Intervento di Carlo Sangalli al modulo "Rimettere in moto l’Italia: innovazione, turismo e cultura" del Forum Confcommercio

Intervento di Carlo Sangalli al modulo "Rimettere in moto l’Italia: innovazione, turismo e cultura" del Forum Confcommercio

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24 marzo 2012

Per tentare un rapido ragionamento sui collegamenti tra innovazione, turismo e cultura, muovo – quasi inevitabilmente – da due affermazioni che ricorrono spesso negli incontri su questi temi:

  • il turismo è, per l’Italia, una risorsa straordinaria e con potenzialità ancora largamente inespresse, al punto tale che si potrebbe puntare a raddoppiarne il contributo alla formazione del PIL, proiettandolo così intorno al 17% del totale;
  • per cogliere questo obiettivo, si tratta, tra l’altro, di valorizzare, in particolare per via di innovazione, il primo patrimonio mondiale – il patrimonio italiano – di ambiente e bellezza, di storia, arte e cultura, di tipicità.

Fin qui, dunque, aspirazioni generose ed obiettivi impegnativi. Ma le une e gli altri devono, però, misurarsi con la realtà dei punti di partenza.

Perché – è vero – l’Italia vanta, ad esempio, il primato mondiale dei siti Unesco. Ma, fatto 100 l’indice di valorizzazione turistica dei siti italiani, quello dei siti spagnoli è 130, quello dei siti francesi è 190, quello dei siti cinesi è addirittura di 270.

Un grande museo americano  poi – il Metropolitan  di New York – fattura da solo in servizi aggiuntivi (merchandising, libri e ristorazione) il doppio di tutte le aree museali del nostro Paese.

Lo spread tra aspirazioni ed obiettivi, da una parte, e punti di partenza del nostro Paese, dall’altra, è allora, anche in questo caso, particolarmente rilevante. E ridurlo, significativamente e con urgenza, significherebbe cogliere risultati importanti in termini di crescita aggiuntiva e di  occupazione.

Perché la buona gestione di un bene culturale può generare ricadute economiche positive che valgono da 2 a 5 volte i suoi costi operativi.

E perché, più in generale, fare del patrimonio culturale una leva di crescita e di sviluppo implica affermare la centralità di politiche di cura dei beni culturali, dell’ambiente, del territorio e della sua accessibilità, non meno che del capitale umano, dell’istruzione e della formazione, dell’innovazione e della ricerca.

Significa, insomma, perseguire un modello di crescita e di sviluppo intelligente, sostenibile ed inclusivo: il modello “europeo” dell’Agenda di Lisbona e ora, in maniera rinnovata, di Europa 2020.

Pensate che, ad esempio, in Germania hanno documentato, in termini rigorosamente quantitativi, come, in 29 bacini territoriali, l’esistenza di un teatro d’opera abbia sorretto la crescita, favorendo la presenza di capitale umano qualificato, ma anche l’apertura al mondo. 

Ci sono comunque, a nostro avviso, alcuni temi chiave da affrontare e risolvere per dare concretezza alle ambizioni e per assicurare un realistico perseguimento di questi obiettivi.

C’è, anzitutto, un problema di integrazione di culture e di politiche: tra mondo del turismo e sistema della cultura, tra politiche pubbliche – centrali e territoriali -  ed iniziativa organizzata dei privati.

E, qui, non si tratta soltanto di abbattere qualche separatezza di troppo, ma di promuovere sistematica collaborazione e cooperazione. 

Collaborazione e cooperazione, intanto, per gestire in maniera più professionale i nostri asset culturali.

Per migliorare,  così, l’esperienza di acquisto di beni e di servizi collegati a questi asset, mutuando metodologie e innovazioni tipiche della distribuzione commerciale e della ristorazione.

E per migliorare la stessa esperienza di visita di un bene culturale – dalla sua preparazione alla gestione del suo ricordo - in particolare grazie alle tecnologie digitali, capaci di raccontare con forte impatto cosa stia dietro ad un’opera d’arte o ad uno scavo archeologico.  

C’è, ancora, un problema di selezione ed organizzazione, che deriva dalla stessa ricchezza qualitativa e quantitativa del nostro patrimonio culturale e dalla connessa esigenza di mobilitare, attraverso donazioni e sponsorizzazioni, risorse private e di ottimizzare l’impiego di risorse pubbliche.

Bene, dunque, le scelte, operate con il decreto “Salva Italia”, di semplificazione delle procedure in materia di agevolazioni fiscali e donazioni per i beni e le attività culturali.

