Intervento conclusivo del Presidente Sangalli, alla terza edizione del Forum Giovani Imprenditori Confcommercio "I giovani: il futuro del Paese"

Intervento conclusivo del Presidente Sangalli, alla terza edizione del Forum Giovani Imprenditori Confcommercio "I giovani: il futuro del Paese"

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20 settembre 2010

Cari Amici,
anzitutto, qualche considerazione circa lo scenario economico e politico dell’autunno.

Non è difficile prevedere che, per l’economia e per i consumi, sarà un autunno sostanzialmente in linea con quanto si è fin qui registrato.

In linea, cioè, con un 2010 che appare come un anno di ancora difficile transizione dalla recessione al ritorno alla crescita.

L’economia del nostro Paese crescerà, a consuntivo del 2010, poco meno o poco più dell’1%. Il consuntivo dei consumi delle famiglie potrebbe essere ancora più modesto di questo dato.

La situazione è nota: c’è un incoraggiante dinamismo dell’export manifatturiero, ma la domanda interna langue.

E, sul versante dei consumi familiari, pesano le condizioni del mercato del lavoro.

Certo, il dato medio sulla disoccupazione è, a luglio, inferiore al dato medio europeo: l’8,4% in Italia a fronte di circa il 10% nell’area euro.

Ma dobbiamo pur tenere conto di circa 600 mila lavoratori in cassa integrazione e di circa 2,1 milioni di disoccupati.

Il tasso di occupazione italiano è inferiore al 57%, e la disoccupazione giovanile è di circa il 27%.

Nel nostro Paese – lo ha segnalato l’Istat – due milioni di giovani non studiano e non lavorano.

Insomma, dopo la grande crisi, si sta configurando – su scala globale, in Europa ed in Italia – uno scenario di ritorno alla crescita lento ed in cui soffre particolarmente l’occupazione.

In questo scenario, i problemi di lungo periodo dell’economia italiana – la produttività stagnante, la competitività difficile, la crescita lenta – si ripropongono con straordinaria urgenza.

Si ripropongono con straordinaria urgenza e sollecitano uno straordinario impegno: del Governo, del Parlamento, delle istituzioni tutte; delle forze politiche e delle forze sociali.

Di un Patto – di un patto per la crescita, l’occupazione e lo sviluppo – vi sarebbe, allora, davvero la necessità.

Un Patto che abbia come obiettivo fondamentale la modernizzazione dell’economia e della società italiana.

Un progetto condiviso, che contribuisca alla costruzione di un’Italia più ambiziosa e migliore.

Un’Italia, cioè, che cresca di più, che cresca meglio ed anche con maggiore coesione sociale e territoriale.

Questo Patto dovrebbe anzitutto registrare le caratteristiche vere dell’Italia produttiva dei nostri giorni.

Un’Italia in cui vi sono grandi imprese industriali, ed è un bene. Ma anche un’Italia in cui vi sono tantissime piccole e medie imprese manifatturiere e tanta impresa diffusa – piccola, media e grande – dei servizi.

Ecco, io penso che partire dal riconoscimento di come è oggi effettivamente fatta l’economia reale del nostro Paese sia necessario per individuare soluzioni che consentano a tutte le imprese – piccole, medie e grandi ed in ogni settore – di meglio competere e di crescere.

Di crescere per riassorbire disoccupazione e per costruire nuova occupazione.

Di crescere, attraverso robusti incrementi di produttività, anche per rafforzare il reddito dei lavoratori.

Insomma, il Patto sociale italiano del nostro tempo – del tempo che si apre dopo la prima grande crisi dell’economia della globalizzazione – deve riconoscere la centralità crescente, il protagonismo crescente di quel “popolo del fare impresa”, che si esprime nell’esperienza di Rete Imprese Italia.

E’ una nostra responsabilità, ma pensiamo che sia anche un’opportunità per il Paese.

Del resto, le imprese che rappresentiamo ricercano e sperimentano, quotidianamente e da tempo, un modello non antagonista di confronto e relazione tra  capitale e lavoro, tra imprenditore e lavoratori.

Dopo la crisi e per rafforzare produttività e redditi, occupazione e crescita, questo è un punto che va definitivamente chiarito.

Con il conflitto non si va da nessuna parte.

Vanno, invece, organizzate relazioni profondamente collaborative tra impresa e lavoro.

Non penso a modelli cogestionali, perché è bene che ciascuno faccia il proprio mestiere e che i ruoli restino distinti.

Ma – attraverso impegni e scelte puntuali per il rafforzamento della produttività e per la partecipazione salariale ai risultati effettivamente conseguiti – si costruisce una responsabilità condivisa: la responsabilità di costruire più produttività e più  crescita.

In questo contesto, la contrattazione nazionale non muore, ma si rinnova.

Coerentemente, peraltro, con la nuova architettura contrattuale definita nel 2009.

