mercato.
La strada è quella di differenziare le procedure di controllo ed autocontrollo in base alle reali potenzialità produttive, al potenziale profilo di rischio e di definire livelli di responsabilità certi e parametrati al ruolo svolto nella filiera.
Una positiva esperienza si è registrata a livello di legislazione regionale, con i provvedimenti attuativi dell'HACCP - che hanno distinto tra manipolazione più semplice, finalizzata alla vendita o alla somministrazione, e manipolazione più complessa, con l'utilizzo di processi di trasformazione - che dovrebbero costituire le linee guida della posizione del nostro Paese a livello comunitario.
Per quanto riguarda i prodotti geneticamente modificati, va superata la logica della contrapposizione tra fautori e critici di questi prodotti ricollocando il consumatore al centro dei processi decisionali. È necessario garantire libertà di scelta sostenuta da una efficace informazione scientifica e da un sistema di etichettatura dei prodotti che le consenta una immediata individuazione.
PROPOSTA 14: Sistema di qualificazione delle imprese nei servizi
Il settore dei servizi richiede, nel momento attuale, un'attenzione specifica rivolta al suo consolidamento nel mercato nazionale.
In particolare per le piccole e micro imprese, che costituiscono il gruppo numericamente più notevole del comparto, è vitale trovare una forma di riconoscimento che le qualifichi, separandole dall'insieme indifferenziato e instabile di soggetti attivi nel settore.
Mentre, da una parte, il metodo dell'intervento legislativo, che in passato ha portato alla creazione di albi e registri di attività e professioni, è ormai superato, dall'altra il processo di certificazione aziendale tramite il sistema ISO 9001 2000 comporta però un impegno molto elevato per le imprese di minori dimensioni.
Salvando comunque il criterio di riferimento a uno standard, appare opportuna la creazione di un sistema di qualificazione che attesti che l'impresa ha raggiunto un livello preliminare, anche se non pienamente conforme alla norma.
Tale attestazione, oltre a favorire un primo approccio alla certificazione aziendale, costituirebbe anche un mezzo utile allo sviluppo e al consolidamento delle aziende più preparate.
È necessario che il Ministero dell'Industria, di concerto con l'UNI, elaborare uno standard semplificato di sistema di gestione aziendale, adeguato alle capacità e alle esigenze delle imprese dei servizi di minori dimensioni, al fine di pervenire a un attestato aziendale specifico e ufficialmente riconosciuto, che sia anche un primo passo in vista di una possibile conformità allo standard pieno ISO 9001-2000.
PROPOSTA 15: La riforma della riforma commerciale
È ormai tempo di affrontare il nodo della revisione del decreto legislativo 114/98 senza pregiudizi.
Le anomalie e le storture contenute nel decreto, infatti, sono di palmare evidenza e rischiano di compromettere lo spirito innovativo della riforma.
Alcune di queste, come il subingresso, sono state affrontate con soluzioni interpretative al limite della legalità, ma altre, come una migliore graduazione delle sanzioni e l'applicabilità della recidiva ad alcune ipotesi sanzionatorie oggi non prevista, restano insormontabili se prive di un adeguato supporto normativo.
Occorre pertanto abbandonare ogni residuo timore di improbabili "restaurazioni" per scendere sul terreno della risoluzione delle questioni concrete che, oltretutto, sono necessarie per assicurare una reale tutela dei consumatori come ad esempio in materia di pubblicità dei prezzi.
La riforma della legislazione urbanistica
Un altro degli aspetti evidenziati dal processo di recepimento della riforma del commercio è costituito dalla inadeguatezza degli strumenti esistenti per la modifica degli strumenti urbanistici.
Le lentezze registrate in questi mesi sono infatti per lo più imposte dalla necessità del rispetto di tempistiche proprie della legislazione urbanistica che ha finito con il condizionare oltre misura le scelte delle regioni e, in questa fase, costituisce l'ostacolo principale che si trovano ad affrontare le amministrazioni comunali per la definizione dei piani di loro competenza.
In tale contesto scarsi effetti hanno sortito le pur lodevoli semplificazioni procedurali messe in campo da alcune regioni né, parimenti, possono dirsi soddisfacenti meccanismi puramente e semplicemente sostitutivi.
L'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, peraltro richiesto dall'articolo 6 del D.Lgs. 114/98, dovrà avvenire attraverso una attenta e puntuale fase di ricognizione della struttura distributiva presente nel territorio comunale, con i necessari inquadramenti analitici di sistema riferiti ad una visione sovracomunale, con la valutazione sia degli aspetti critici esistenti sia dei livelli di servizio offerti ai cittadino, allo scopo di pervenire all'individuazione delle più opportune linee di sviluppo urbanistico della rete commerciale locale.