Quanto alle risorse pubbliche, scarse per definizione,  esse sono qui davvero meritevoli delle più celeri determinazioni, a partire dall’accoglimento della richiesta formulata al CIPE dal Ministro Ornaghi per uno stanziamento di 70 milioni di euro destinato ai nostri musei e ai nostri beni culturali.

Anche in materia di beni culturali, le economie di scala comunque incidono.

E si tratta, allora, di combinare insieme l’individuazione di poli di riferimento – grandi musei e grandi beni archeologici, che richiedono forte concentrazione di risorse – con modelli di gestione e valorizzazione di beni culturali territorialmente diffusi.

Sul primo versante, fa ben sperare il modello di “cooperazione interistituzionale rafforzata” messo in campo per il progetto Pompei, cui sono stati assegnati 105 milioni di euro a valere sui fondi di coesione europei.

Sul secondo versante, si segnala, agli inizi di questo mese, la sottoscrizione, da parte di Unioncamere e di Mecenate 90, di una convenzione per la collaborazione sul terreno del rapporto tra pubblico e privato nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale per lo sviluppo locale.

Significa, in concreto, impegno congiunto per la costruzione di “distretti culturali” e per la promozione della creatività, in particolare dei giovani.

Creatività legata alle relazioni tra cultura e italian style e alle specializzazioni produttive locali, anche attraverso servizi di assistenza per l’accesso a fondi comunitari, nazionali e regionali.

Si ricorda, nell’accordo, che la cultura contribuisce al PIL italiano per il 5% circa, generando un milione e mezzo di posti di lavoro.

Vale davvero la pena di insistere in questa direzione.

Perché è anche possibile stimare, per il nostro Paese, una del tutto realistica crescita di arrivi turistici per motivi specificamente culturali dai grandi bacini di domanda europei: da 2,2 milioni   circa a oltre 5 milioni, con un incremento di spesa da 930 milioni di euro a quasi 2 miliardi.

A condizione che, ovviamente, la nostra offerta, culturale e turistica insieme, sia in grado di intercettare in maniera efficace l’incremento della domanda potenziale. 

E sia in grado di intercettarla attraverso un mix diversificato di strumenti promozionali e di canali di vendita differenziati, a partire da un compiuto portale per il turismo italiano.

Turismo italiano –  è un rapido cenno, ma non un inciso – cui di certo non giova né la prospettiva dell’incremento delle aliquote IVA, né  quella dell’universalizzazione di una non finalizzata tassa di soggiorno.

Le città italiane – le nostre città – sono straordinarie sedimentazioni di storia e di cultura. Talenti e professionalità, creatività e innovazione sono in esse già oggi ben presenti.

Vi sono, dunque, tutti i presupposti per il rapido sviluppo, proprio nel nostro Paese, dell’esperienza delle “città della conoscenza”.

Città in cui la cultura costruisce ricchezza, come insegnano tanti casi europei: da Barcellona ai casi meno noti di Bilbao e di Siviglia, di Edimburgo e di Copenhagen.

E’ un obiettivo alla nostra portata.

Ma per coglierlo – torno sul punto che prima richiamavo – dobbiamo essere capaci – decisamente più capaci – di praticare integrazione, collaborazione e cooperazione.

Dobbiamo essere disponibili – decisamente più disponibili – a curare e condividere competenze piuttosto che a rivendicare conflittuali competenze. 

Tutto il contrario, insomma, della frammentazione, del localismo, del municipalismo.

C’è, in tutto questo, anche una specifica responsabilità delle imprese del turismo.

Devono perseverare nel rafforzamento di qualità, produttività e professionalità.

E devono misurarsi con le opportunità nuove dei contratti di rete e dei distretti turistici.

Proprio facendo, in tantissimi possibili casi, della buona gestione e della buona valorizzazione del patrimonio storico-culturale di territorio, l’occasione della costruzione di operazioni di prodotto destinate a ben individuati segmenti di domanda internazionale.

Ma le politiche pubbliche – caro Ministro Gnudi, caro Ministro Ornaghi, caro Ministro Profumo – possono svolgere, e non soltanto sul piano delle risorse, un ruolo fondamentale di sollecitazione e di sostegno per tessere la trama fitta del capitale sociale così prezioso per gli investimenti in innovazione e cultura.

Mettendo a frutto – basti pensare alle tecnologie per i beni culturali o al tema dei trasporti intelligenti, “verdi” e integrati - anche le opportunità di Horizon 2020, il programma europeo per la ricerca e l’innovazione. 

Politiche pubbliche, anzitutto, per rendere evidente che il “combinato disposto” di innovazione, turismo e cultura è appunto – come recita il titolo di questa sessione del forum – un’occasione per rimettere in moto l’Italia. 

È una delle grandi scelte che l’Italia compie per tornare a crescere e per darsi un futuro migliore.

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