Un’architettura in cui il secondo livello di contrattazione, aziendale o territoriale, viene riconosciuto il più idoneo per condividere – come prima dicevo – la responsabilità di impegni puntuali per il rafforzamento della produttività e per i conseguenti incrementi salariali.

Il livello di contrattazione nazionale si specializza: come cornice generale dei diritti e dei doveri, come assetto di base della regolazione economica del rapporto di lavoro, come fonte istitutiva del welfare contrattuale.

Ma ad esso le parti sociali possono pur derogare – come è già scritto nell’accordo del 2009 – laddove ciò si renda necessario per far fronte a situazioni di crisi o ad esigenze di competitività e di produttività.

Nessun dumping dei diritti dei lavoratori, dunque. Ma, sempre e comunque, la responsabilità di costruire insieme crescita ed occupazione.

Le politiche pubbliche possono positivamente influire sull’evoluzione di questo modello di relazioni contrattuali:

  • rafforzando le scelte di riduzione del prelievo fiscale sul salario di risultato;
  • valorizzando il welfare contrattuale bilaterale all’interno di un modello generale di sicurezza sociale finanziariamente più sostenibile e socialmente più inclusiva;
  • perseguendo, anche attraverso un nuovo “Statuto dei lavori”, la costruzione di un mercato del lavoro meno segnato dalla dualità tra l’area dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e l’area delle altre forme contrattuali.

Più in generale, le politiche pubbliche sono determinanti per costruire regole che concorrano alla maggiore produttività dell’intero sistema-Paese.

In sintesi, si tratta, allora, di fare avanzare tutto il cantiere delle riforme utili a rafforzare il circuito tra stabilità finanziaria e maggiore crescita.

A partire dalla maggiore produttività complessiva della spesa pubblica e della funzione pubblica e dall’incrocio tra costruzione del federalismo fiscale, recupero di evasione ed elusione e progressiva riduzione della pressione fiscale complessiva.

Progetti, emergenze, sfide, opportunità: questo è lo scenario con cui ci confrontiamo.

Certo, non giova una politica così profondamente segnata dal bipolarismo “muscolare”.

Resto, però, tenacemente, ostinatamente convinto della necessità di un confronto politico sulle riforme economiche e sociali che sia sempre di merito e mai pregiudiziale.

Nelle scorse settimane, ad esempio, Tommaso Padoa Schioppa ha dato atto al Ministro Tremonti di un’importante continuità d’azione sul terreno della disciplina di bilancio.

Per parte sua, Tremonti ha sottolineato l’importanza del contributo delle forze politiche e sociali, del Parlamento e dell’opposizione per l’apporto italiano alla nuova politica economica europea di “Europa 2020”.

Proviamo allora a condividerlo questo Patto.

Perché – lo ha detto il Ministro Tremonti – “la stabilità è assolutamente necessaria, ma non è da sola sufficiente”.

Le forze sociali possono e devono  segnalare priorità ed assumere impegni: anzitutto,  per la produttività e la dinamica dei redditi, per l’occupazione e per la crescita.

Le forze sociali possono e devono  chiedere a tutti – a partire dal Governo – di fare la propria parte.

Con meno divisioni e più convergenza ed unità. Se si mette al centro il bene ed il futuro dell’Italia, è possibile farlo.

L’interruzione anticipata della legislatura non può essere, allora, che una soluzione di ultima istanza.

Se si rinnoveranno intese programmatiche di maggioranza e se queste intese saranno soprattutto fondate sull’apertura di una fase di straordinario impegno per la maggiore e migliore crescita del Paese, si vada avanti.

Perché c’è davvero tanto da fare e non c’è un minuto da perdere.

C’è anzitutto da riaffermare – sulla base di una rigorosa tutela della legalità e della sicurezza – una salda etica pubblica.

Senza di essa, infatti, non vi è crescita robusta, non vi è sviluppo duraturo.

Vale per l’intero Paese. Vale particolarmente per il nostro Mezzogiorno.

Un Mezzogiorno che, da otto anni consecutivi, cresce meno delle altre aree del Paese, in un’Italia che, tutta insieme, cresce davvero troppo poco.

Più produttività e crescita, più occupazione e sviluppo nel Mezzogiorno sono, allora, occasione straordinaria per rilanciare produttività, crescita, occupazione e sviluppo nell’intero Paese.

Condividiamo, così, l’annunciata scelta di un robusto Piano per il Sud, che tenga insieme potenziamento della dotazione infrastrutturale, crescita del capitale umano, strumenti per l’accesso al credito, impegno per la legalità e per la sicurezza.

Sarebbe il modo migliore, tra l’altro, per festeggiare giustamente, e per non celebrare retoricamente, nel 2011, i 150 anni dell’Unità d’Italia.