Ai fini della individuazione delle aree idonee ad ospitare insediamenti commerciali la prassi urbanistica comunale dovrebbe essere pertanto supportata da appropriate indagini conoscitive di carattere urbanistico-territoriale, trasportistico, economico, demografico (con riferimento alla popolazione residente e fluttuante), di reddito commerciale (con analisi riferite ai sistemi di piccola, media e grande distribuzione esistente).
PROPOSTA 16: Politiche per il Settore del Turismo
Nei prossimi anni a livello mondiale il settore del turismo acquisterà sempre maggiore importanza, ed al fine di rendere il nostro paese competitivo è necessario individuare un modello di sviluppo del turismo italiano trasparente, democratico e pluralista che permetta, quindi a tutte le imprese, anche le piccole, di coglierne le opportunità di crescita.
A tal fine si devono affrontare e risolvere alcuni nodi fondamentali.
La riforma delle regole
La riforma della legge quadro, approvata in questo fine di legislatura dal Parlamento, non basta per dare un assetto diverso al settore e per consentirgli un percorso di sviluppo vincente. Può essere considerata uno strumento di definizione degli indirizzi di politica generale in materia di turismo e cornice per l'emanazione di necessari e conseguenti atti di indirizzo e di coordinamento, ma non può, da sola, accelerare indispensabili processi di sburocratizzazione e non può cogliere le tante specificità territoriali.
La destatalizzazione della cultura e dei programmi
È necessario trasferire più poteri dal centro al territorio (dove operano molti attori e le concertazioni sono più complesse e locali), ma il decentramento deve essere caratterizzato da una chiara divisione di potere tra Stato, Regioni, Province e Comuni.
Una politica fiscale per lo sviluppo
La leva fiscale assume sempre un ruolo rilevante nelle politiche di sostegno allo sviluppo. Una minore pressione fiscale su famiglie ed imprese libere risorse per investimenti e consumi, creando nuova occupazione.
Un mercato del lavoro a misura del turismo
Le regole del mercato del lavoro devono consentire alle imprese di adeguarsi tempestivamente alle sollecitazione del mercato. Se non si ha la forza (o la volontà) di cambiare le regole si lasci alle parti sociali la necessaria flessibilità per determinarne i requisiti essenziali.
Occorre inoltre introdurre misure strutturali stabilendo per le erogazioni salariali eccedenti la retribuzione contrattuale fasce di contribuzione consistentemente più basse rispetto all'aliquota ordinaria.
Per il settore è importante, inoltre, la formazione degli addetti che deve però essere sviluppata con meccanismi più semplici nell'accesso alle fonti di finanziamento e deve poter essere estesa anche ai lavoratori stagionali. Un ruolo importante può avere una formazione mirata per i lavoratori extracomunitari, che sono sempre più frequentemente impiegati dalle imprese.
Incentivi per gli investimenti
Bisogna ridimensionare le procedure burocratiche, previste dalla legge 488/92, per renderle praticabili anche alle piccole e medie imprese.
Occorre, inoltre, spostare risorse sui meccanismi automatici (tipo art.11 legge 449) e sul "de minimis", individuando nuovi fabbisogni aziendali.
Un credito al servizio delle idee
Una vera sfida per il futuro è quella di un credito che associa le garanzie non più solo sui patrimoni, ma anche e prevalentemente alle idee e ai progetti imprenditoriali.
Un turismo sostenibile
È indispensabile favorire e promuovere processi a sostegno di un'implementazione nell'impresa di livelli di qualità ambientali maggiori (es. raccolta differenziata di rifiuti, utilizzo energie alternative, ecc.), ma questi processi devono essere inseriti in una logica di sostenibilità dell'intera destinazione turistica in cui la singola impresa è collocata, favorendo la concertazione e istituendo partenariati tra pubblico e privato.
La sicurezza come fattore competitivo
Occorre un lavoro capillare di prevenzione e di controllo del territorio. In particolare le misure urgenti sono due:
- restringere le maglie del controllo dell'immigrazione creando maggiori e più coordinati supporti strategici di contrasto;
- intensificare l'opera di vigilanza 24 ore su 24 ore non solo nelle grandi aree metropolitane, ma anche nei piccoli centri.
Obiettivo sicurezza alimentare
Al fine di tutelare il patrimonio enogastronomico del nostro paese si ritiene urgente la definizione della prevista Authority europea sulla sicurezza alimentare, ma ancora più importante è l'immediata costituzione di un analogo organismo indipendente e qualificato italiano.
Il turismo nella programmazione europea
Il turismo è uno tra i settori per i quali non è previsto un diretto intervento dell'Unione Europea.
