GLI ANDAMENTI DELL'ECONOMIA ITALIANA

GLI ANDAMENTI DELL'ECONOMIA ITALIANA

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15 marzo 2002

GLI ANDAMENTI DELL’ECONOMIA ITALIANA

 

TRA CRISI INTERNAZIONALE E RITARDI STRUTTURALI

 

 

IL CONSUNTIVO DEL 2001

 

 

L’economia Internazionale

 

Il PIL mondiale ha fatto registrare nel 2001 una crescita del 2,4%, dimezzandosi in pratica rispetto all’incremento del 4,7% dell’anno precedente.

 

Questo forte rallentamento è stato determinato da due fattori:

 

·        l’«atterraggio duro» dell’economia americana;

·        la distruzione delle Torri Gemelle a New York nell’azione terroristica dell’11 settembre 2001.

 

In effetti, dopo oltre otto anni di crescita sostenuta ed ininterrotta, il PIL statunitense denunciava nel secondo trimestre del 2001 un dimezzamento del tasso di incremento su base annua, dal 2,5% all’1,2%, per scendere ancora nei due restanti trimestri allo 0,8% ed allo 0,3%, in un progressivo esaurimento della spinta produttiva.

 

Il 2001 veniva così a rappresentare il punto di svolta del ciclo economico mondiale guidato dagli USA, dando luogo ad una fase di rallentamento intenso e prolungato in grado di riassorbire gli eccessi, soprattutto speculativi dei mercati finanziari, che avevano caratterizzato quella lunga fase espansiva.

 

LA CRESCITA DEL PRODOTTO

Variazioni percentuali del PIL reale rispetto al periodo precedente

 

 

2000

2001

2002

2003

Stati Uniti

4.1

 

1.1

 

0.7

 

3.8

 

Giappone

1.5

 

-0.7

 

-1.0

 

0.8

 

Unione Europea

3.3

 

1.7

 

1.5

 

2.9

 

   - Area dell’euro

3.5

 

1.6

 

1.4

 

3.0

 

Per memoria:

 

 

 

 

 

 

 

 

Altre economie avanzate

5.2

 

1.5

 

1.9

 

n.d.

 

Paesi in via di sviluppo

5.8

 

4.0

 

4.4

 

n.d.

 

Mondo

4.7

 

2.4

 

2.4

 

n.d.

 

FONTE:OECD, Economic Outlook, n. 70, December 2001 e IMF, World Economic Outlook, December 2001.

 

La brusca frenata dell’economia americana, quasi ai limiti della recessione, ed il perdurare della preoccupante crisi dell’economia giapponese, hanno finito per determinare un rallentamento sempre più intenso anche nell’economia europea.

 

Nei tre paesi che da soli rappresentano ben il 70% del PIL dell’area dell’euro, cioè Francia, Germania ed Italia, l’ultimo trimestre del 2001 si è chiuso con una crescita negativa dell’ordine dello 0,2-0,3% rispetto al trimestre precedente.

 

I risultati deludenti del terzo e del quarto trimestre 2001 in tutte le economie industriali, in parte già imputabili all’esaurirsi del ciclo espansivo, sono stati amplificati dagli effetti diretti ed indiretti dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre e dalla risposta degli americani e dei loro alleati.

 

In realtà, i timori di conseguenze negative generalizzate sull’economia derivanti dall’intervento armato dei paesi occidentali,  simili a quelle verificatesi nel 1991 a seguito della guerra del Golfo, con riduzione dell’offerta di greggio e conseguente impennata dei prezzi petroliferi, si sono fino ad oggi rivelati infondati.

 

Il conflitto ha ormai assunto la connotazione di una operazione di polizia internazionale, con interventi mirati ad eliminare le ultime sacche di resistenza, anche se permane il rischio di un allargamento del teatro bellico ad altri paesi dell’area, coinvolgendo quelli considerati, da sempre,  fiancheggiatori e finanziatori del terrorismo fondamentalista.

 

È comunque inevitabile che il 2002 sconti una minor crescita del PIL mondiale, rispetto alle previsioni ante-11 settembre, quantificabile in circa due decimi di punto, lasciandolo sullo stesso profilo di crescita del 2001.

 

Questa è infatti la stima approssimativa e prudenziale dell’impatto sulle attività economiche dei danni arrecati al settore dei trasporti, aereo e merci, al turismo internazionale, alla circolazione delle persone e di mezzi finanziari, alla fornitura di servizi assicurativi.

 

L’effetto Twin Towers ha pesato particolarmente sul volume mondiale degli scambi di merci e servizi, già indebolito dal rallentamento ciclico iniziato nella prima metà del 2001 in tutte le economie avanzate.

 

Il commercio mondiale misurato in quantità, infatti, ha subito un vero e proprio crollo, passando da quasi il 13% del 2000 ad appena lo 0,3% del 2001, contribuendo a deprimere le economie di quei paesi maggiormente dipendenti dalla domanda estera, come quelle europee.

 

 

L’economia Italiana

 

Il quadro di sintesi

 

In linea con le dinamiche registrate a livello internazionale l’economia italiana ha evidenziato nel corso dell’ultimo anno una tendenza alla progressiva decelerazione della crescita.

 

CONTO ECONOMICO RISORSE E IMPIEGHI – PREZZI 1995

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

1997

1998

1999

2000

2001

PIL

2,0

1,8

1,6

2,9

1,8

IMPORTAZIONI

10,1

8,9

5,3

9,4

0,2

CONSUMI FINALI INTERNI

2,5

2,5

2,2

2,5

1,4

- Spesa delle famiglie

3,2

3,2

2,4

2,7

1,1

- Spesa delle AP e delle ISP

0,3

0,3

1,4

1,7

2,3

INVESTIMENTI

2,1

4,0

5,7

6,5

2,4

- Costruzioni

-2,0

-0,2

2,8

5,6

3,7

- Macchine e attrezzature

6,9

4,5

5,2

6,1

0,3

- Mezzi di trasporto

0,8

17,9

16,8

10,0

4,4

- Beni immateriali

1,6

11,0

10,0

9,1

5,3

ESPORTAZIONI

0,6

3,4

0,3

11,7

0,8

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 

Evoluzione che ha portato nel quarto trimestre del 2001 ad una flessione in termini congiunturali del prodotto.


 

 

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 
A consuntivo il 2001 ha evidenziato una delle dinamiche di sviluppo più contenute degli ultimi anni, con una crescita del PIL in termini reali dell’1,8%, in netto rallentamento rispetto al 2,9% del 2000.

 

In particolare è risultata decisamente modesta l’evoluzione registrata dalla domanda estera, in conseguenza della decelerazione del commercio mondiale e della crisi produttiva che ha interessato alcuni dei paesi nostri principali partners commerciali, con un incremento delle esportazioni in quantità dello 0,8%, contro l’11,7% dell’anno precedente.

 

La tendenza ad un ridimensionamento dell’attività produttiva interna e le incertezze circa le prospettive di sviluppo a breve termine hanno determinato un deciso rallentamento delle importazioni, in flessione nel secondo semestre, aumentate nella media del 2001 dello 0,2% (+9,4% nel 2000).

 

Anche dal lato della domanda interna le dinamiche riscontrate nell’ultimo anno sono risultate sostanzialmente deludenti, in particolare per la componente relativa alla spesa delle famiglie.

 

Nella media del 2001 per questa variabile la crescita è risultata in termini reali pari all’1,1% il risultato più basso dell’ultimo quinquennio.

 

Su questa evoluzione sembrano aver pesato sia le dinamiche reddituali, contenute dall’andamento negativo delle borse sulle quali molte famiglie avevano riversato i propri risparmi e dall’ancora elevato livello di tassazione, sia le prospettive di sviluppo modesto con le conseguenti preoccupazioni circa la tenuta dei raggiunti livelli occupazionali.

 

Relativamente agli investimenti si è riscontrata una decisa flessione della domanda per quelli in macchine ed attrezzature conseguenza delle deboli prospettive di sviluppo che hanno spinto le aziende a non aumentare la capacità produttiva.

 

Lievemente più positiva è risultata la dinamica degli investimenti in costruzioni, variabile che ha beneficiato dello spostamento della domanda da forme di investimento a rischio verso mercati, come quello immobiliare, ritenuti decisamente meno pericolosi.

 

Per questa componente l’incremento del 3,7% registrato nel 2001, pur risultando più contenuto rispetto a quello del 2000, deve essere considerato positivo in quanto l’anno precedente era stato fortemente influenzato dalla realizzazione delle opere per il Giubileo.

 

 

 

 

 

Il prodotto

 

L’evoluzione registrata dal lato del prodotto è sintesi, come di consueto di andamenti articolati a livello settoriale.

 

Il rallentamento che ha interessato l’economia italiana nel corso del 2001 ha coinvolto in misura non omogenea i diversi comparti di attività produttiva.

 

VALORE AGGIUNTO AI PREZZI DI MERCATO – PREZZI 1995

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

1997

1998

1999

2000

2001

Agricoltura

1,2

1,2

6,2

-2,9

-1,0

Industria

1,9

1,3

0,9

2,1

0,9

  Industria in senso stretto

2,6

1,6

0,9

2,1

0,3

  Costruzioni

-1,8

-0,2

1,2

2,3

4,5

Servizi

2,1

2,0

1,5

3,7

2,6

  Commercio, alberghi, trasp. e comunicazioni

2,5

2,7

0,6

4,7

3,2

  Credito, att. immob. e servizi professionali

2,7

1,9

2,7

5,5

3,0

  Altre attività di servizi

0,9

1,0

1,2

-0,1

1,1

Valore aggiunto ai prezzi di mercato

2,0

1,7

1,5

3,0

2,0

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 

In particolare il settore industriale ha evidenziato un netto rallentamento della crescita, sintesi di una stagnazione per l’industria manifatturiera (+0,3%), sulla quale ha gravato una dinamica della domanda interna ed estera molto modesta, e di un deciso sviluppo per le costruzioni (+4,5%), settore che ha beneficiato dell’andamento sostanzialmente positivo degli investimenti.

 

Relativamente al comparto dei servizi si sottolinea come, nonostante il rallentamento registrato nel corso dell’anno dal valore aggiunto, la media del 2001 segnali un tasso di sviluppo superiore a quella riscontrato dagli altri comparti produttivi.

