Ecco i conti che non tornano sull'occupazione

Ecco i conti che non tornano sull'occupazione

Secondo l'Istat in Italia ci sono oltre sei milioni di persone che sognano di lavorare, cioè il 15% dei circa 39 milioni di residenti con un età tra i 15 e 164 anni: questa cifra si ottiene sommando I disoccupati (2,9 milioni) e i lavoratori potenziali in cerca di occupazione (3,2 milioni).

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3 gennaio 2018

 

Tratto dal Corriere della sera

A cura di Enrico Marro

 

"Sottolineo, ancora una volta, che il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro".  Così Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno in televisione. Nonostante nella legislatura appena conclusa i posti di lavoro siano aumentati, tornando ai livelli precedenti la crisi economica, il richiamo del presidente della Repubblica è più che mai attuale perché sono ancora tante le anomalie e i problemi strutturali che devono essere risolti nel mercato del lavoro italiano. Se il lavoro è in cima alle preoccupazioni delle famiglie è perché, sottolinea l'Istat, in Italia ci sono oltre 6 milioni di persone che sognano di lavorare, cioè il 159 dei circa 39 milioni di residenti con un'età fra 15 e 64 anni. Questi 6 milioni di aspiranti lavoratori si ottengono sommando i disoccupati, 2,9 milioni, e le «forze di lavoro potenziali», cioè coloro che non hanno cercato un impiego nelle ultime 4 settimane, ma sono subito disponibili a lavorare, che sono 3,2 milioni. I dati sono nell'ultima rilevazione disponibile, quella sul terzo trimestre 2017. Si tratta non solo di creare più lavoro. E qui serve la crescita dell'economia. Ma di favorire l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro perché, paradossalmente, aumentano le difficoltà delle imprese a trovare i lavoratori di cui hanno bisogno. Succede nel 21% dei casi secondo una recentissima indagine Unioncamere-Anpal. Nonostante la riforma, il sistema di collocamento è ancora inefficiente.

Un milione di impieghi in più, scendono però le ore di attività I part time salgono a quota 19%

Più lavoratori ma meno ore lavorate. Come numero di occupati, abbiano recuperato i danni fatti dalla crisi. In Italia il record delle persone con un lavoro fu raggiunto ad aprile del 2008, con 23.178 mila occupati. Poi cominciò la discesa fino al minimo del settembre 2013, con 22,1 milioni. Si era perso un milione di posti. Che dal 2014 a oggi sono stati recuperati. A ottobre del 2017 (ultimo dato disponibile) le persone con un lavoro erano 23.082.000. Ma il monte ore lavorate è ancora lontano dai livelli di io anni fa. Mentre nel primo semestre del 2008 i lavoratori erano stati occupati per un totale di 22,8 miliardi di ore, nello stesso periodo del 2017 lo sono stati per 21,7 miliardi. Questo significa che, a parità di occupati (23 milioni), essendo diminuite le ore lavorate, sono aumentati i lavoratori a tempo parziale mentre sono calati quelli a tempo pieno. Nel 2oo8 i dipendenti full time erano l'86% del totale, nel 2016 l'81%. Al contrario, quelli a tempo parziale sono saliti da14% al 19% . Spesso si tratta di part time involontari e anche questa è una forma di precarizzazione.

Contratti stabili e precari record E ora licenziamenti più convenienti del bonus di 24.180 euro in tre anni

Un milione di posti di lavoro in più, ma anche il record dei precari. Gli occupati a tempo determinato nel terzo trimestre del 2017 ha toccato quota 2,8 milioni: 3,9% rispetto al trimestre precedente e 13,4% in un anno. Un'impennata dovuta alla fine della decontribuzione triennale sulle assunzioni a tempo indeterminato concessa alle imprese dal governo Renzi sui contratti stipulati nel 2o15.In sostanza assumere a tempo indeterminato non è più conveniente come nel 2015, quando il superbonus favorì un forte aumento dei nuovi contratti stabili: ne furono stipulati quasi a 2,5 milioni, dei quali 1,4 milioni incentivati. Inoltre, quest'anno si apre l'incognita sul destino di questi contratti. Un'associazione imprenditoriale come la Cgia di Mestre ha osservato che, scaduta l'agevolazione triennale, le aziende potrebbero essere tentate di licenziare perché l'indennità prevista dai contratti a tutele crescenti al posto dell'articolo 18 (reintegro nel posto di lavoro) potrebbe spesso costare meno del risparmio contributivo realizzato (fino a 24.180 euro nel triennio.