È indispensabile promuovere, già dalla Presidenza Belga nel secondo semestre dell'anno in corso, alcune azioni che Parlamento e Commissione possono porre in essere, quali:
- individuazione di un programma quadro pluriennale per il turismo in grado di sviluppare obiettivi connessi alla creazione di condizioni di mercato più favorevoli per lo sviluppo delle imprese, alla modernizzazione e al rafforzamento dell'efficienza delle infrastrutture turistiche sia hard (porti, aeroporti, ecc.) che soft (reti di imprese, marchi di qualità, ecc.) alla valorizzazione di risorse umane, all'incoraggiamento dello sviluppo sostenibile del turismo come risorsa dei territori;
- la definizione di orientamenti politici per il settori espressi dalla Commissione e dagli Stati Membri, di cui tener conto nelle scelte politiche che a vario titolo impattano sul settore;
- il rafforzamento del processo di consultazione con le organizzazioni imprenditoriali di settore a livello europeo.
PROPOSTA 17: Le Infrastrutture, la politica energetica e dei trasporti
Attualmente fatta uguale a 100 la dotazione di infrastrutture produttive (trasporti, comunicazioni, energia ed istruzione professionale) a livello U.E. l'Italia ha un parametro di 90 ed è inferiore di circa due terzi a quelle della Francia e della Germania ed è al 50% rispetto a Belgio e Lussemburgo.
L'ampiezza di questo ritardo dipende essenzialmente dal Mezzogiorno il cui livello di dotazione infrastrutturale è pari al 60% del livello medio italiano ed al disotto del 50% di quello delle regioni settentrionali, dove soltanto Liguria e Lombardia hanno livello paragonabili alle regioni europee più sviluppate.
Per quanto riguarda poi la qualità delle infrastrutture (secondo studi condotti dal World Economic Forum) l'Italia si collocherebbe, soprattutto per la ridotta manutenzione delle infrastrutture territoriali, agli ultimi posti nella graduatoria dei Paesi sviluppati.
La dotazione infrastrutturale italiana, utilizzando i dati sullo stock di capitale rapportati alla popolazione, si presenta con luci ed ombre.
La quota media pro-capite italiana, calcolata in dollari USA sulla base delle parità di potere d'acquisto del 1990, è di oltre 8.700 dollari, inferiore di oltre l'11% rispetto alla Germania e di oltre il 25% rispetto alla Finlandia, ma superiore del 6% rispetto alla Francia.
In realtà è proprio in alcuni specifici settori, quelli strettamente connessi alle nuove tecnologie, che il gap con i principali competitors dell'Italia diventa più consistente.
Nel comparto dei prodotti chimici, all'interno del quale si colloca il polo innovativo dell'industria farmaceutica, la dotazione italiana di capitale per abitante è inferiore: di circa il 48% rispetto alla Germania, di quasi il 46% rispetto alla Francia e di oltre il 41% nei confronti della Finlandia.
Allo stesso modo, nel settore strategico dell'informatica e degli strumenti di precisione, il confronto con la Germania, evidenzia una dotazione inferiore di oltre il 47%, che sale a più del 50 % nel comparto della produzione di mezzi di trasporto.
Per la produzione di energia elettrica l'Italia è in ultima posizione in termini di dotazione di capitale pro-capite, con divari intorno al 50% con Svezia e Finlandia e superiori al 20% con Germania e Regno Unito, mentre in confronto alla Francia il gap è contenuto all'8%.
Nel settore dei trasporti e delle comunicazioni la dotazione infrastrutturale italiana ha un distacco dalla Francia e dalla Germania del 5%.
La Politica Energetica
Il quadro generale del comparto elettrico appare caratterizzato da uno stato di estrema confusione, a causa della mancanza di coordinamento tra i principali attori dell'avviata liberalizzazione ed a causa della contraddittorietà dei provvedimenti che ne sono alla base.
Da evidenziare, la macchinosità imposta dalle nuove norme al Gestore della Rete Nazionale ed agli operatori di mercato per l'accesso alle reti , lo stato di indeterminazione nella quale si trova ancora l'istituenda Borsa dell'Energia, i notevoli ritardi con cui l'Enel sta procedendo alla dismissione delle tre centrali (Eurogen, Elettrogen, Iterpower).
Parlare di liberalizzazione dell'energia quando il solo soggetto che può soddisfare la domanda coincide con il detentore del monopolio è sicuramente velletario, nè può essere condivisa la decisione che, per ovviare a tale situazione, venga immessa sul mercato energia prodotta da fonti alternative che viene poi rivenduta a prezzi inferiori a quelli di acquisto.
In tal modo si ripristinano di fatto vecchie aree di previlegio e si penalizza il mercato vincolato che, dopo aver subito il costo economico di tale produzione, paga in bolletta anche gli oneri conseguenti alla sua vendita al consumo. Inoltre, viene compromessa la possibilità di realizzare politiche tariffarie coerenti con un sistema di costi certo e rispondente alle esigenze delle imprese del Terziario.