 

Sulla base dei dati disponibili si regista una crescita più contenuta rispetto al 2000 del comparto del commercio, alberghi, pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni sulla quale ha pesato sia uno sviluppo modesto della domanda per consumi delle famiglie, sia il rallentamento del turismo, sul quale ha influito il confronto con un anno particolarmente positivo come è stato il 2000 e gli effetti indotti degli avvenimenti dell’11 settembre, con conseguenze anche sui trasporti.

 

 

Il mercato del lavoro

 

Nonostante il rallentamento delle dinamiche occupazionali riscontrato nella parte finale del 2001 l’anno appena trascorso ha evidenziato, dal lato del mercato del lavoro, il risultato più positivo degli ultimi dieci anni con un aumento di 435 mila occupati.

 

Tale dinamica, in linea con quanto avvenuto negli anni più recenti, è imputabile ancora una volta in misura particolarmente significativa alla componente femminile dell’occupazione per la quale l’incremento è risultato pari a 296 mila unità.

 

INDICATORI DEL MERCATO DEL LAVORO

(Dati in migliaia- Variazioni assolute sul periodo corrispondente)

 

 

1996

1997

1998

1999

2000

2001

 

 

 

 

 

 

 

OCCUPATI

99

82

228

256

388

435

  Maschi

-16

12

75

68

158

139

  Femmine

115

70

153

188

231

296

DISOCCUPATI

16

35

57

-75

-174

-228

  Maschi

6

8

19

-47

-87

-113

  Femmine

9

27

38

-28

-88

-115

 

 

 

 

 

 

 

TASSO DI DISOCCUPAZIONE

11,6

11,7

11,8

11,4

10,6

9,5

    Maschile

9,0

9,0

9,1

8,8

8,1

7,3

    Femminile

16,1

16,2

16,3

15,7

14,5

13,0

  GIOVANILE

34,1

34,0

33,8

32,9

31,1

28,2

    Maschile

29,8

29,6

29,8

29,2

27,6

25,0

    Femminile

39,5

39,6

39,0

37,4

35,4

32,2

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su indagine ISTAT sulle Forze di Lavoro

 

La crescita della base occupazionale, associata ad una decisa riduzione del numero di persone in cerca di lavoro, ha favorito un deciso ridimensionamento del tasso di disoccupazione passato dal 10,6% del 2000 al 9,5% del 2001, il valore più basso dal 1992.

 

Evoluzione che ha interessato in misura abbastanza significativa anche la componente giovanile, per la quale, comunque, le difficoltà di trovare una occupazione risultano ancora elevate in considerazione di una incidenza delle persone in cerca di lavoro ancora superiore al 28%.

 

Il miglioramento registrato dal mercato del lavoro pur interessando tutte le aree del paese non ha, comunque, permesso quella sensibile riduzione dei divari in grado di favorire il riequilibrio territoriale in termini di occupazione.


 

 


FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su indagine ISTAT sulle Forze di Lavoro

 

Nel mezzogiorno la quota di persone in cerca di occupazione sul totale della forza lavoro è risultata pari al 19,3% contro il 5% del centro nord.

 

Divario che risulta ancora più consistente se si guarda alla componente giovanile (15-24 anni) per la quale, nonostante la riduzione degli ultimi anni, la percentuale dei senza lavoro nel mezzogiorno è ancora superiore al 50% contro il 14,6% del centro nord.

 

A livello settoriale l’incremento di 435 mila occupati riscontrati sulla base dell’indagine sulle forze di lavoro nella media del 2001 ha interessato in larga misura il settore dei servizi ed in particolare la componente dipendente.

 

OCCUPATI PER SETTORE DI ATTIVITA’

(Dati in migliaia- Variazioni assolute sul periodo corrispondente)

 

 

1996

1997

1998

1999

2000

2001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGRICOLTURA

-56

-32

-44

-67

-14

6

   DIPENDENTI

-27

-25

-7

-16

3

12

   INDIPENDENTI

-28

-8

-37

-50

-17

-6

INDUSTRIA

-67

-33

70

20

16

74

   DIPENDENTI

-57

-23

52

6

6

52

   INDIPENDENTI

-9

-9

17

14

10

22

SERVIZI

222

147

202

303

386

354

   DIPENDENTI

152

149

131

284

299

321

   INDIPENDENTI

69

0

70

19

87

33

  Commercio

31

-11

32

42

69

39

        Dipendenti

22

26

29

105

95

42

        Indipendenti

9

-37

3

-63

-26

-4

  Alberghi e p.e.

15

2

-15

64

75

66

        Dipendenti

15

1

-10

34

52

46

        Indipendenti

-0

1

-5

29

23

20

TOTALE

99

82

228

257

388

435

   DIPENDENTI

67

100

177

274

308

386

   INDIPENDENTI

32

-18

51

-17

80

49

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su indagine ISTAT sulle Forze di Lavoro

 

Relativamente al comparto commerciale è proseguita  sia pure a ritmi meno sostenuti rispetto a biennio precedente la tendenza alla crescita dell’occupazione, evoluzione che ha però riguardato solo i dipendenti aumentati di 42 mila unità.

 

Per gli indipendenti, nella media del 2001, si è registrata una ulteriore flessione pari a 4mila unità, valore, comunque, più contenuto rispetto alle tendenze degli ultimi anni ed in linea con l’attenuarsi della tendenza al ridimensionamento della rete commerciale.

 

Per quanto concerne il turismo, nonostante la tendenza produttiva settoriale sia stata improntata ad una crescita più contenuta rispetto al 2000 l’occupazione ha continuato ad evidenziare una dinamica generalmente positiva, con un incremento nella media del 2001 di 66mila unità, di cui 46mila dipendenti e 20mila indipendenti.

 

 

Le imprese

 

La tendenza al rallentamento produttivo non sembra aver avuto nel 2001 particolari conseguenze sulla struttura imprenditoriale del Paese, che ha mostrato, sulla base delle risultanze delle anagrafi camerali, un saldo attivo per oltre 89mila aziende, valore più elevato rispetto a quello del 2000.

 

ISCRIZIONI CESSAZIONI E SALDI DELLE IMPRESE

 

 

 

2000

 

 

2001

 

 

ISCRITTE

CESSATE

SALDO

ISCRITTE

CESSATE

SALDO

 

 

 

 

 

 

 

AGRICOLTURA

37.706

63.565

-25.859

40.481

70.051

-29.570

INDUSTRIA

84.685

72.584

12.101

88.385

77.026

11.359

COMMERCIO

93.539

91.805

1.734

92.105

91.761

344

TURISMO

13.119

15.380

-2.261

13.252

15.288

-2.036

ALTRI SERVIZI

65.952

56.446

9.506

68.794

59.259

9.535

IMPRESE N.C.

108.407

16.852

91.555

118.434

18.328

100.106

TOTALE

403.408

316.632

86.776

421.451

331.713

89.738

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati Movimprese

 

Il dato di sintesi sottende andamenti articolati a livello settoriale che risultano, comunque, di non facile interpretazione, in quanto il saldo attivo deriva in larga misura dalle imprese non classificate che rappresentano ormai oltre un quarto delle iscrizioni.

 

L’emergere in misura sempre più rilevante di questo fenomeno negli ultimi anni sottende, probabilmente, la difficoltà delle imprese che operano in settori innovativi o che sempre più spesso si trovano a svolgere attività trasversali a diversi comparti a riconoscersi in una classificazione che non ha tenuto conto dei mutamenti intervenuti negli anni.

 

In linea generale si è riscontrato nel 2001, a livello dei singoli settori, un incremento sensibile della base imprenditoriale nel comparto industriale, la cui dinamica è però imputabile in misura esclusiva al settore delle costruzioni per il quale il saldo è attivo di oltre 14mila aziende.

 

In linea con le dinamiche produttive si è, viceversa, riscontrato un ridimensionamento delle imprese nel settore manifatturiero.

 

Per quanto concerne il comparto terziario nel corso dell’ultimo anno si è registrato un ulteriore aumento della base imprenditoriale, dato che deriva, comunque, da andamenti articolati a livello dei singoli settori.

 

Relativamente al comparto distributivo nel 2001 si è confermata, sia pure in misura meno rilevante rispetto al 2000, la tendenza ad una crescita della rete commerciale.

 

Tale fenomeno sembra coinvolgere anche le imprese di minore dimensione del commercio al dettaglio, ad esclusione delle aziende che operano nel settore degli autoveicoli e delle riparazioni nel quale è in atto un ridimensionamento ed una ristrutturazione dell’apparato distributivo in linea anche con una domanda in netto ridimensionamento.

 

Analogo fenomeno di razionalizzazione dell’apparato produttivo sembra interessare anche il comparto degli alberghi e pubblici esercizi.

 

Le dinamiche imprenditoriali del settore, che segnalano un saldo negativo per oltre 2.000 imprese sia nel 2000 che nel 2001, non sembrano, infatti, derivare da andamenti negativi della domanda.

 

Nel biennio infatti, ad esclusione dell’ultimo trimestre dell’anno che si è appena concluso, si è riscontrata una evoluzione sostanzialmente soddisfacente dei flussi turistici.

 

Particolarmente positiva è risultata la dinamica imprenditoriale nel complesso degli altri settori dei servizi, che hanno registrato un saldo attivo per oltre 9.500 aziende, valore sostanzialmente in linea con quelli registrati negli anni precedenti.

 

Tale evoluzione è imputabile in larghissima misura al comparto delle attività immobiliari, noleggio, informatica e ricerca cresciute di oltre 7.000 unità, che hanno risentito non solo dell’aumentata domanda delle famiglie per beni immobili, ma soprattutto dell’espansione dei settori innovativi.

 

 

I prezzi

 

Nella primavera del 2001 la tendenza alla ripresa del processo inflazionistico che aveva interessato le economie europee a partire dal 1999, sulla scorta di una netta crescita dei prezzi delle materie prime petrolifere e del deprezzamento dell’euro sui mercati, ha toccato il punto di massima.

 

La tendenza alla decelerazione che da quel momento ha interessato i prezzi al consumo di quasi tutti i Paesi non ha, comunque, impedito di registrare nell’anno che si è appena concluso un valore che nella media della UE è risultato pari al 2,4% il più elevato degli ultimi anni.

