Intervento del Presidente Sangalli alla conferenza stampa di apertura della 13a edizione del Forum Confcommercio

Intervento del Presidente Sangalli alla conferenza stampa di apertura della 13a edizione del Forum Confcommercio

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23 marzo 2012

Anzitutto, benvenuti e grazie per avere accolto in così tanti il nostro invito a seguire i lavori del Forum Confcommercio-Ambrosetti di Cernobbio.

Siamo giunti alla sua tredicesima edizione, e si tratta, dunque, di un appuntamento ormai “classico”. La prerogativa dei “classici” è però quella di non perdere di attualità: è quella di restare capaci di spingere ad interrogarci tanto sulla storia che sta alle nostre spalle, quanto sui problemi dell’oggi e sulle prospettive future.

E’ un tipo di riflessione di cui ci sembra vi sia oggi particolarmente bisogno. Perché – nello scenario globale, in Europa e in Italia – restano molti ed irrisolti interrogativi sul come affrontare e superare crisi del sistema finanziario e dei debiti sovrani, crisi dell’economia reale e crisi sociale.

Sono gli interrogativi di cui discuteremo con autorevolissimi esponenti del mondo della ricerca economica, delle forze sociali e della politica, del governo.

L’elenco è davvero nutrito, e a ciascuno di loro va fin d’ora il nostro ringraziamento per il contributo all’approfondimento ed al confronto.

Un ringraziamento particolare mi sia comunque consentito al Presidente del Consiglio, il Senatore Mario Monti, il cui intervento, nel pomeriggio di sabato, segnerà la conclusione dei lavori di questo forum.

Il punto di partenza della discussione è, comunque, presto detto. Rispetto alla recessione che, nel 2012, avanza in Europa e picchia con particolare durezza in Italia, cosa occorre fare?

Insieme a molti altri, pensiamo, anzitutto, che questo interrogativo l’Italia possa e debba porlo, con rafforzata autorevolezza e determinazione, in Europa.

Con la rafforzata autorevolezza di un Paese che, da qui al 2014, ridurrà di oltre 81 miliardi di euro il proprio indebitamento, e lo farà (purtroppo) con oltre 53 miliardi di euro di maggiori entrate e con oltre 27 miliardi di minori spese.

Ma, al contempo, con la rafforzata determinazione di un Paese che, anche per effetto di una simile disciplina fiscale e di bilancio, vede crescere, da una parte, pressione fiscale e inflazione e vede ridursi, dall’altra, investimenti e consumi, occupazione e prodotto interno.

Le cifre illustrate e commentate da Mariano Bella confermano questo scenario davvero preoccupante: pressione fiscale apparente pari, nel 2012, al 45,2% e pressione fiscale effettiva sui contribuenti in regola pari al 55%: un record europeo e mondiale!

E ancora, sempre nel 2012, una riduzione dei consumi, in termini reali, del 2,7%. Andò peggio solo nel 1993, quando i consumi si ridussero del 3%.

Il tutto in un quadro in cui gli investimenti registrano una caduta del 5,7% e la disoccupazione cresce di almeno mezzo punto.

Sintesi finale del quadro macroeconomico: il Pil si riduce dell’1,3% e, in termini pro-capite, torniamo ai livelli del 1999. Per i consumi pro-capite, si torna ai livelli del 1998.

Ovviamente, non si tratta di negare la necessità, in Europa e in Italia, del fiscal compact, cioè della disciplina fiscale e di bilancio. Ma va urgentemente messo in campo anche un robusto economic compact, cioè un robusto pacchetto di riforme e di scelte per la crescita.

Resta, insomma, confermato che, senza più crescita ed occupazione, si fanno impervi tanto la sostenibilità, quanto il consolidamento dei processi di risanamento finanziario e di riduzione dei debiti pubblici.

Del resto, il Presidente Monti lo ha detto, a più riprese, benissimo.

Lo diceva benissimo nelle sue comunicazioni programmatiche alle Camere: “Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL”.

“Ma – soggiungeva – non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere”.

E – ha annotato in altra circostanza – sui temi della crescita, i leader europei devono “metterci la faccia”.