Da questa situazione ne deriva che il produttore nazionale è di fatto disincentivato ad investire in generazione e nello sviluppo delle reti, non esiste un mercato articolato e compiuto, la liberalizzazione non trova equilibrio fra domanda ed offerta e la Borsa dell'Energia non risolverà ma aggraverà la situazione.
Sul versante tariffario va segnalato in positivo il nuovo orientamento dell'Enel che sta ponendo maggior attenzione alle esigenze delle imprese del Terziario con la previsione di "Opzioni tariffarie speciali" per consumi stagionali o a potenza variabile. Per contro va segnalato che, a causa del ritardo con il quale si procede alla vendita delle centrali elettriche, di fatto, le imprese del Terziario sono escluse dal libero mercato dell'energia, vanificando la previsione del Collegato alla Legge Finanziaria del 2000.
Le infrastrutture per la mobilità delle persone e delle merci
Il libro bianco sulla politica dei trasporti ipotizza che il trasporto merci aumenterà entro il 2010 del 40% e che la parte più rilevante sarà soddisfatta dalla mobilità stradale che resterà protagonista per i prossimi 10 anni. I contenuti del libro bianco trovano conferma sul P.G.T. che prevede nel suo alto scenario una crescita del trasporto merci via strada del 30%.
Scelte strategiche del commissario ai trasporti della U.E. Loyola de Palacio per fronteggiare l'incremento massiccio di traffico il potenziamento delle modalità alternative alla strada e la ricerca di un maggior sicurezza che non può prescindere da interventi sulla mobilità.
Il Piano Generale dei Trasporti quantifica in oltre 74.000 miliardi gli interventi necessari per il superamento delle strozzature presenti nel nostro sistema viario e per la realizzazione di infrastrutture finalizzate ad una integrazione delle reti di trasporto ed allo sviluppo della logistica.
Tuttavia, non vengono individuati strumenti legislativi che consentano il passaggio dalla fase di programmazione alla esecuzione delle opere in tempi ragionevolmente brevi ed è dedicata scarsa attenzione alle opportunità di coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione delle grandi infrastrutture.
Nel Piano si fa riferimento alla finanza di progetto ma non vengono definiti i presupposti per una sua applicazione concreta e per garantire contemporaneamente l'impiego di risorse pubbliche e di risorse private. Occorre che tale strada venga perseguita con più decisione perchè è evidente che un'opera di ammodernamento complessivo sarà possibile solo se lo Stato ridimensionerà il suo ruolo nella gestione di iniziative di interesse pubblico.
Potenziare le infrastrutture, eliminando i punti di congestione e determinare condizioni di pari opportunità a livello operativo, evitando l'insorgere di fenomeni distorsivi per la concorrenza che si ripeteranno soprattutto con l'allargamento dell'area U.E., sono interventi fondamentali per evitare che le merci italiane vengano emarginate dai mercati europei, causa l'impossibilità a garantire la consegna in tempo reale per gli impedimenti determinati dalla velocità commerciale, tra le più basse d'Europa, e il costo della "tassa sulle Alpi". L'attraversamento pesa sull'autotrasporto per 1000 miliardi.
Ai fini suddetti occorrerà agire su due fronti:
- livello europeo
- rinegoziando la mobilità tenendo conto delle difficoltà dovute dalla posizione marginale del nostro Paese;
- omogeneizzando la normativa sull'orario di lavoro, sui tempi di guida e di riposo, da applicarsi a tutti i conducenti dei mezzi commerciali pesanti;
- introducendo forme di controllo da realizzare anche attraverso la predisposizione di aree di sosta e di controllo;
- uniformando il costo del lavoro a livello europeo.
- livello nazionale
- realizzando interventi sulle infrastrutture che separino il traffico pesante da quello leggero;
- modificando radicalmente i processi decisionali sulla realizzazione delle infrastrutture in modo da limitare interventi locali;
- adeguando i costi e le condizioni operative delle imprese nazionali a quelle in atto in Europa;
- sostituendo le tariffe di legge con un sistema di prezzi liberamente concordati tra le parti, nel pieno rispetto delle sole norme che concorrono a determinare condizioni di sicurezza per tutti;
- completando la riforma della legge 298/74 su:
- albo autotrasportatori (sostituzione di un organismo senza poteri autonomi con un consiglio superiore dei trasporti e della logistica;
- erogando incentivi per determinare convenienze per le imprese che si raggruppano
- regole di accesso al mercato e alla professione (introducendo criteri europei la cui applicazione debba essere rigorosamente verificata).privilegiando l'introduzione di sistemi informativi per il controllo costante dei mezzi in circolazione e per una migliore razionalizzazione dei traffici realizzando, attraverso Internet l'incontro in tempo reale della domanda con l'offerta di trasporto.