 

INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO ARMONIZZATO

(Variazioni percentuali sull’analogo periodo dell’anno precedente)

 

PAESI

1997

1998

1999

2000

2001

 

 

 

 

 

 

Italia

1,9

2,0

1,7

2,6

2,7

Belgio

1,5

0,9

1,1

2,7

2,4

Danimarca

1,9

1,4

2,0

2,8

2,2

Germania

1,5

0,7

0,6

2,0

2,4

Grecia

5,4

4,6

2,2

2,8

3,7

Spagna

1,9

1,7

2,2

3,5

3,6

Francia

1,3

0,6

0,5

1,9

1,8

Irlanda

1,2

2,2

2,5

5,2

4,0

Lussemburgo

1,4

0,9

1,0

3,8

2,4

Olanda

1,9

1,7

2,1

2,3

5,2

Austria

1,2

0,8

0,5

2,0

2,3

Portogallo

1,9

2,2

2,2

2,8

4,4

Finlandia

1,2

1,4

1,3

3,0

2,6

Svezia

1,9

1,0

0,5

1,4

2,7

Regno Unito

1,8

1,6

1,4

0,8

1,2

UE 15

1,7

1,3

1,2

2,0

2,4

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati EUROSTAT

 

In questo contesto l’Italia ha evidenziato una dinamica sostanzialmente in linea con la media degli altri Paesi, segnalando a consuntivo un dato che, seppure più elevato rispetto a quello degli anni precedenti, ha mostrato un ulteriore convergenza verso le dinamiche medie dell’area della UE.

 

Relativamente all’evoluzione riscontrata dai prezzi al consumo in Italia si sottolinea come l’incremento del 2,7% (al lordo della componente relativa ai tabacchi) sia stato fortemente condizionato dalle dinamiche registrate nella prima parte dell’anno.

 

Nei primi sei mesi agli effetti in una evoluzione ancora sostenuta dei prezzi del comparto energetico si sono associati gli impulsi inflazionistici derivanti dal comparto alimentare in conseguenza dei problemi riscontrati nella filiera delle carni, fenomeno comune a tutti i paesi della UE, e della scarsità di alcune produzioni.

 

 

 

INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO PER CAPITOLI DI SPESA

(Variazioni percentuali sull’analogo periodo dell’anno precedente)

 

 

2001

 

 

 

2002

 

 

I Trim.

II Trim.

III Trim.

IV Trim.

Gen.

Feb.

INDICE GENERALE

2,9

3,0

2,8

2,5

2,4

2,5

Alimentazione e bevande analcoliche

3,4

4,0

4,7

4,4

4,9

4,4

Bevande alcoliche e tabacchi

0,3

3,2

3,3

3,4

3,3

3,3

Abbigliamento e calzature

2,7

2,9

3,0

2,9

2,9

2,8

Abitazione, acqua , elettricità e combustibili

5,9

4,0

1,7

0,6

-0,1

0,0

Mobili, articoli e servizi per la casa

2,2

2,1

2,2

2,0

1,9

1,8

Servizi sanitari e spese per la salute

2,9

2,3

2,0

1,8

1,9

2,1

Trasporti

2,4

2,5

1,0

0,2

0,4

1,2

Comunicazioni

-2,7

-2,1

-2,2

-1,7

-1,6

-1,7

Ricreazione, spettacoli, cultura

3,2

3,1

3,4

3,6

2,8

3,0

Istruzione

3,4

3,3

3,4

2,7

2,9

2,8

Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi

3,6

4,0

4,3

4,1

4,6

4,4

Altri beni e servizi

2,4

3,5

3,8

3,9

3,2

3,6

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 

D’altra parte i tempi di trasmissione degli impulsi inflazionistici tra fasi e settori, non sempre immediati, hanno determinato in alcuni comparti una tendenza espansiva dei prezzi conseguenza degli aumenti dal lato dei costi derivanti dalle pressioni inflazionistiche accumulate nel biennio precedente.

 

In questo contesto, che di per sé ha evidenziato alcuni elementi di criticità, si sono continuati ad inserire i problemi legati ai prezzi di alcuni beni e servizi di pubblica utilità.

 

L’assenza di azioni incisive su alcuni mercati, volte sia ad aumentarne il grado di concorrenza che ha ridurne i costi di gestione, ha determinato una evoluzione dei prezzi particolarmente elevata in alcuni settori.

 

In particolare si segnala tra dicembre del 2001 e l’analogo mese dell’anno precedente un incremento dei prezzi delle assicurazioni del 16%, e dei servizi finanziari del 13,5% (con un aumento che sfiora il 26%per i servizi di bancoposta).

 

A controbilanciare, sia pure in parte, la tendenze inflazionistiche ha contribuito anche nel 2001, in linea con le dinamiche europee, il settore delle comunicazioni nel quale l’aumentata concorrenza e le innovazioni tecnologiche hanno continuato a determinare una diminuzione dei prezzi.

 

Stando alle indicazioni più recenti il processo di rientro dell’inflazione italiana ed europea sembra aver conosciuto in questa prima parte del 2002 una battuta d’arresto.

 

Su questa evoluzione, più che gli effetti indotti dall’introduzione dell’euro, con i problemi anche tecnici di conversione, sembrano aver pesato altre variabili.

 

Tra le altre si sottolinea come le avverse condizioni meteorologiche abbiano portato ad un sensibile aumento dei prezzi di alcuni prodotti freschi del segmento dell’alimentazione, tendenza destinata a influenzare anche le dinamiche di prossimi mesi.

 

Si aggiunga che le politiche di prezzo di alcuni servizi, in particolare di trasporto e della sanità, continuano ad essere condizionate da esigenze di bilancio, con i conseguenti effetti sull’inflazione.

 

 

La finanza pubblica

 

Dal lato della finanza pubblica il 2001 è risultato, non solo per l’Italia, un anno non particolarmente positivo.

 

Il rallentamento economico ed una politica dei tassi d’interesse meno favorevole hanno, infatti, attenuato la tendenza alla convergenza verso gli obiettivi in termini di deficit e di debito.

 

In particolare si sottolinea come i principali rapporti caratteristici abbiano mostrato nel 2001 una sostanziale stabilizzazione sui valori registrati nell’anno precedente.

 

RAPPORTI CARATTERISTICI DEL CONTO ECONOMICO CONSOLIDATO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

 

 

1998

1999

2000

2001

Indebitamento netto / PIL (a)

-2,8

-1,8

-1,7

-1,4

Saldo primario / PIL

5,2

5,0

5,9

4,9

 

 

 

 

 

Pressione fiscale (b)

42,9

43,0

42,5

42,3

Entrate correnti / PIL

45,8

46,2

45,5

45,5

Entrate totali / PIL

46,5

46,7

45,9

45,8

 

 

 

 

 

Uscite correnti / PIL

45,4

44,4

43,9

43,8

Uscite totali al netto interessi / PIL

41,3

41,7

40,0

40,9

Uscite totali / PIL

49,3

48,4

46,4

47,2

(a) Al netto dei proventi derivanti dalla vendita delle licenze per l’UMTS

(b)   Imposte dirette, indirette, in c/capitale, contributi sociali effettivi e figurativi in rapporto al PIL.

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 

Relativamente ai parametri previsti per il processo di rientro della finanza pubblica si evidenzia come l’indebitamento netto, se pure in miglioramento rispetto al 2000, è risultato ben distante non solo dagli obiettivi fissati nel patto di Stabilità (0,8%), ma anche dalle revisioni effettuate in corso d’anno (1,1%).

 

Analizzando la dinamica delle diverse componenti si risconta come anche nel 2001 le uscite abbiano mostrato una dinamica più sostenuta rispetto alle entrate (il dato del 2000 risente dei proventi della vendita dell’UMTS imputati sulle uscite in c/capitale), sottolineando ancora una volta le difficoltà che si hanno nel tenere sotto controllo la spesa.

 

Spesa sulla quale cominciano a sentirsi anche gli effetti negativi derivanti dalla sia pure modesta crescita del costo del denaro, che ha determinato nel 2001 un aumento delle uscite correnti per interessi.

 

Le difficoltà di gestione della finanza pubblica non hanno permesso interventi dal lato della pressione fiscale, che permane su livelli particolarmente elevati e pari al 42,3% valore inferiore solo di 2 decimi di punto rispetto al 2000.

 

.

CONTO ECONOMICO CONSOLIDATO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

(milioni di euro correnti)

 

VALORI ASSOLUTI

 

1998

1999

2000

2001

USCITE

 

 

 

 

Uscite correnti al netto interessi

401.390

417.455

436.167

455.946

Interessi passivi

86.011

74.834

75.265

77.111

Totale uscite correnti

487.401

492.289

511.432

533.057

Investimenti fissi lordi

25.524

27.057

28.021

27.122

Contributi agli investimenti

11.402

13.144

13.090

15.607

Altre uscite in c/capitale

4.420

4.091

-11.652

-969

Totale uscite in c/capitale

41.346

44.292

29.459

41.760

Uscite complessive

528.747

536.581

540.891

574.817

ENTRATE

 

 

 

 

Imposte dirette

154.454

166.307

170.440

182.848

Imposte indirette

164.394

167.498

175.160

176.722

Contributi sociali effettivi e figurativi

137.712

141.129

148.074

154.519

Altre entrate correnti

34.617

36.656

35.849

39.870

Totale entrate correnti

491.177

511.590

529.523

553.959

Totale entrate in c/capitale

7.372

5.574

5.105

3.244

Entrate complessive

498.549

517.164

534.628

557.203

Saldo corrente

3.776

19.301

18.091

20.902

Indebitamento netto

-30.198

-19.417

-6.263

-17.614

Saldo primario

55.813

55.417

69.002

59.497

VARIAZIONI ASSOLUTE SUL PERIODO CORRISPONDENTE

 

 

1999

2000

2001

USCITE

 

 

 

 

Uscite correnti al netto interessi

 

16.065

18.712

19.779

Interessi passivi

 

-11.177

431

1.846

Totale uscite correnti

 

4.888

19.143

21.625

Investimenti fissi lordi

 

1.533

964

-899

Contributi agli investimenti

 

1.742

-54

2.517

Altre uscite in c/capitale

 

-329

-15.743

10.683

Totale uscite in c/capitale

 

2.946

-14.833

12.301

Uscite complessive

 

7.834

4.310

33.926

ENTRATE

 

 

 

 

Imposte dirette

 

11.853

4.133

12.408

Imposte indirette

 

3.104

7.662

1.562

Contributi sociali effettivi e figurativi

 

3.417

6.945

6.445

Altre entrate correnti

 

2.039

-807

4.021

Totale entrate correnti

 

20.413

17.933

24.436

Totale entrate in c/capitale

 

-1.798

-469

-1.861

Entrate complessive

 

18.615

17.464

22.575

FONTE: Elaborazioni Centro Studi CONFCOMMERCIO su dati ISTAT

 

LO SVILUPPO NEL 2002-2003

 

L’economia Internazionale

 

L’andamento delle maggiori economie dell’area OCSE nel prossimo biennio sconta, nelle previsioni dei principali organismi internazionali, il pessimismo diffusosi nell’ultimo trimestre del 2001 a seguito degli eventi dell’11 settembre.