Questo è il punto: serve un’Europa e un’Italia che, sulle ragioni della crescita, ci metta la faccia.

Servono, dunque, le semplificazioni della vita dei cittadini e delle imprese, perché – in Europa ed in Italia – di complicazioni burocratiche continuiamo ad averne troppe. Basti ricordare che – come segnala la Relazione introduttiva al recente decreto semplificazioni – ammontano ad oltre 23 miliardi di euro l’anno gli oneri amministrativi relativi a 81 procedure particolarmente rilevanti per le imprese italiane.

E servono, certamente, le liberalizzazioni. Pensate e realizzate anche attraverso il confronto.

Proprio perché – come si legge nella Relazione introduttiva al decreto liberalizzazioni – “la crescita non si costruisce in laboratorio. La garantiscono, la assicurano, la realizzano i cittadini e le imprese”.

Il confronto è però mancato – prima del decreto liberalizzazioni e nel tempo emergenziale del decreto”salva-Italia” – rispetto alla scelta della totale deregolamentazione degli orari degli esercizi commerciali e delle loro aperture domenicali e festive. Ed è, purtroppo, una scelta che non gioverà al pluralismo distributivo e che non sosterrà i consumi.

Servono le semplificazioni e servono le liberalizzazioni, dunque. Ma, da sole, non bastano.

Per tornare a crescere, ed a crescere in maniera più robusta, occorrono anche – in Europa ed in Italia – selezionati e qualificati investimenti pubblici in beni comuni essenziali per il futuro: per l’innovazione ed il capitale umano, per il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale, per le infrastrutture.

E’ un nodo che conferma la necessità degli eurobond, cioè dell’emissione di titoli pubblici europei per il finanziamento di questi investimenti.

Ed è un nodo che conferma, in Italia, la necessità di un veloce e rigoroso avanzamento della spending review all’insegna del meno sprechi e meno spesa corrente, e del più investimenti in conto capitale e in combinazione con lo stimolo alla finanza di progetto.

Investimenti in infrastrutture: per abbattere i circa 40 miliardi di euro all’anno che pesano sull’Italia per le inefficienze del sistema logistico.

Va aperta una nuova stagione. Nuova, perché, dal 2004 al 2011, la spesa per investimenti in opere pubbliche si è ridotta, in termini reali, di circa un terzo. Nuova, perché il Nimby Forum ha segnalato, per il 2011, ben 331 casi di contestazione di opere di pubblica utilità e di insediamenti produttivi.

Occorrono investimenti in infrastrutture e per il risparmio energetico: vitali per un’Italia la cui fattura energetica ha raggiunto, nel 2011, i 63 miliardi di euro e che, nel quadro dell’Unione a 27, si colloca al quarto posto fra i Paesi con il maggior costo dell’energia elettrica, superata solo da Cipro, Danimarca e Malta.

Investimenti per le infrastrutture, in innovazione (a partire dallo sviluppo dell’agenda digitale e della banda larga) e per i beni culturali: per utilizzare al meglio i fondi comunitari, in particolare per il nostro Mezzogiorno, e per far fruttare al meglio le potenzialità straordinarie del turismo italiano.

Perché, per noi, raddoppiare il contributo del turismo alla formazione del prodotto interno, attestandolo così intorno al 17% del totale, non può e non deve rimanere solo uno slogan da convegni.

Ne parleremo diffusamente nel corso dei lavori del forum. Perché questo – tutto questo – significa, per noi, “rimettere in moto l’Italia”.

Spending review, dunque. Cioè revisione profonda ed urgente della struttura e della qualità della nostra spesa pubblica. Per sostenere gli investimenti, come ho già detto.

Ma anche perché questa revisione è condizione ineludibile, insieme al recupero di evasione ed elusione, per un progressivo alleggerimento della pressione fiscale a favore dei contribuenti in regola.

Anzi, noi continuiamo a ritenere che sarebbe davvero necessario destinare a questa riduzione, per legge, almeno una quota parte dei risultati della lotta all’evasione e all’elusione.

Ci auguriamo, dunque, che sia confermato l’accoglimento di questo principio nella delega per la riforma del fisco.