Distribuzione delle merci nei centri urbani
Esigenze di tutela ambientale, di razionalizzazione della distribuzione commerciale e di riqualificazione dei centri storici sollecitano la realizzazione sul breve medio periodo di interventi delle Amministrazioni locali, sulla base di un'approfondita valutazione della dinamica dei movimenti delle merci ed a seguito della regolare consultazione di tutte le parti coinvolte.
C'è bisogno in tal senso di un adeguato coordinamento fra Organi centrali e periferici dello Stato per la realizzazione di infrastrutture "dedicate" (centri merci, piattaforme logistiche, magazzini centrali) al trasferimento all'esterno delle città delle operazioni di raccolta, stoccaggio e smistamento delle merci.
A tal fine le incentivazioni dalla Legge n. 454/97 per investimenti innovativi o per la realizzazione di aree attrezzate per l'interscambio e lo stoccaggio delle merci in favore degli autotrasportatori professionali, dovrebbero essere estese alle imprese commerciali che gestiscono processi di logistica distributiva favoriscano iniziative congiunte fra utenti ed autotrasportatori.
Per il rinnovo del parco con autoveicoli a basso impatto ambientale, vanno estese agli autoveicoli per la distribuzione le incentivazioni previste dal Decreto 27 marzo 1998 del Ministero dell'Ambiente in favore degli Enti locali e degli Enti gestori dei servizi di pubblica utilità.
PROPOSTA 18: L'innovazione tecnologica e la società dell'Informazione
Al fine di assicurare uno sviluppo armonico della Società dell'Informazione sono necessari:
- controlli più accurati, maggiori mezzi alle forze di Polizia e l'applicazione delle leggi esistenti;
- riferimenti europei per disciplinare Internet;
- interventi, in sede europea per richiedere reciprocità nell'applicazione delle regole riguardanti la liberalizzazione ed i processi di privatizzazione nel campo delle TLC al fine di assicurare un coerente quadro competitivo e di mercato;
- un forte impulso ai programmi per il superamento dello skill-shortage. Favorire l'accesso alle nuove tecnologie da parte dei giovani e delle fasce di popolazione con problemi in termini di mobilità. La popolazione anziana od affetta da problemi di mobilità dovrebbero non essere marginalizzate dalle nuove tecnologie ed, anzi, poterle utilizzare come supporto, ad esempio nei rapporti con le pubbliche amministrazioni o nel completamento dei cicli di istruzione;
- incentivi alle imprese per l'utilizzazione delle nuove tecnologie, possibilmente creando programmi che siano in grado di massimizzare l'impatto in termini di numero di soggetti coinvolti;
- investimenti nelle grandi infrastrutture tecnologiche che debbono anch'essi seguire il criterio di un loro utilizzo effettivo (no a nuove cattedrali tecnologiche nel deserto). Solo in questo modo, infatti, Internet entrerà effettivamente a far parte della vita economica e sociale italiana e verrà creata quella massa critica in grado di permettere l'ulteriore sviluppo dei servizi della Società dell'Informazione;
- programmi tesi a favorire l'imprenditorialità giovanile e le aziende "start-up" specie per quanto riguarda il capitale di rischio. Favorire la ricerca e l'innovazione e il settore dei contenuti multimediali. È necessario agevolare l'incontro tra nuove iniziative e venture-capital attraverso opportuni programmi di incentivazione e di servizio, compresa una riduzione degli oneri fiscali sul capital gain;
- prosecuzione dei progetti tesi ad introdurre Internet nella P.A. (e-government) e negli enti locali, si tratta di azioni che concorrono alla creazione di quel quadro di Internet globale che, almeno per l'attuale stato dell'arte tecnologico è una delle componenti fondamentali della Società dell'Informazione. Non si tratta solo di perseguire l'efficienza della P.A. quanto di renderla compatibile con le esigenze delle imprese e dei cittadini.
Si tratta di alcune proposte "di scenario" certamente da valutare e discutere ma che riteniamo come possibili strade per l'affermazione di Internet e dell'e-commerce come componenti fondamentali dell'attuazione, anche in Italia, del concetto di "Società dell'Informazione".
PROPOSTA 19: L'immigrazione
Altro nodo da sciogliere in termini progettuali è quello dell'immigrazione dato che in Italia attualmente il 3% della popolazione è immigrata nel corso degli anni novanta.
Problemi irrisolti sono quelli concernenti il loro inserimento sociale e nel mondo del lavoro.
Il nostro Paese evidenzia forti lacune in termini di capacità gestionale dei flussi migratori e soprattutto di razionalizzazione nell'impiego delle risorse umane disponibili e nell'attivare effettive politiche di accoglienza per l'immigrazione regolare.
Del tutto insoddisfacente è l'azione per contenere l'immigrazione clandestina ed i fenomeni malavitosi che l'accompagnano.