 

I PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI PER L’AREA OCSE

(Variazioni % rispetto al periodo precedente se non altrimenti specificato)

 

2000

2001

2002

2003

 

Domanda interna reale

Stati Uniti

4.8

 

1.1

 

0.7

 

3.9

 

Giappone

1.1

 

-0.2

 

-1.6

 

0.2

 

Area Euro

2.9

 

1.2

 

1.5

 

2.9

 

Unione Europea

3.0

 

1.4

 

1.6

 

2.8

 

Totale OCSE

3.8

 

0.7

 

1.0

 

3.0

 

 

PIL reale

Stati Uniti

4.1

 

1.1

 

0.7

 

3.8

 

Giappone

1.5

 

-0.7

 

-1.0

 

0.8

 

Area Euro

3.5

 

1.6

 

1.4

 

3.0

 

Unione Europea

3.3

 

1.7

 

1.5

 

2.9

 

Totale OCSE

3.7

 

1.0

 

1.0

 

3.2

 

 

Inflazione (a)

Stati Uniti

2.7

 

1.8

 

1.0

 

1.4

 

Giappone

-1.1

 

-1.3

 

-1.5

 

-1.5

 

Area Euro

2.1

 

2.5

 

1.6

 

1.7

 

Unione Europea

1.9

 

2.4

 

1.8

 

1.8

 

Totale OCSE

2.9

 

2.8

 

2.1

 

1.8

 

 

Disoccupazione (in % della forza-lavoro)

Stati Uniti

4.0

 

4.8

 

6.2

 

6.0

 

Giappone

4.7

 

5.0

 

5.5

 

5.4

 

Area Euro

8.9

 

8.5

 

8.9

 

8.8

 

Unione Europea

8.1

 

7.8

 

8.1

 

8.0

 

Totale OCSE

6.2

 

6.5

 

7.2

 

7.0

 

 

Bilancia dei pagamenti (in % del PIL)

Stati Uniti

-4.5

 

-4.1

 

-3.9

 

-4.0

 

Giappone

2.5

 

2.1

 

2.9

 

3.5

 

Area Euro

-0.2

 

0.0

 

0.3

 

0.4

 

Unione Europea

-0.4

 

-0.2

 

0.0

 

0.0

 

Totale OCSE

-1.3

 

-1.2

 

-1.0

 

-1.0

 

 

Tassi di interesse a breve

Stati Uniti

6.5

 

3.8

 

2.1

 

3.1

 

Giappone

0.2

 

0.1

 

0.0

 

0.0

 

Area Euro

4.4

 

4.2

 

3.0

 

3.8

 

 

2000

2001

2002

2003

Commercio mondiale

12.8

 

0.3

 

2.0

 

8.7

 

(a) Deflatore dei consumi delle famiglie

FONTE: OECD, Economic Outlook,  n. 70, December 2001.

 

Tuttavia, la gran parte degli analisti concorda nel ritenere ormai superata la fase flettente del ciclo economico ed è quindi probabile una correzione al rialzo delle previsioni per il 2002 ed il 2003, soprattutto per un andamento meno negativo dell’economia americana.

 

Secondo l’ultima stima effettuata alla fine di febbraio dal Bureau of Economic Analysis, il quarto trimestre si è chiuso negli USA con una crescita tendenziale del PIL dell’1,4%, portando l’incremento dell’anno all’1,2% rispetto al 2000, per effetto di un miglioramento delle esportazioni nette dovuto ad una revisione al ribasso delle importazioni di beni e di una correzione al rialzo dei consumi delle famiglie di beni non durevoli.

 

Il trascinamento positivo derivante da un ultimo trimestre 2001 rivisto al rialzo, si rifletterebbe così sul 2002 dando luogo ad un profilo di crescita maggiormente positivo, sempre che la situazione internazionale non subisca un nuovo contraccolpo, anche in considerazione del grave inasprimento, nelle ultime settimane, del confronto israelo-palestinese.

 

Il 2002 sarà comunque un anno di sostanziale ristagno per le principali aree economiche, con una crescita di appena un punto sia per il PIL, sia per la domanda interna, in tutti i paesi OCSE.

 

Questo basso profilo è imputabile ad un ritmo estremamente contenuto del commercio mondiale, appena il 2%, che dovrebbe risalire quasi al 9% nel 2003 dando un forte impulso a tutte le economie, che tornerebbero a crescere su ritmi prossimi o superiori al 3% sia in termini di prodotto, sia in termini di consumi ed investimenti, anche se con livelli della disoccupazione più elevati di circa due punti per gli USA (6%)  e sostanzialmente stabili intorno al 9% per Unione Europea ed area dell’euro.

 

Il processo di rientro dall’inflazione, arrestatosi nel biennio 2000-01, dovrebbe riprendere a partire proprio da quest’anno e riportare l’incremento medio dei prezzi nel 2003 al di sotto del 2% in tutti i paesi dell’area OCSE.

 

 

L’economia Europea

 

In linea con l’evoluzione internazionale il biennio 2002-2003 si configura per la media della UE caratterizzato da tassi di sviluppo non particolarmente sostenuti.

 

La flessione del prodotto in termini congiunturali registrata nel quarto trimestre del 2001 pur rappresentando, presumibilmente, il punto più basso del ciclo, sottolinea i ritardi con i quali gli impulsi si trasferiscono all’economia europea.

 

Situazione che lascia ipotizzare una ripresa consolidata solo nella seconda parte dell’anno in corso, nel quale lo sviluppo dovrebbe, comunque, risultare prossimo all’1,5%.

 

Miglioramento che dovrebbe portare, il prossimo anno, la crescita è attesa assumere toni più sostenuti con un incremento del PIL reale per la media dell’area vicino al 3%.

 

Questa tendenza rischia di tradursi, almeno a breve, in un peggioramento del mercato del lavoro con il rischio di frenare in molti paesi il processo di avvicinamento agli obiettivi di Lisbona.

 

Il peggioramento economico e la probabile debolezza del mercato del lavoro, potrebbero inoltre condizionare l’evoluzione della finanza pubblica in molti Paesi dell’area, con il rischio del mancato rispetto degli obiettivi fissati nei Patti di Stabilità.

 

Relativamente all’evoluzione attesa dai singoli Paesi che compongono l’area si sottolinea che allo stato attuale le difficoltà maggiori nello sviluppo sono nei Paesi che hanno un ruolo, in termini di PIL, più rilevante all’interno della UE.

 

In particolare per la Germania solo nel 2003 l’economia potrebbe mostrare sintomi di ripresa, evoluzione che dovrebbe condizionare anche la crescita di paesi come l’Austria.

 

La tenuta dell’area dovrebbe essere affidata principalmente al Regno Unito, alla Francia, e alla Spagna a cui si dovrebbe associare una crescita, sia pure meno sostenuta rispetto al passato, di alcune economie emergenti quali l’Irlanda e la Grecia.

 

INDICATORI DI CRESCITA E STABILITÀ

 

 

PIL

DEFICIT/PIL

DEBITO/PIL

 

2002

2003

2002

2003

2002

2003

AUSTRIA

1,2

2,4

-0,4

0,4

61,2

58,7

BELGIO

1,3

2,8

-0,2

-0,1

103,9

99,4

FINLANDIA

1,7

2,9

2,9

2,3

42,0

41,7

FRANCIA

1,5

2,6

-2,0

-1,6

57,3

56,6

GERMANIA

0,7

2,8

-2,7

-2,2

61,0

60,6

GRECIA

3,5

4,2

0,3

0,8

98,5

95,5

IRLANDA

3,3

5,5

1,8

1,8

30,8

27,1

ITALIA

1,3

2,7

-1,2

-0,9

106,9

103,4

LUSSEMBURGO

3,0

5,4

2,8

3,2

5,2

4,9

OLANDA

1,5

3,1

0,5

1,4

48,9

45,3

PORTOGALLO

1,5

2,3

-1,6

-1,4

53,5

53,3

SPAGNA

2,0

3,2

-0,2

0,0

57,3

55,6

UEM

1,3

2,9

-1,4

-1,0

68,4

66,7

DANIMARCA

1,6

2,5

1,6

2,0

42,5

40,0

REGNO UNITO

1,7

3,0

0,4

0,5

37,2

34,8

SVEZIA

1,6

2,6

1,6

1,9

50,5

48,2

UE

1,4

2,9

-0,9

-0,6

61,8

59,9

FONTE: Commissione Europea Previsioni Autunno 2001

 

La presenza di una inflazione che pur sotto controllo dovrebbe mostrare nella media della UEM un modesto aumento nel 2002, e la politica della FED in materia di costo del denaro, dovrebbero portare la BCE verso la fine dell’anno in corso ad aumenti, sia pure contenuti, del tasso di riferimento.

 

La tendenza ad una evoluzione produttiva non particolarmente dissimile tra UEM e USA, politiche monetarie sostanzialmente analoghe ed il diffondersi dell’utilizzo dell’euro nelle transazioni internazionali dovrebbero portare ad un rapporto di cambio euro/dollaro pari a 0,90 nel 2002 e a 0,95 nel 2003.

 

Questo quadro sconta, a livello internazionale, una evoluzione delle materie prime petrolifere non particolarmente accentuata, con un prezzo del petrolio al barile in media nel periodo in esame di circa 25 dollari.

 

 

L’economia Italiana

 

Le tendenze attese dal lato dell’economia internazionale, ed europea in particolare, lasciano ipotizzare per l’Italia nel biennio 2002-2003 una crescita che, seppure in linea con le dinamiche medie della UEM, non dovrebbe risultare particolarmente accentuata.

 

Il PIL in termini reali è atteso crescere nell’anno in corso dell’1,3% e del 2,2% nel 2003.