Una volta su cinque le aziende non trovano i profili giusti. Cercansi informatici e ingegneri

Nonostante l'aumento degli occupati, la disoccupazione resta su livelli molto alti. I disoccupati sono infatti 2,9 milioni (ottobre 2017), cioè l'11,1% delle forze lavoro. Per aver un termine di paragone, nel 2007, cioè prima della crisi economica mondiale, il tasso di disoccupazione in Italia fu del 6,1% pari a un milione e 480mila persone in cerca di lavoro, cioè la metà di quante sono ora. Abbiamo poi visto che ci sono altri 3,2 milioni di persone che, anche se non stanno cercando attivamente un posto, sarebbero disposte a lavorare. Eppure, segnala l'ultima indagine condotta da Unioncamere e Anpal con il sistema informativo Excelsior, il divario tra domanda e offerta di lavoro aumenta: quando un'impresa cerca un determinato profilo, una volta su cinque fatica a trovarlo. E succede ben due volte su cinque quando il profilo richiesto riguarda i settori dei servizi informatici e della meccanica. Ai primi posti trai 10 profili più difficili da trovare tra i giovani under 30, specialisti informatici, progettisti e ingegneri, ma anche operai metalmeccanici. Differenze territoriali

A Bolzano lavorano in 73 su 100 mentre a Reggio Calabria solo 37. Differenze più ampie per le donne

Il mercato del lavoro vede in Italia differenze incredibili. Prendiamo il tasso di occupazione, cioè il rapporto percentuale tra gli occupati nella fascia d'età 15-64 anni e la popolazione di quella stessa classe d'età. Le province più virtuose hanno tassi che gareggiano con le migliori performance europee. Bolzano sfiora il 73%; Bologna il 72%; Belluno, Modena e Parma sono intorno al 69%; Milano al 68,4%, all'incirca come Reggio Emilia. Poco sotto (67,9%) Siena, Cuneo, Pordenone, Firenze, Pisa, Arezzo e Lodi, tutte con almeno il 67%. All'estremo opposto troviamo invece Reggio Calabria col 37,1%. Intorno al 37-38% altri grandi centri del Sud: Palermo, Caserta, Napoli, Crotone, Catania. Lo scarto si allarga ancora di più se si prende il tasso di occupazione femminile. Troviamo così al primo posto Bologna, dove 66,5 donne su cento lavorano e tassi fra il 63 e il 66% si riscontrano a Forlì, Arezzo e Bolzano mentre al capo opposto ci sono la provincia di Barletta-Andria-Trani col 24,1%; Napoli col 25,5% e su questi livelli anche Foggia e Agrigento.

I giovani tra 25 e 34 anni hanno pagato il conto più alto della crisi. In attività soltanto 6 su 10

Un discorso a parte merita il rapporto tra giovani e lavoro. Certo c'è il tasso di disoccupazione nella fascia tra 15 e 24 anni, che in Italia sta al 34,7%. Questo però è un dato poco indicativo della realtà perché include gli studenti disoccupati. Più significativo e preoccupante è invece il tasso di disoccupazione nella fascia fra 25 e 34 anni d'età, dove la componente studentesca e residuale, tasso che nel 2016 è stato del 17,7%. Sempre in questa fascia d'età (25-34 anni) c'è stato inoltre un calo impressionante del tasso di occupazione. Nel 2004 esso era del 70% mentre i disoccupati erano il 10%. Situazione che va avanti così più o meno fino alla crisi del 2007. Poi il crollo. Il tasso di occupazione è infatti sceso al 6096. E questa la fascia che ha pagato il conto maggiore. Non c'è così da stupirsi se in Italia ci sono 3,2 milioni di Neet, cioè giovani di 15-34 anni che non studiano e non lavorano (Not in education, employment or training). Una generazione che rischia di andare perduta.

Italia fanalino di coda in Europa. La media degli occupati è al 57,2% mentre i partner Ue sono al 71,1%

Per dare ragione a Mattarella sul fatto che il lavoro dovrebbe essere la priorità della campagna elettorale, basta guardare ai confronti internazionali. Emerge che in Italia ci sono mediamente meno lavoratori che nei Paesi nostri competitori, che i giovani faticano a trovare un'occupazione stabile, che le differenze di genere e territoriali sono più marcate. Calabria, Sicilia, Campania e Puglia sono fra le sole sei regioni europee dove meno di una persone su due lavora. Lo mostra il Regional Yearbook 2017 pubblicato lo scorso settembre da Eurostat. Nell'Unione europea, in media, il 71,1% dei cittadini fra i 20 e i 64 anni (la fascia più indicativa) aveva un'occupazione nel 2016. La percentuale crolla al 44,3% in Puglia, 41,2% in Campania, 40,1% in Sicilia e 39,6% in Calabria. La media italiana è invece del 57,2%, cioè 14 punti sotto quella europea. Inoltre la quota di Neet, nella definizione classica 18-24 anni, rappresenta, con il 29,1%, il dato più alto in Europa, davanti a Romania e Grecia. 

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