La presenza sempre più invasiva dell'immigrazione clandestina dimostra che anche le leggi varate negli ultimi anni non sono state in grado di raggiungere gli obiettivi primari in quanto gli strumenti, in buona parte, restano virtuali, sulla carta, allo stadio di progetto, di fatto inapplicati e forse inapplicabili.
È necessario quindi ripensare alcuni aspetti della normativa ed adottare una programmazione più decisa degli interventi che non siano, comunque, lesivi dei diritti dell'uomo, in particolare per quanto riguarda il diritto di asilo, e di ciò che prevede l'impianto costituzionale della nostra Repubblica.
PROPOSTA 20: La sicurezza e l'abusivismo
Il tema della sicurezza dei cittadini e delle attività imprenditoriali, rimasto peraltro accantonato durante tutta la legislatura, è tornato nell'agenda parlamentare più per effetto della spinta emotiva suscitata dal moltiplicarsi di episodi delittuosi che spesso hanno visto vittime i piccoli imprenditori commerciali che per effetto di una scelta strategica. Due fra le regioni più colpite dal fenomeno, Lombardia e Veneto, hanno nel frattempo adottato iniziative legislative specifiche per contrastare il fenomeno anticipando il legislatore nazionale e dimostrando anche sotto questo profilo l'ineluttabilità del federalismo.
Per quanto riguarda il fenomeno dell'abusivismo, le dimensioni raggiunte e l'ampiezza dei soggetti coinvolti, rendono indispensabile perseguire linee di azione più incisive senza dimenticare che si può garantire l'efficace applicazione della normativa in materia di contraffazione solo mediante un reale controllo sulle attività illecite ed una effettiva cooperazione tra le autorità, interne ed extranazionali. Nel nostro ordinamento, esistono le norme per reprimere tale fenomeno tanto in sede penale che civile; di fatto, però si incontrano concrete difficoltà applicative, lungaggini procedimentali, difficoltà di individuare la fattispecie violata, limiti all'adozione di misure cautelari quali il sequestro e la distruzione della merce contraffatta, difficoltà di provare il danno subito e di quantificarlo.
Per contrastare l'abusivismo e la contraffazione dei prodotti, fenomeni che arrecano danni rilevanti al sistema economico in termini di erosione del fatturato, in termini di alterazione delle regole della concorrenza, in termini di riduzione dei posti di lavoro, è necessario procedere seguendo due distinte vie: procedere ad un riassetto del quadro normativo (regolamentazione puntuale delle possibili violazioni e semplificazione delle procedure repressive di accertamento);istituire una sorta di concertazione tra istituzioni, imprese e consumatori attraverso la creazione di un Osservatorio dei fenomeni relativi alla contraffazione, l'abusivismo e la pirateria.
Sondaggio Confcommercio-Cirm sui temi di politica economica. Popolazione e Imprese del terziario di mercato (sintesi per la stampa)
La CONFCOMMERCIO ha commissionato al CIRM una indagine campionaria rappresentativa delle opinioni della popolazione italiana (con età compresa tra 18 e 74 anni) su alcuni problemi politici, economici e sociali di grande attualità.
Analogamente è stato condotto un sondaggio presso le imprese che operano nell’area del terziario di mercato (commercio, turismo, trasporto e servizi), per sentire direttamente le valutazioni degli imprenditori sugli stessi argomenti.
Risultati del sondaggio presso la popolazione italiana
Occorre sottolineare che su molti degli argomenti trattati, soprattutto su quelli più tecnici sui quali la popolazione è meno informata, si osservano elevate quote di persone che non esprimono una opinione.
In primo luogo si è chiesto alla popolazione italiana di esprimere il proprio giudizio, attraverso un voto da 1 a 10, relativamente all’operato dell’attuale governo con riferimento ad alcuni temi specifici.
Complessivamente i risultati ottenuti evidenziano come la metà della popolazione esprima giudizi intermedi, senza estremi negativi o positivi. Una quota rilevante assegna voti sicuramente sfavorevoli, mentre sono in pochi ad esprimere pareri di eccellenza.
In particolare i temi su cui il campione ha espresso maggiore insoddisfazione sono l’immigrazione e la questione del Mezzogiorno (hanno risposto in tal senso rispettivamente il 54% ed il 44% della popolazione), seguiti da sicurezza (43%), abusivismo (42%), pensioni (41%) e occupazione (38%).
Secondo il giudizio degli italiani tra le priorità da affrontare entro l’anno al primo posto vi sono l’occupazione (soprattutto per gli abitanti del Centro-Sud) e le pensioni, seguite da fisco, immigrazione e sicurezza.
Il 70% degli intervistati ritiene, inoltre, giusto il coinvolgimento delle forze economiche e sociali del Paese nelle questioni di tradizionale pertinenza del mondo politico.
Dall’indagine emerge tuttavia che il 69% della popolazione italiana (quota che sale all’81% nel Nord-Est) ritiene che i programmi dei partiti nella campagna elettorale non siano chiari e comprensibili.