La lotta all’evasione e all’elusione richiede – lo ribadiamo anche in questa circostanza – tolleranza zero e a 360 gradi.

Tolleranza zero, perché chi evade e chi elude mina le fondamenta del patto di cittadinanza e agisce contro la crescita e lo sviluppo del Paese.

Zero e a 360 gradi, perché, nel 2012, oltre 280 miliardi di base imponibile evasa confermano che evasione ed elusione sono patologie che tagliano trasversalmente tutta l’economia e la società italiana.

Ben vengano, dunque, controlli, accertamenti e sanzioni di comportamenti illeciti. Ma questo non può mai tradursi in giudizi sommari nei confronti di intere categorie di contribuenti. Mai: perché simili giudizi non rispondono al vero, non giovano all’impegno unitario di tutti i contribuenti in regola, non giovano ad un normale e civile rapporto tra fisco e contribuenti.

Oggi, c’è poi una ragione in più ed urgentissima per affermare la centralità della spending review.

E’ bene illustrata nel documento della Presidenza del Consiglio sui primi cento giorni del governo-Monti, documento da cui cito: “La spending review è uno dei pilastri portanti dell’attività del governo che consentirà di superare il meccanismo dei tagli lineari. I costi di funzionamento dell’intero apparato per l’erogazione dei servizi a cittadini e imprese è pari a 330 miliardi di euro l’anno e di essi il 50% circa è gestito dalle Amministrazioni centrali”.

“I risultati che si produrranno in termini di risparmi – prosegue il documento - potrebbero contribuire ad evitare (in tutto o in parte) l’aumento delle aliquote IVA, previsto a partire da ottobre 2012”.

Per noi – proprio alla luce di un’Italia in recessione e di consumi in picchiata, come è emerso dall’intervento di Mariano Bella – gli ulteriori aumenti delle aliquote IVA sono una “mina”, che va al più presto disinnescata.

Una “mina”: nessuna esagerazione nel ricorso a questo termine, perché – lo abbiamo appena visto – l’effetto complessivo degli incrementi delle aliquote IVA – di quello già operato nel settembre del 2011 e degli ulteriori aumenti programmati – si traduce in una perdita cumulata di spesa per consumi di circa 38 miliardi di euro nel quadriennio 2011-2014.

Insomma, se la “mina” non verrà disinnescata, si approfondirà la crisi della domanda interna, della produzione e dell’occupazione. Si stimolerà inflazione, si peserà maggiormente sui più bassi livelli di reddito.

Sollecitiamo, allora, decisioni conseguenti alle pur caute aperture del Presidente Monti sulla possibilità di disinnescare questa “mina.

Ma, anche nella più generale prospettiva della riforma fiscale, continuiamo a ritenere che l’Italia abbia necessità, nel suo complesso, di una riduzione netta della pressione fiscale e non di un semplice spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette alle imposte indirette.

A partire dall’IVA, le imposte indirette colpiscono, infatti, la domanda interna.

Quella domanda che – per via di investimenti e di consumi delle famiglie – contribuisce alla formazione del Pil per circa l’80%.

Su questa domanda, oggi, dobbiamo fare leva: per contrastare la recessione e per tornare a costruire crescita e occupazione.

E’ un punto che sottolineiamo anche in riferimento al confronto sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, altro tema di cui diffusamente discuteremo nel corso dei lavori del forum.

Tre sono stati i punti centrali del confronto tra Governo e parti sociali: flessibilità in entrata, riforma degli ammortizzatori sociali, flessibilità in uscita.

All’esito di questo confronto, resta anzitutto confermato che l’apprendistato possa e debba divenire la via maestra per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Quanto ai contratti flessibili e condiviso il contrasto degli abusi, resta però, per noi, l’esigenza di confermare il ruolo positivo di una “buona” flessibilità. “Buona” perché disciplinata da norme di legge e di contratto e perché risponde a necessità specifiche e strutturali.

Bene, dunque, che, alla luce di queste considerazioni, il Governo abbia accolto la nostra richiesta di non procedere ad aggravi di costo per il lavoro stagionale, così rilevante, ad esempio, per il nostro turismo.