 

CONTO ECONOMICO RISORSE E IMPIEGHI

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

 

 

CONFCOMMERCIO

GOVERNO (RPP)

 

2000

2001

2002

2003

2002

2003

PIL

2,9

1,8

1,3

2,2

2,3

3,0

IMPORTAZIONI

9,4

0,2

3,5

5,9

7,6

8,6

CONSUMI FINALI INTERNI

2,5

1,4

1,0

1,6

2,0

2,4

- Spesa delle famiglie

2,7

1,1

1,0

1,8

2,5

3,0

- Spesa delle AP e delle ISP

1,7

2,3

0,9

0,9

0,3

0,2

INVESTIMENTI

6,5

2,4

2,9

4,5

4,8

6,2

ESPORTAZIONI

11,7

0,8

2,2

5,8

5,3

7,2

 

 

 

 

 

 

 

OCCUPAZIONE (A)

388

435

151

347

 

 

INFLAZIONE

2,5

2,8

2,4

1,9

1,7

1,3

(A) Forze di lavoro dati in migliaia – variazioni assolute

FONTE: 2000-2001 ISTAT; 2002-2003 Previsioni

Questi valori che risultano decisamente più contenuti rispetto alle previsioni effettuate dal Governo nella Relazione Previsionale e Programmatica, e non ancora rivisti, risentono della situazione congiunturale e delle prospettive di ripresa dei prossimi mesi.

 

Allo stato attuale i segnali di accelerazione dell’attività produttiva italiana ed europea sono molto modesti.

 

Solo nella seconda parte del 2002, in conseguenza di una concreta ripresa della domanda estera, la cui dinamica peraltro solo nel 2003 potrà ritornare su tassi di sviluppo soddisfacenti, si dovrebbero avvertire i segnali di una netta inversione di tendenza.

 

Evoluzione che dovrebbe portare ad una ripresa delle importazioni, anche in considerazione dei livelli minimi raggiunti dalle scorte nella parte finale del 2001 insufficienti a sostenere un aumento dell’attività produttiva interna.

 

Il permanere di un quadro di sviluppo non particolarmente accentuato dovrebbe determinare una evoluzione delle diverse componenti della domanda interna, consumi ed investimenti, inadeguata rispetto agli obiettivi di crescita fissati.

 

Dal lato della domanda delle famiglie il permanere, almeno nella prima parte dell’anno, di alcuni elementi che ne hanno già frenato lo sviluppo nel corso del 2001, dovrebbe determinare una evoluzione di questa variabile ancora molto contenuta e prossima all’1,0% nel 2002.

 

In particolare la dinamica del reddito disponibile potrebbe continuare ad essere mantenuta su livelli non particolarmente elevati, nonostante il pieno esplicarsi degli effetti dei rinnovi di molti contratti, da una evoluzione dell’inflazione superiore alle stime effettuate lo scorso anno in sede di contrattazione e da una dinamica delle rendite finanziarie ancora contenuta.

 

D’altra parte l’indebolimento economico, già registrato, dovrebbe produrre una ulteriore attenuazione delle dinamiche occupazionali, attese in ripresa solo nel 2003, contribuendo a mantenere atteggiamenti molto prudenti delle famiglie nei confronti del consumo.

 

A queste tendenze potrebbero risentire anche delle scarse azioni di politica economica a sostegno del consumo.

 

L’aumento delle pensioni minime, che coinvolge tra l’altro un numero abbastanza limitato di persone, sta subendo dei ritardi tecnici e non sono previsti, a breve, quegli interventi significativi di riduzione del carico fiscale che potrebbe portare ad una maggiore disponibilità di risorse da destinare alla spesa.

 

Si aggiunga che proprio dal lato fiscale potrebbero venire, per l’introduzione delle addizionali comunali, ulteriori aggravi sul reddito familiare con effetti limitativi sul consumo.

 

Solo nel 2003 in presenza di uno sviluppo economico più sostenuto i consumi delle famiglie dovrebbero tornare a crescere su ritmi vicini al 2%.

 

Lievemente più positiva è la dinamica attesa dal lato degli investimenti.

 

L’effetto di contenimento sulla domanda di capitale da parte delle imprese, derivante da prospettive di sviluppo dell’economia non particolarmente accentuate, potrebbero essere controbilanciate positivamente dagli incentivi conseguenti all’applicazione della «Tremonti bis».

 

Ciò nonostante nel 2002, in considerazione di una prima parte dell’anno non particolarmente sostenuta e dell’attenuarsi della spinta proveniente dal settore delle costruzioni, gli investimenti dovrebbero aumentare ad un ritmo solo di poco più superiore rispetto a quanto riscontrato nel 2001.

 

Il consolidarsi della ripresa e la necessità di adeguare le attrezzature alle mutate esigenze produttive dovrebbero portare, nel 2003, ad un deciso miglioramento con una crescita stimata per questa variabile del 4,5%.

 

Le tendenze di fondo dell’economia italiana dovrebbero riflettersi in misura significativa sulle dinamiche del mercato del lavoro.

 

In considerazione dei ritardi con cui le variazioni produttive si trasferiscono sui livelli occupazionali nella prima parte del 2002 si potrebbero anche verificare delle contrazioni della base occupazionale, in particolare nel settore industriale, che dovrebbe tornare ad aumentare, sia pure a ritmi non molto sostenuti, nel corso dell’anno.

 

In conseguenza di questa evoluzione il mercato del lavoro è atteso evidenziare, nell’anno in corso, una dinamica decisamente più contenuta rispetto a quella registrata negli anni più recenti.

 

Solo nel 2003, sulla base di una crescita produttiva più sostenuta e di prospettive di sviluppo più favorevoli, si dovrebbe realizzare quel miglioramento in grado di favorire la discesa del tasso di disoccupazione sotto il 9%.

 

E’ evidente che la presenza di un quadro di riferimento decisamente più contenuto rispetto a quello su cui sono state costruite le ipotesi per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica pone seri problemi per il prosieguo del cammino di risanamento finanziario.

 

In particolare le entrate, sia le imposte dirette che le indirette, potrebbero risentire negativamente del rallentamento del ciclo economico, situazione che in presenza di spese sostanzialmente rigide rischia di determinare l’esigenza di correttivi nei prossimi mesi.

 

 

Le Economie Territoriali

 

Il quadro di sintesi dell’economia italiana nel biennio 2002-2003 sottintende, come di consueto, una evoluzione articolata a livello territoriale.

 

La contemporanea presenza di una domanda estera ancora debole e di uno sviluppo dei consumi e degli investimenti non particolarmente accentuato dovrebbe, comunque, determinare condizioni per una crescita meno dualistica rispetto al passato.

 

PIL PER RIPARTIZIONE

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

2000

2001

2002

2003

ITALIA

2,9

1,8

1,3

2,2

NORD

3,1

1,7

1,3

2,3

NORD OVEST

3,0

1,5

1,1

2,1

NORD EST

3,4

2,0

1,5

2,5

CENTRO

3,2

1,7

1,2

2,1

SUD

2,4

2,1

1,3

1,9

FONTE: STIME CONFCOMMERCIO

 

 

Nord ovest

 

Le regioni del nord ovest dovrebbero registrare nel 2002-2003 tassi di sviluppo molto contenuti.

 

La crescita dell’area dovrebbe, infatti, essere condizionata dal non brillante andamento di alcuni settori dell’industria manifatturiera e dal rallentamento produttivo che sta registrando nel 2002 il comparto agricolo.

 

Il conseguente rallentamento del mercato del lavoro, che in entrambi gli anni dovrebbe, comunque, mostrare una dinamica positiva per effetto dell’offerta proveniente dal settore dei servizi, si rifletterà inevitabilmente sulla dinamica della domanda delle famiglie.

 

Solo per la componente relativa agli investimenti si dovrebbe registrare nel biennio in esame una dinamica più sostenuta rispetto alla media nazionale, evoluzione derivante sia dall’apertura di alcuni cantieri, tra i quali quelli legati alle opere di Torino 2006, sia dalla necessità di alcune imprese di ampliare la capacità produttiva e innovare la dotazione di capitale.

 

INDICATORI MACROECONOMICI- NORD OVEST

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

2000

2001

2002

2003

PIL

3,0

1,5

1,1

2,1

SPESA DELLE FAMIGLIE

2,7

1,1

1,0

1,7

INVESTIMENTI

6,6

2,2

3,9

5,4

 

 

 

 

 

OCCUPATI  (A)

99

117

42

103

(A) Dati in migliaia – variazioni assolute

FONTE: Stime CONFCOMMERCIO

 

 

Nord est

 

In considerazione della vocazione esportativa di tutte le regioni che compongono l’area, la ripresa dell’attività produttiva internazionale, con un aumento degli scambi, dovrebbe coinvolgere in primo luogo il nord est.

 

Nel 2002 la crescita sarà comunque ancora contenuta in conseguenza di una prima parte dell’anno non particolarmente brillante, solo nel 2003 il tasso di sviluppo dovrebbe tornare su livelli prossimi al 2,5%.

 

Tale dinamica dovrebbe favorire una ripresa della domanda delle famiglie, in conseguenza anche del miglioramento del mercato del lavoro.

 

La tendenza ad una crescita produttiva più accentuata rispetto alle dinamiche più recenti dovrebbe determinare un deciso aumento della domanda per investimenti.

 

Bisogna, infatti, considerare che anche nella fase più negativa del ciclo il grado di utilizzo degli impianti nel nord est non è mai sceso al di sotto dell’80%, valore nettamente più elevato rispetto alle altre aree del paese.

 

INDICATORI MACROECONOMICI- NORD EST

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

2000

2001

2002

2003

PIL

3,4

2,0

1,5

2,5

SPESA DELLE FAMIGLIE

2,9

1,3

1,2

1,9

INVESTIMENTI

7,6

3,5

3,2

5,0

 

 

 

 

 

OCCUPATI  (A)

104

67

38

71

(A) Dati in migliaia – variazioni assolute

FONTE: Stime CONFCOMMERCIO

 
 
Centro

 

Nel periodo 2002-2003 le regioni dell’Italia centrale dovrebbero evidenziare nel complesso tassi di sviluppo sostanzialmente contenuti. In particolare questa tendenza dovrebbe riflettere le difficoltà dell’economia umbra e laziale.

 

La Toscana e le Marche dovrebbero, infatti, risentire in misura più positiva della ripresa dei flussi esportativi di alcuni beni di consumo.

 

La tendenza ad una attività produttiva non particolarmente accentuata dovrebbe condizionare lo sviluppo del mercato del lavoro atteso in modesta crescita.

 

In considerazione di questa evoluzione anche la domanda per consumi delle famiglie è attesa crescere a ritmi abbastanza contenuti, in particolare nel 2002.

 

Dal lato degli investimenti la tendenza dovrebbe essere improntata ad uno sviluppo più contenuto rispetto alle altre ripartizioni. Su questa componente grava oltre che una evoluzione produttiva non particolarmente brillante anche l’effetto indotto dalla fine delle opere del Giubileo che avevano portato negli anni precedenti a consistenti investimenti nell’area.