Entrando nel dettaglio delle domande relative a temi di politica economica, in tema di politica fiscale un terzo della popolazione non esprime opinioni. In particolare, però, quasi il 50% degli italiani ritiene che si debba ridurre di oltre 4 punti percentuale l’aliquota Irpef. Tale percentuale sale al 60% quando si tratta di ridurre (24,7%) o abolire (34,4%) l’IRAP.
Per quanto riguarda invece le imposte locali il 60% della popolazione ritiene che debba essere ridotta l’ICI ed il 23,2% la tassa sui rifiuti.
In tema di lavoro ed in particolare in riferimento alla concertazione per la stesura dei contratti la popolazione che esprime un giudizio si è equamente ripartita tra coloro che ritengono indispensabile la mediazione del Governo (39,2%) e coloro che ritengano debba avvenire solo tra le parti sociali (37,7%).
Con riferimento alla flessibilità oltre il 40% del campione non ritiene ancora valide le norme sullo statuto dei lavoratori che regolano l’ingresso e l’uscita dal mondo del lavoro, mentre una quota elevata di persone (22,7%) non esprime una opinione non essendo probabilmente sufficientemente informata.
In riferimento al problema del Mezzogiorno il 48% della popolazione ritiene efficace la flessibilità di tasse e salari quale strumento per rilanciare l’occupazione.
In materia di federalismo, inteso come decentramento dei poteri a Regioni e Comuni, la maggioranza degli italiani (65,5%) si è dichiarata favorevole; tuttavia il parere è difforme sul territorio: nel Nord è favorevole il 74% della popolazione, mentre nel Mezzogiorno la percentuale scende al 54%.
D’altra parte, però la maggioranza degli italiani (67%) ritiene che la burocrazia locale sia un freno allo sviluppo delle attività economiche.
Per temi più strettamente economici, si è chiesto agli italiani perché è difficile il rapporto tra piccole e medie imprese e banche; le cause sono da imputare per il 50% della popolazione alla scarsa sensibilità delle banche alle esigenze del mondo imprenditoriale.
In materia di monopoli la popolazione si è espressa favorevolmente sulla privatizzazione di alcuni servizi di pubblica utilità, quali la televisione di Stato, l’energia, i trasporti ed le infrastrutture; anche se è stata riscontrata una fascia significativa di persone che non esprimono una opinione. Anche per quanto riguarda la legge Bersani sul commercio, la metà della popolazione non esprime opinioni non essendo informata, mentre circa il 30% ritiene necessarie delle modifiche.
L’immigrazione è un tema di grande importanza per gli italiani, rispetto al quale il 75% della popolazione è favorevole ad un rigido contingentamento negli ingressi e la posizione è particolarmente accentuata nel Nord del Paese. Inoltre il 76% della popolazione si ritiene insoddisfatta delle azioni intraprese dal governo per combattere l’immigrazione clandestina.
Altra questione sociale di rilievo è la sicurezza. Per gli italiani le aree in cui il sistema di sicurezza è più carente sono l’usura ed il racket (27%), la vivibilità delle aree urbane e metropolitane (26%) e l’incolumità personale (23%). A livello territoriale l’usura ed il racket sono maggiormente avvertite come problema al Sud (35%), mentre la questione della vivibilità nelle città costituisce una priorità nel Nord Ovest (31%).
Per quanto riguarda l’abusivismo e contraffazione dei prodotti il 71% della popolazione ritiene che finora non sono stati combattuti efficacemente.
L’ultimo tema trattato è quello dell’innovazione tecnologica per il quale la maggioranza degli intervistati (51%) ritiene insufficiente l’azione del Governo.
A complemento dell’indagine si è chiesto quale possa essere il modello di Stato in grado di dare stabilità alla politica e al paese. Il 41% degli italiani si è espresso per una repubblica parlamentare riformata, anche se nel Nord crescono le indicazioni per il presidenzialismo basato sul modello americano.
Risultati del sondaggio presso le imprese del terziario
Sull’operato del governo nell’ambito di alcuni importanti temi (fisco, occupazione, riforma del commercio, politica del turismo, pensioni, Mezzogiorno, flessibilità del lavoro, immigrazione, sicurezza, abusivismo, infrastrutture e privatizzazioni), il 50% degli intervistati esprime nel complesso valutazioni intermedie con giudizi, su scala scolastica, che variano da 4 a 7. Rilevante è la quota (circa il 40%) di chi decisamente assegna all’operato del governo un giudizio negativo, mentre voti eccellenti sono stati espressi da una quota marginale di intervistati.