In merito alla riforma degli ammortizzatori sociali, la loro maggiore inclusività cerca di tenere conto anche della necessità di evitare eccessivi appesantimenti del costo complessivo del lavoro, a partire dal costo del lavoro nelle piccole imprese.

Infine, l’articolo 18. Ci sembra che si sia giunti ad una soluzione equilibrata: confermando il reintegro in caso di accertati licenziamenti discriminatori; puntando sull’indennizzo nel caso di illegittimi licenziamenti per motivi economici; demandando al giudice la scelta tra reintegro e indennizzo a fronte di illegittimi licenziamenti disciplinari.

Indennizzi che, comunque, dovranno essere equilibrati.

Proprio per i punti di equilibrio raggiunti, abbiamo complessivamente condiviso le proposte di riforma formulate dal Governo.

Fermo restando, comunque, che cercheremo – nell’avanzamento dell’iter del varo e dell’attuazione della riforma – di fare ulteriormente valere esigenze di non appesantimento burocratico della gestione dei rapporti di lavoro ed anche di maggiore equilibrio tra livelli di contribuzione e prestazioni effettivamente rese relativamente alla gestione malattia presso l’INPS e alle coperture INAIL.

Mi avvio alle conclusioni.

Lo faccio segnalando, ancora una volta, una vera e propria emergenza, un vero e proprio macigno da rimuovere per tornare ad imboccare un percorso di crescita.

Rallentamento del credito all’economia e crescita del costo dei finanziamenti sono confermati dalla Banca d’Italia. Pesa la crisi dei debiti sovrani, la crisi di fiducia nel sistema interbancario ed il peggioramento del ciclo economico.

Solo a dicembre, la riduzione dei prestiti è stata di 20 miliardi di euro.

Ha detto bene il Governatore Visco: bisogna evitare l’asfissia creditizia dell’economia reale.

Si deve far di tutto, allora, affinché la liquidità messa a disposizione dalla Banca Centrale Europea venga impiegata non solo per acquistare titoli di Stato, ma anche per finanziare imprese e famiglie.

Cosa si può fare?

Ovviamente ed anzitutto, quanto occorre – in Europa ed in Italia – per rafforzare fiducia attraverso la costruzione di un punto di equilibrio tra risanamento delle finanze pubbliche e spinta alla crescita.

E, poi, mi sembra che resti valido il richiamo alla “lungimiranza” che Mario Draghi rivolse, da Governatore di Banca d’Italia, al nostro sistema creditizio.

Lungimiranza, cioè capacità di guardare lontano ed oltre il tempo della crisi, non facendo venire meno il sostegno creditizio.

Nel tempo della crisi, banche ed imprese hanno cercato di collaborare.

Bisogna perseverare: valorizzando il ruolo dei consorzi fidi e del fondo centrale di garanzia, e ora con il rinnovato accordo sulla moratoria dei debiti. Ed anche – aggiungo – riducendo il costo delle commissioni sugli strumenti di moneta elettronica, nel momento in cui si punta alla riduzione della circolazione del contante.

Va, poi, risolta la questione del ritardo dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. E’ uno stock di crediti che ammonta a circa 60/70 miliardi di euro. E’ liquidità sottratta alle imprese in una fase delicatissima.

Il Paese – ha detto il Presidente dell’ABI, Mussari – è seduto sull’asse delle banche. Se si sega l’asse, il Paese viene giù.

Ecco, io credo che sia più corretto dirla così: il Paese è sorretto dall’asse della collaborazione tra banche ed imprese. Se questa collaborazione viene meno, allora sì: il Paese viene giù.

Così non sarà. Così non può e non deve essere.

Ma, anche in questo caso, occorrono impegno e responsabilità comuni: delle banche e delle imprese, del governo e della politica.

Di una politica – e qui davvero concludo - che colga anche l’opportunità del passaggio di fase del governo Monti per porre le fondamenta di una nuova stagione della Repubblica.

E che lo faccia attraverso scelte di autoriforma, di riforma istituzionale e di riforma elettorale, che consentano di archiviare definitivamente tanto la stagione sterile del bipolarismo muscolare, quanto il virus dell’antipolitica.

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