 

INDICATORI MACROECONOMICI- CENTRO

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

2000

2001

2002

2003

PIL

3,2

1,7

1,2

2,1

SPESA DELLE FAMIGLIE

2,8

0,9

0,8

1,8

INVESTIMENTI

6,1

1,6

1,3

3,4

 

 

 

 

 

OCCUPATI  (A)

   83

  90

28

67

(A) Dati in migliaia – variazioni assolute

FONTE: Stime CONFCOMMERCIO

 

 

Mezzogiorno

 

La tendenza alla decelerazione dell’attività produttiva internazionale ed italiana sembra aver arrestato la tendenza ad un graduale recupero dell’economia meridionale rispetto alle altre aree del Paese.

 

In considerazione del ritardo con cui gli impulsi si trasferiscono sulle economie delle regioni del mezzogiorno e della minor dipendenza produttiva dall’export, quest’area dovrebbe, comunque, mostrare nell’anno in corso una evoluzione lievemente meno negativa rispetto ad altre aree.

 

Analogamente la ripresa potrebbe essere avvertita con un certo ritardo rispetto al nord condizionando la crescita nel 2003.

 

Questo processo dovrebbe portare ad una evoluzione del mercato del lavoro non in linea con le necessità dettate dai livelli di disoccupazione dell’area.

 

Ciò nonostante il miglioramento in alcune regioni, quali l’Abruzzo, il Molise e la Campania dovrebbero indurre ad una ripresa nel 2003 della domanda delle famiglie.

 

Dal lato degli investimenti è attesa una evoluzione sostanzialmente positiva, anche se insufficiente a colmare i ritardi di cui soffre il mezzogiorno in termini di dotazione di capitale, in conseguenza anche del probabile avvio di alcune grandi opere.

 

INDICATORI MACROECONOMICI- MEZZOGIORNO

(Variazioni percentuali sull’anno precedente)

 

 

2000

2001

2002

2003

PIL

2,4

2,1

1,3

1,9

SPESA DELLE FAMIGLIE

2,6

1,1

1,0

1,9

INVESTIMENTI

5,5

2,0

2,6

3,7

 

 

 

 

 

OCCUPATI  (A)

103

161

43

106

(A) Dati in migliaia – variazioni assolute

FONTE: Stime CONFCOMMERCIO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA QUESTIONE LAVORO NELLA LOGICA DI LISBONA

 

 

Il traguardo della piena occupazione ha acquisito un'importanza centrale nella strategia futura della UE sulla base di quanto indicato nel Consiglio Europeo di Lisbona (marzo 2000) dove furono posti degli obiettivi per gli stati membri che puntano nei prossimi dieci anni a fare dell'Unione un'economia " basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".

 

Il raggiungimento di tale obiettivo poggia, a livello generale, sulle seguenti azioni che tutti gli stati membri sono chiamati a realizzare:

¨      predisporre il passaggio verso un'economia e una società basate sulla conoscenza, migliorando le politiche in materia di società dell'informazione e di R&S, nonché accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della competitività e dell'innovazione e completando il mercato interno;

¨      modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l'esclusione sociale;

¨      sostenere il contesto economico sano e le prospettive di crescita favorevoli applicando un'adeguata combinazione di politiche macroeconomiche.

 

In questo quadro il traguardo della piena occupazione deve essere attuato attraverso un percorso che favorisca l'ampliamento della forza lavoro, puntando entro il 2010 ad avere sia un tasso di occupazione che nella media europea si avvicini il più possibile al 70%, contrariamente alla situazione attuale in cui tale tasso supera di poco il 63%, sia un aumento del numero delle donne occupate per raggiungere una media superiore al 60% entro il 2010.

 

Allo stato attuale l’analisi degli indicatori chiave in materia di occupazione mette in evidenza posizioni diversificate tra i vari paesi europei e la situazione dell'Italia non è tra le migliori, nonostante alcuni progressi fatti nell'applicare le raccomandazioni comunitarie per quanto riguarda il mercato del lavoro.

 

A tale proposito la Commissione (cfr. “Report on the implementation of the 2001 broad economic policy guidelines”) ritiene che in Italia siano stati attuati nel 2001 soltanto provvedimenti minori, anche se è stata proposta un’ampia serie di riforme del mercato del lavoro che sembrano in qualche modo voler affrontare i principali problemi strutturali.

 

 

 

TASSO DI OCCUPAZIONE NEI PAESI UE – ANNO 2000


 


Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati EUROSTAT

 

Nel 2000 erano pochi i paesi con un tasso di occupazione complessivo (ovvero il rapporto tra la popolazione occupata di età tra i 15 e i 64 anni e la popolazione totale di età tra i 15 e i 64 anni) superiore al 70%, rispetto ad una media europea pari al 63,2%; si tratta in particolare della Danimarca (76,3%), dell'Olanda (73%), della Svezia (70,8%%) e del Regno Unito (71,5%) a cui si contrappongono paesi con valori molto distanti tra i quali la Spagna (54,8%) e la Grecia (55,7%) per arrivare all'Italia che registra il tasso di occupazione più basso (53,7%).

 

Se per la partecipazione al lavoro della componente maschile il valore che registrava l'Italia pari al 67,5%, si avvicina alla media europea che è pari al 72,5%, risulta molto bassa la partecipazione delle donne con un valore (39,6%) che pone il nostro paese all'ultimo posto della graduatoria europea, molto lontano dai tassi registrati e dalla Danimarca (71,6%), dalla Svezia (69,3%), dalla Germania (57,8%), dalla Francia (55,1%), dal Portogallo (60,3%).

 

Nel 2001 il tasso di occupazione italiano è cresciuto nel complesso raggiungendo una quota pari al 54,6%, così anche quello femminile passato a 41,1%; la mancanza dei dati relativi agli altri Paesi della UE non ci permette di fare confronti più aggiornati.

 

La disaggregazione del tasso di occupazione per classi di età evidenzia in Italia la scarsa partecipazione, rispetto ad altri paesi, della componente giovanile (15-24 anni) registrando un tasso del 26% rispetto ad una media europea che è pari al 40,3%, come anche la scarsa partecipazione della componente più anziana.

 

Tra le azioni prioritarie da realizzare nel quadro delle strategie europee per l'impiego figura la lotta contro la disoccupazione, in particolare quella giovanile, quella strutturale di lungo periodo e contro i marcati squilibri regionali in materia che restano endemici in certe zone dell'Unione, soprattutto in alcune regioni dell'Italia meridionale.

 

 

IL TASSO DI OCCUPAZIONE PER CLASSSI DI ETA' –

 ANNO 2000


Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Eurostat

 

 


La posizione dell'Italia anche sotto questo punto di vista, denuncia ancora un divario con altri importanti paesi UE pur registrando dei miglioramenti in questi ultimi anni. Nel 2001, dopo la Spagna e la Grecia, il nostro Paese ha il tasso di disoccupazione più alto (9,5%) contro una media europea pari a 7,8%, ma si distingue anche per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile (28,2%, in Europa è il 15,5%) e quello di lunga durata (6,4%, in Europa 3,6%, dati del 2000).

 

 


TASSO DI DISOCCUPAZIONE NELLA UE - ANNO 2001

(*) Il tasso di disoccupazione di lunga durata è riferito all’anno 2000.

Fonte: Elaborazioni Centro studi Confcommercio su dati Eurostat

 

 

 

I TASSI DI DISOCCUPAZIONE NELLA UE - ANNO 2001

 

 

Complessivo

Giovanile

Lunga durata (*)

UE -15

7,8

15,5

3,6

Belgio

6,9

17,4

3,8

Danimarca

4,5

6,7

1

Germania

7,9

9,4

3,9

Grecia

11,1

29,6

6,1

Spagna

13,1

24,9

5,9

Francia

9

20,1

3,7

Irlanda

3,9

6,2

1,6

Italia

9,5

28,2

6,4

Lussemburgo

2,4

7,3

0,5

Olanda

2,3

4,7

0,8

Austria

3,8

5,7

1

Portogallo

4,1

9,2

1,7

Finlandia

9,1

19,7

2,8

Svezia

5,1

11,1

1,3

Regno Unito

5,1

12,2

1,5

(*) Il tasso di disoccupazione di lunga durata è riferito all’anno 2000.

Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Eurostat

Il rispetto da parte dell'Italia degli obiettivi fissati a Lisbona per i prossimi dieci anni in materia di occupazione implicherebbe la realizzazione - anche favorendo l'emersione del lavoro sommerso – di circa 4 milioni di posti di lavoro ufficiali di cui circa l’80% nel Mezzogiorno.

 

Si tratterebbe di concentrare l’azione nelle aree a più forte ritardo dove le rigidità del mercato hanno costituito un freno allo sviluppo, come nel Mezzogiorno; qui il tasso di partecipazione al mercato del lavoro nella classe 15-64 anni è attualmente di poco superiore al 43%, quello delle donne è pari al 26,1%, mentre il tasso di disoccupazione supera di poco il 19%, contro valori del nord prossimi al 63% per quanto riguarda il tasso di occupazione e pari al 4% per quanto riguarda il tasso di disoccupazione.

 

In sostanza gli interventi dovrebbero essere volti ad invertire la tendenza degli ultimi cinque anni che ha visto una elevatissima concentrazione nel centro-nord della nuova occupazione (circa il 75% dell’aumento verificatosi tra il 1995 ed il 2001).

 

Per realizzare questi obiettivi vista la dimensione quantitativa e temporale del fenomeno, sono necessari non più interventi congiunturali, ma azioni strutturali volte ad un aumento significativo degli investimenti e, per quanto concerne i temi più strettamente attinenti al mercato del lavoro, ad una riduzione dei costi, all’aumento della flessibilità e alla semplificazione normativa, nodi che da sempre limitano l’effettivo decollo del mercato del lavoro in particolare nel mezzogiorno.

 

Si sottolinea, inoltre, come l'attenzione debba essere concentrata sul terziario, settore che ha contribuito, con oltre un milione di posti di lavoro, in misura quasi esclusiva alla crescita occupazionale italiana degli ultimi anni.

 

 

 

 

 

 

LA COMPETITIVITA' DELL'ITALIA NEL CAMPO DELLA FORMAZIONE, DELLA RICERCA, DELL’INNOVAZIONE

 

 

Un'economia basata sulla conoscenza, così come è stata prospettata nel Consiglio Europeo di Lisbona (marzo 2000) deve poter contare su un livello di istruzione della popolazione sempre più elevato e qualificato, sulla diffusione generalizzata di tecnologia, su una attività di ricerca di qualità e un processo di innovazione continuo.