Esaminando lo specifico dei diversi problemi, sull’operato del governo in materia di fisco e immigrazione si concentrano i giudizi più sfavorevoli (rispettivamente il 44% e il 43% degli intervistati di tutti i settori) registrati con una intensità maggiore soprattutto presso le aziende del turismo e del commercio. A livello territoriale i giudizi negativi sul fisco sono espressi al Sud (48%) e quelli relativi all’immigrazione nel Nord-Ovest e nel Centro (oltre il 44%). In tema di immigrazione la maggioranza degli intervistati (85%) è favorevole ad un rigido contingentamento degli ingressi.
In tema di sicurezza l’operato del governo viene percepito negativamente da circa il 38% degli intervistati; in particolare dalle aziende del Centro (42%) e del Sud (38,5%), mentre a livello settoriale sono le imprese del turismo a esprimere un numero maggiore di giudizi negativi (42 %) rispetto agli altri settori. Nel sistema della sicurezza l’usura e il racket (34,4%) sono ritenute le aree maggiormente carenti, seguite dall’incolumità personale (26,5%) e dalla vivibilità nelle aree urbane (25,7%).
Le valutazioni riscontrate in tema di occupazione e pensioni registrano un peso significativo dei giudizi decisamente negativi (37%) da associare a quello di una valutazione ritenuta insufficiente espressa dal 36% degli intervistati in ambedue i temi.
Oltre al giudizio sull’operato del governo si è chiesto agli intervistati di esprimere alcune posizioni su diversi temi economici.
Tra i problemi ritenuti prioritari e che dovrebbero essere affrontati entro la fine dell’anno, le aziende hanno indicato l’occupazione (57,5%) e il fisco (47,4%).
In materia di politica fiscale la maggioranza degli intervistati (70%), con particolare evidenza nel settore dei trasporti, ritiene che l’attuale pressione fiscale debba essere ridotta di oltre 4 punti percentuali, per una parte di questi (il 29%) la riduzione deve superare i 10 punti percentuali; quasi la metà degli intervistati ritiene, inoltre, che l’Irap vada abolita.
In tema di lavoro prevale tra le imprese (53%) la posizione che la concertazione per la stesura dei contratti debba avvenire solo tra le parti sociali, senza la mediazione del governo. Ampi consensi vengono espressi (57% degli intervistati) nel ritenere poco o per nulla valide le norme dello Statuto dei lavoratori che regolano l’ingresso e l’uscita dal mondi del lavoro, mentre la possibilità di avere tasse e salari flessibili nelle aree del Mezzogiorno è ritenuta efficace dal 61% delle aziende, in misura più o meno uniforme da tutti i settori del terziario. Poco o per nulla positiva viene giudicata da oltre l’80% del campione la politica del governo per far emergere l’economia sommersa.
Su temi strettamente politici emerge l’esigenza manifestata in maniera ampia (75% delle imprese) di avere programmi dei partiti chiari e comprensibili e l’opportunità (62%) che le questioni di tradizionale pertinenza del mondo politico siano affrontate anche da istituzioni economiche e sociali. Vi è, inoltre, un’ampia maggioranza (80%), più accentuata al Nord, favorevole al federalismo inteso come decentramento dei poteri a Regioni e Comuni e una larga esigenza tra le imprese del terziario di revisione dell’attuale modello di stato orientandosi per una quota significativa (44,8%) verso una repubblica presidenziale ed in misura minore (40,3%) verso una repubblica parlamentare riformata, ritenuti modelli che possono dare maggiori garanzie al cittadino.
Passando ad esaminare le valutazioni delle aziende sugli strumenti da utilizzare per lo svolgimento della loro attività, il 41% degli intervistati denuncia la scarsa sensibilità delle banche verso le esigenze delle piccole e medie imprese, il 79% vede le burocrazia come un pesante vincolo allo sviluppo, il 40% ritiene che la legge Bersani debba essere modificata; maggiore tutela ambientale e più infrastrutture al Sud sono ritenute indispensabili da oltre il 40% degli intervistati per lo sviluppo del turismo in Itali.
Maggiori interventi, inoltre, vengono richiesti per combattere l’abusivismo e la contraffazione dei prodotti verso cui si è fatto poco (79% delle aziende), nel campo della formazione in quanto il 75% degli intervistati ritiene che l’impegno del governo in materia è stato insufficiente e nel campo dell’innovazione tecnologica dove l’operato del governo è apprezzato solo dal 44% delle aziende.
Una posizione decisa viene espressa da quote di intervistati superiori al 65% circa la necessità di eliminare il monopolio statale nei servizi di pubblica utilità (elettricità, acqua, gas), Tv di stato, trasporti locali e ferroviari, grandi e medie infrastrutture. Su quest’ultimo tema le aree dove intervenire con urgenza sono l’inquinamento (57,3% del campione), la difesa del territorio (45,8%) e dell’equilibrio idro-geologico (36,7%).
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2001-03-30 | 2001-04-01 14.30
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