 

Pur tenendo conto di notevoli passi avanti, il percorso di transizione dell'Italia verso questo tipo di economia è ancora lungo e, tenuto conto del contesto europeo, i passi da fare sono tanti.

 

In primo luogo viene chiamato in causa il funzionamento del nostro sistema formativo e professionale oggetto di interesse prioritario da parte degli ultimi governi succedutisi in Italia che, sulla base di presupposti ideologici diversi, hanno dato avvio a una serie di profonde riforme e riforme delle riforme di cui gli esiti sono ancora tutti da valutare.

 

In termini di spesa quella pubblica per l'istruzione è pari al 4,6% del Pil  (anno 2000), quasi in linea con la media europea (5%), ma ci sono paesi come la Svezia, la Danimarca, l'Austria e paesi Ocse come gli Stati Uniti e  il Canada che investono di più.

 

L'obiettivo poi di avere persone altamente istruite si scontra, ad esempio, con il problema ancora non superato degli abbandoni nel sistema scolastico italiano.

 

E' rilevante soprattutto nel primo biennio di scuola secondaria superiore, in particolare nei corsi tecnico-professionali, nonostante che oggi gli studenti tendono a concludere il ciclo scolastico più di quanto facevano nel passato, come sta a dimostrare il tasso di scolarità secondaria superiore che si è attestato nel 2000 su un valore pari all'84,3%.

 

Ma l'abbandono degli studenti è un fenomeno accentuato anche nel sistema universitario dove una matricola su quattro non sostiene gli esami al termine del primo anno e vi è una perdita di iscritti tra primo e secondo anno che supera il 21%.

 

D'altro canto cresce nel complesso il numero di laureati (+62,1% nel periodo 1990-1999), ma rimane forte il divario tra i titoli conseguiti riconducibili all'area unanistico-sociale (il 63,8% dei laureati nel 1999) rispetto all'area tecnico-scientifica dove si registra una debole  propensione da parte degli studenti.

 

Riguardo quest'ultimo aspetto le rilevazioni fatte da Eurostat relativamente al 2000 evidenziano come i valori che registra l'Italia siano distanti da quelli di altri paesi: neanche 10 laureati per mille abitanti con un'età compresa tra 20 e 29 anni, quando in altri Paesi come l'Irlanda, la Finlandia, il Regno Unito, la Svezia e la Spagna questi sono 10 e oltre.

 

Va registrato, inoltre, che per la maggior parte dei cittadini italiani, ma lo stesso vale per l'insieme dei cittadini europei, l'apprendimento nel corso di tutto l'arco della vita è una pratica che ancora non trova adeguato spazio.

 

Altro elemento importante per misurare la competitività di un sistema Paese è dato dalla presenza di un'intensa attività di ricerca e sviluppo, capace di produrre innovazione, e l'Italia su questo campo dimostra ancora segnali d'arretratezza, specie se si guarda al contesto internazionale.

 

Gli indicatori che generalmente vengono utilizzati per misurare il grado di innovazione di un paese (gli investimenti in ricerca e sviluppo e il numero di brevetti depositati) danno un quadro significativo di quale sia la situazione del nostro Paese.

 

Attualmente l'incidenza percentuale rispetto al PIL della spesa in R&S intra-muros, ovvero quella che le imprese, le Università e gli enti pubblici svolgono al loro interno, con personale e attrezzature proprie, è pari all'1,04% (ultimo dato disponibile relativo al 1999), un valore ridotto rispetto a quello che si riscontrava nel 1991 che era pari all'1,24%.

 

 

SPESA PER R&S INTRA-MUROS IN ITALIA

 

 

SPESA TOTALE  (valori assoluti in milioni di euro) (a)

 

 

ANNI

 

 

A prezzi correnti

 

A prezzi costanti 1995 (a)

Variazioni %                          su anno precedente

 

Rapporto sul PIL (valore %)

 

 

 

A prezzi correnti

A prezzi costanti 1995 (b)

 

1997

10.790

10.000

-

 -

1,05

1998

11.431

10.326

5,9

3,3

1,07

1999

11.524

10.244

0,8

-0,8

1,04

 

(a) I dati sono espressi in Euro per tutti gli anni considerati con riferimento al tasso di conversione di 1936,27 lire per 1 Euro

(b) Calcolati mediante il deflatore del PIL

Fonte: Istat

 

 

Negli ultimi anni la capacità di spesa non ha registrato significative accelerazioni nonostante vi sia stato un incremento dei valori correnti della spesa totale (+ 5,9% nel 1998 e +0,8% nel 1999) in quanto in termini reali la variazione è stata pari a +3,3% nel 1998 e -0,8% nel 1999.

 

Collocata nel panorama internazionale l'Italia resta uno dei Paesi con la più bassa spesa rispetto alla media Ue avanti solo a Grecia, Spagna e Portogallo i cui valori sono inferiori a quello italiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

SPESE IN R&S E RIPARTIZIONE PER SETTORI ISTITUZIONALI

(valori percentuali)

 

% sul PIL - 1999 (*)

Settori istituzionali - 2000  (**)

 

 

Imprese

Enti pubblici

Università

UE -15

1,92

66

14

20

Belgio

1,98

72

3

24

Danimarca

2

63

16

21

Germania

2,44

70

14

16

Grecia

0,51

26

24

51

Spagna

0,89

54

17

30

Francia

2,19

65

18

17

Irlanda

1.39

74

7

19

Italia

1,04

54

21

25

Olanda

1,94

54

19

27

Austria

1,83

n.d.

n.d.

n.d.

Portogallo

0,76

25

31

43

Finlandia

3,19

68

12

20

Svezia

3,8

75

3

21

Regno Unito

1,87

69

11

20

Giappone

3,04

74

10

16

USA

2,64

78

7

15

(*) 1998 per Grecia, Irlanda, Olanda

(**) 1999 per Belgio, Danimarca, Italia, Portogallo, Finlandia, Svezia; 1998 per Olanda;1997 per Grecia e Irlanda.

Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Eurostat

 

Tutti gli altri paesi, in particolare Francia e Germania, evidenziano una spesa in R&S in rapporto al Pil più che doppia di quella italiana, mentre la capacità di spesa in Svezia e in Finlandia arriva quasi a sfiorare il 4%; significativo è anche lo scarto rispetto agli Usa e al Giappone che destinano rispettivamente il 2,6% e il 3,04% del loro Pil in R&S.

 

Nella ripartizione delle spese in R&S per settori istituzionali, emerge in Italia il ruolo rilevante delle imprese, soprattutto quelle del settore industriale in quanto concentrano il 54% di queste, ma va sottolineato che l'attività di ricerca è svolta per il 78% nelle imprese con almeno 500 addetti mentre poco significativo è il contributo delle piccole imprese (sotto i 50 addetti) pari al 2,8% del totale; la restante parte della spesa viene utilizzata dai soggetti che operano nell'ambito dell'Università (25%) a cui si affianca il sistema degli enti pubblici (21%).

 

 

Spesa delle imprese per R&S intra-muros, per settore di attività economica -  Anni 1997-2001

(Valori assoluti in migliaia di Euro correnti)

 

 

VALORI ASSOLUTI

VARIAZIONI %

 

1997

1998

1999

2000(*)

2001(*)

1998

1999

2000

(*)

2001(*)

Industria

4.649.729

4.401.483

4.620.283

4.758.408

5.209.570

-5,3

5,0

3,0

9,5

Commercio all'ingrosso e

al dettaglio

25.241

32.095

24.436

24.326

21.671

27,2

-23,9

-0,5

-10,9

Trasporti terrestri

2.774

704

260

217

310

-74,6

-63,1

-16,5

42,9

Attività di supporto

ed ausiliarie dei trasporti

3.963

4.647

6.481

6.710

8.483

17,3

39,5

3,5

26,4

 Poste e telecomunicazioni

30.873

30.591

4.767

6.284

5.604

-0,9

-84,4

31,8

-10,8

Informatica e attività connesse

123.635

173.143

161.872

149.306

146.809

40,0

-6,5

-7,8

-1,7

Ricerca e sviluppo

348.446

705.126

687.993

764.819

821.814

102,4

-2,4

11,2

7,5

 Altre attività professionali

ed imprenditoriali

130.503

106.475

102.172

132.448

140.845

-18,4

-4,0

29,6

6,3

Altri servizi

61.557

78.503

75.769

83.317

86.873

27,5

-3,5

10,0

4,3

TOTALE

5.376.721

5.532.766

5.684.034

5.925.835

6.441.980

2,9

2,7

4,3

8,7

(*) Previsioni 

Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Istat

 

Da questo punto di vista la situazione negli altri paesi dove la spesa in R&S rispetto al Pil è maggiore di quella italiana è alquanto diversa: qui si registra un contributo significativo del sistema imprenditoriale nell'attività di ricerca tale da far sembrare ancora modesto quello espresso dal sistema imprenditoriale italiano.

 

Negli Stati Uniti e in Giappone la quota delle spese realizzata presso le imprese raggiunge rispettivamente il 78% e il 74%, mentre in tutti gli altri Paesi della UE, ad esclusione di Svezia, Irlanda e Belgio, tale valore è inferiore al 70%.

 

Anche in materia di brevetti l'Italia dimostra un'attività ancora molto lontana dai risultati degli altri maggiori paesi industrializzati, sia per quanto riguarda il numero di brevetti presentati che il tasso di crescita degli stessi.

 

Nel corso degli anni 1990-1998 le domande di brevetto presentate dagli Stati membri della UE presso l'OEB (l'Ufficio Europeo dei Brevetti) registrano nel complesso una tendenza alla crescita (+5,3% in media l'anno) che è più accentuata in alcuni paesi dove maggiore è la distanza da colmare rispetto a realtà più avanzate.

 

E' il caso del Portogallo che tra il 1990 e il 1998 le domande sono aumentate in maniera rilevante con una crescita del 20,8% in media d'anno, seguita dalla Spagna (+14,5%), Finlandia (+13%), Irlanda (+12,8%) e Grecia (+12,5%); contrariamente i tassi più deboli di crescita hanno interessato l'Italia (+5%), la Germania (5%), la Francia (+3,7%) e il Regno Unito (+3%).

 

L'Italia rimane comunque un paese che produce un numero non molto elevato di domande di brevetto rispetto agli altri paesi: nel 1999 delle 45 mila domande presentate dai 15 stati membri della UE solo il 7,5% erano italiane, rispetto a quelle provenienti dalla Germania che si dimostra il paese più attivo (43,6%), seguito dalla Francia (14,9% del totale delle domande) e dal Regno Unito (12,3%).

 

Il rapporto tra domande di brevetto e popolazione attiva, che consente di avere un quadro comparabile riguardo al potenziale innovativo presente in ciascun paese, vede in testa la Germania con 493 domande ogni milione di popolazione attiva mentre l'Italia occupa il 12° posto con 143 domande, rispetto ad una media UE pari a 261 domande ogni milione di popolazione attiva.

 

 

 

Domande di Brevetti ogni milione di popolazione attiva –

 Anno 1999


Fonte: Elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Eurostat

 

 

 


Analizzando le regioni dei paesi europei la Lombardia occupa il 7° posto con 1.096 domande nel 1999, ma tra le prime 10 regioni europee molte appartengono alla Germania; mentre per quanto riguarda la classifica delle prime 10 regioni da cui provengono le domande di brevetti di alta tecnologia, la Lombardia scende al 9° posto in un quadro dove il predominio tedesco è limitato è vi è una maggiore diversità geografica.

 

Gli elementi fin qui indicati, anche se non completamente esaustivi, richiamano l'attenzione su quello che è uno dei nodi strategici per il rilancio del sistema paese in quanto in un mercato globalizzato la competizione tende a basarsi sulla capacità di produrre nuovi prodotti e nuovi servizi e a rendere quanto più ampio possibile l'utilizzo dei processi di innovazione tecnologica.

 

Per l'Italia si tratta di recuperare terreno in una situazione che deve fare i conti con:

¨      una scarsità di risorse pubbliche da destinare alla R&S;

¨      una limitata partecipazione delle imprese, specie le pmi, ad attività di ricerca, ostacolata dalla mancanza di adeguati incentivi e di specifici strumenti finanziari che ne incoraggino la realizzazione;

¨      una mancanza di adeguate risorse umane;

¨      una distanza tra il mondo della conoscenza e il sistema imprenditoriale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INVESTIMENTI E INFRASTRUTTURE: UN QUADRO DI INSIEME

 

 

Premessa

 

Uno degli aspetti fondamentali per lo sviluppo socioeconomico di un paese è sicuramente la sua dotazione infrastrutturale presente sul territorio.

 

Il ritardo italiano nella dotazione di infrastrutture è storico, nel “Libro Bianco” della Presidenza del Consiglio del 1995 era documentata la situazione di arretratezza infrastrutturale del nostro Paese.

 

Nel “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione” del 2000 il tema degli investimenti nelle opere infrastrutturali era in primo piano, venivano evidenziati i limiti nella realizzazione infrastrutturale dovuti alla difficoltà di pianificare i lavori e di ottenere le risorse finanziarie per portarli a termine.

 

L’approvazione della “Legge obiettivo” da parte dell’attuale Governo, ha posto le premesse per rendere più agevoli gli investimenti infrastrutturali attraverso l’abolizione di alcuni ostacoli nelle procedure di erogazione dei finanziamenti che ritardavano la realizzazione delle opere.

 

 

L’analisi dei dati

 

Dall’esame dei dati di seguito riportati è evidente il forte divario tra l’indicatore generale di dotazione infrastrutturale, con riferimento all’indice Italia=100, del Mezzogiorno (63,3) con quello delle altre zone del Paese.

 

 

 

 

 

INFRASTRUTTURE, PIL PER ABITANTE E TASSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE

 

Dotazione infrastrutturale

PIL per abitante

Tasso di industrializzazione

Nord-Ovest

119,7

123,5

141,4

Nord-Est

130,1

125,5

135,8

Centro

112,0

107,6

92,4

Mezzogiorno

63,3

66,3

56,4

ITALIA

100,0

100,0

100,0

Fonte: Ecoter

 

Suddividendo per aree geografiche le dotazioni di infrastrutture economiche, (trasporti – comunicazioni - acqua ed energia) risulta evidente la forte distanza tra la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno (59,3) con quella del Centro-Nord (122,4).

 

Tale divario pur rimanendo forte per tutte le categorie infrastrutturali citate, è preoccupante soprattutto nei settori energetico ed idrico che presentano una dotazione inferiore al 50% della media nazionale.

 

DOTAZIONE INFRASTRUTTURALE SUL TERRITORIO

 

Trasporti

Comunicazioni

Energia

Idriche

Infrastrutture economiche

Nord-Ovest

112.4

113.7

149.3

138.6

127.5

Nord-Est

120.9

114.2

160.5

137.6

132.1

Centro

110.4

112.3

92.3

111.8

106.4

Mezzogiorno

80.4

76.5

43.6

46.0

59.3

ITALIA

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

Fonte: Ecoter

 

Per quanto riguarda il confronto con gli altri paesi europei, va detto che la forte divergenza tra le aree del nostro Paese è tra le cause di arretratezza rispetto a Germania, Inghilterra e Francia.

 

Fatta pari a 100 la media dei paesi considerati, l’Italia ha una dotazione infrastrutturale media di 94.1, mentre la Germania di 121.2, il Regno Unito di 116.5 e la Francia è a 105.7. Solo la Spagna mostra dei dati inferiori a quelli italiani.

 

LE INFRASTRUTTURE NEI PAESI UE, UN CONFRONTO CON IL MEZZOGIORNO

 

Trasporti

Comunicazioni

Energia

Dotazione di infrastrutture economiche

Germania

120.1

96.6

153.5

121.2

Regno Unito

184.9

100.1

85.4

116.5

Francia

98.4

115.2

104.0

105.7

ITALIA

97.1

92.2

92.9

94.1

Mezzogiorno

78.0

70.5

40.5

55.8

Spagna

48.6

95.7

65.0

67.1

Ue5

100.0

100.0

100.0

100.0

Fonte: Elaborazione Centro Studi Confcommercio su dati Ecoter

 

I valori appena evidenziati sono imputabili soprattutto alla debolezza di alcune regioni italiane rispetto a quelle degli altri paesi. E’ diventata prioritaria, quindi, la necessità di riempire i vuoti strutturali causati dai forti ritardi nella realizzazione delle infrastrutture e dei servizi pubblici locali nel Paese, in particolare nel Mezzogiorno. E’ interessante notare come da un paragone tra i dati del Mezzogiorno e quelli di alcuni Paesi UE, sia evidente l’arretratezza nella quale versa questa area del nostro Paese.

 

Inoltre, la necessità di adeguare il sistema infrastrutturale deve essere supportata da investimenti cospicui che per la loro dimensione non possono essere sostenuti solo dal capitale statale ma devono necessariamente coinvolgere anche i privati.

 

Alcuni studi recenti hanno stimato che, con un’ipotesi di spesa di 10 anni, sono necessari investimenti nell’ordine di circa 6.2 miliardi di euro l’anno per consentire alle Regioni “meno strutturate” di limitare il loro gap nei confronti delle altre. Inoltre è importante effettuare una programmazione di spesa secondo i vincoli che il paese si impone e porre le condizioni di lavoro migliori tra potere centrale e poteri locali; va inoltre aumentata l’efficacia degli investimenti pubblici come le occasioni di sostegno del capitale privato nei servizi pubblici locali.

 

 

Le aspettative

 

Gli indirizzi della legislazione vigente in tema di investimenti e infrastrutture evidenziano la necessità di azioni per:

1.    la verifica periodica del volume degli investimenti pubblici e dei risultati raggiunti (Legge 144/99),

2.    l’impegno di risorse per studi di fattibilità e nuove progettazioni,

3.    accordi tra il governo centrale e le istituzioni locali,

4.    l’attuazione prioritaria dei completamenti delle opere,

5.    impegni per la manutenzione e costruzione di nuove opere infrastrutturali (strade, ferrovie, edilizia pubblica, rete idrica, ecc.).

 

Gli investimenti già previsti riguardano i settori: idrico, igienico- ambientale e trasporti pubblici locali.

1.    Settore idrico: in questo caso gli investimenti vogliono colmare i ritardi strutturali e di metodo nella raccolta, nell’adduzione e nella distribuzione di acqua. La stima di spesa del Ministero dei Lavori pubblici è di 46 miliardi di euro per dieci anni.

2.    Igiene ambientale: si sta rivolgendo grande attenzione alle tecniche di raccolta differenziata, di smaltimento dei rifiuti, e di trattamento dei residui di lavorazione, in questo caso la spesa prevista riportata nel Piano generale dei trasporti è di 13 miliardi di euro.

3.    Trasporti locali e regionali: finanziamenti mirati allo sviluppo della rete viaria e ferroviaria che in alcune zone del Paese non è neanche elettrificata.

 

Dunque sono questi i settori nei quali verranno riversati nei prossimi anni la maggior parte degli investimenti infrastrutturali. E’ importante sottolineare, inoltre, che molti degli interventi saranno effettuati nel Mezzogiorno, e per il Centro-Nord si procederà ad un miglioramento ed ampliamento dei servizi offerti.

 

E’ evidente che c’è una grossa attesa per i ritorni positivi dati dagli investimenti in infrastrutture, ci si aspetta che tali ricadute genereranno nuova occupazione, crescita economica e miglioramento della qualità della vita per chi ne usufruisce, è importante data l’entità degli investimenti, che la realizzazione di tali opere sia supportata dall’intervento dei privati.

 

In Italia, dunque, sembra aprirsi un periodo di grandi interventi infrastrutturali. Per il Paese è arrivato il momento di colmare il ritardo accumulato rispetto ai principali concorrenti europei avviando il potenziamento di strade, autostrade, ferrovie, porti, metropolitane, reti idriche.

 

Gli impegni di competenza in conto capitale per infrastrutture assunti dalla Amministrazioni centrali sono aumentati del 7,2% fra il 1998 e il 1999, e nel complesso degli investimenti pubblici delle Amministrazioni centrali dello Stato la quota imputabile a impieghi infrastrutturali è salita dal 68,3% del 1998 al 70,3% del 1999, evidenziando la crescente attenzione che si rivolge a questo tipo di investimenti.

 

Secondo le stime del Governo, l’attuale piano per ammodernare le infrastrutture è di 132 miliardi di euro (circa 256.000 mld di lire) da spendere nei prossimi dieci anni.

 

Il nodo da risolvere non è la previsione di ulteriori stanziamenti, bensì una rigorosa tempificazione della cantierizzazione degli interventi e dell’erogazione delle risorse.

 

Ciò anche allo scopo di utilizzare il volano delle grandi opere per accelerare lo sviluppo del Paese.

 

 

 

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