E sarebbe, ancora, il modo migliore per rendere omaggio all’impegno dei tanti che per la crescita civile del Mezzogiorno si sono battuti, anche a prezzo della propria vita.

Per rendere omaggio e per proseguire concretamente nell’impegno dei tanti buoni italiani che volevano semplicemente fare la propria parte, tutta e sino in fondo.

Oggi, il nostro pensiero ed il nostro omaggio va, naturalmente, all’impegno civile di Angelo Vassallo, il Sindaco di Pollica, nel Cilento, barbaramente assassinato.

E’ stato un amministratore onesto e rigoroso, che aveva scelto di fondare sul rispetto delle regole e della legalità un concreto progetto di crescita e di sviluppo della sua terra, della sua comunità.

Ecco cosa significa etica pubblica, ecco cosa significa la “buona politica”.

Lo sottolineo, pensando anche a quanto è emerso dall’indagine sui giovani, presentata in occasione di questa edizione del Forum dei Giovani Imprenditori di Confcommercio- Imprese per l’Italia.

Poco più di un giovane su dieci si interessa realmente di politica. Quasi nonostante tutto, il 60% dei giovani si mostra fiducioso nell’avvenire.  Ma certo la fiducia nel futuro non si affida alla capacità della politica di contribuire alla costruzione di un domani diverso e migliore.

La “famiglia” conta, ed è un bene. Ma, a tratti, sembra contare addirittura troppo, ed anche più della scuola e dell’università. E questo non è un bene.

Non è un bene, perché alle attese esigenti dei giovani – ed anche alla loro voglia di fare impresa – dobbiamo rispondere con l’etica delle regole, della responsabilità e del merito, concretamente interpretata in ogni ruolo e ad ogni livello.

Alle attese esigenti dei giovani dobbiamo rispondere costruendo condizioni che li rendano protagonisti del progetto per l’Italia del prossimo decennio.

Se, allora, un Patto sociale verrà, occorrerà che esso si faccia tra l’altro carico tanto della questione del divario di crescita e di sviluppo del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese,  quanto di una vera e propria questione generazionale.

Della disoccupazione giovanile al 27%. Dei due milioni di giovani che non studiano e che non lavorano.

E’ una responsabilità condivisa.

Della scuola e dell’università, in cui i processi di riforma devono rapidamente avanzare all’insegna del riconoscimento e del premio del merito di chi insegna e di chi studia.

Del rapporto tra formazione e mondo del lavoro e dell’impresa, il cui miglior raccordo è essenziale per cogliere effettive opportunità occupazionali e per valorizzare le energie dei giovani.

Ed è, ancora, responsabilità di un mercato del lavoro e di un sistema di sicurezza sociale, che dovrebbero prestare maggiore attenzione ai “meno garantiti” e, tra essi, ai nostri giovani.

Ecco, allora, il Patto per il futuro dell’Italia che occorrerebbe.

Un Patto per riportare tanti giovani “inattivi” allo studio ed al lavoro.

Un Patto anche per accrescere la quota di giovani imprenditori.

La ricerca, presentata dal nostro Ufficio Studi in occasione di questo Forum, evidenzia infatti l’impatto positivo sulla crescita tanto della maggiore istruzione della popolazione in età lavorativa, quanto dell’incremento della quota di giovani imprenditori.

Più giovani imprenditori e più giovani imprese: per sospingere più innovazione, più produttività, più crescita.

Sono obiettivi che possono essere colti.

Con il rafforzamento della cultura d’impresa nella scuola e nell’università e con la semplificazione dell’avvio e della vita dell’attività d’impresa.

Con qualche incentivo ben mirato e con l’apporto di un sistema bancario e finanziario più “lungimirante”, che, anche in collaborazione con le associazioni imprenditoriali, accompagni lo start-up delle giovani imprese.

Ma soprattutto – lo ripeto – il perseguimento dell’obiettivo di più giovani imprenditori e di più giovani imprese implica che si renda  chiaro ed evidente ai nostri giovani che il Paese non si rassegna al declino e che, invece, sceglie di crescere.

Sceglie di darsi obiettivi ambiziosi e di perseguirli nel rispetto delle regole.

Sceglie di riconoscere nei giovani la più straordinaria risorsa per il suo futuro.

E questo con tutto quel che concretamente ne consegue in termini di priorità: gli  investimenti per la scuola, l’università e la formazione continua; le politiche per le famiglie; il riordino delle politiche fiscali e sociali necessario per fare dell’Italia, a partire dai giovani, una società più attiva.

Una società che -  attraverso il lavoro, più lavoro - costruisce mobilità sociale e generazionale  e fonda crescita e sicurezza.

Per questo, senza alcuna retorica giovanilista e con responsabilità e rigore di impegno e di progetto, un’Italia “dalla parte dei giovani” potrebbe realmente essere un’Italia migliore.

Ai Giovani Imprenditori di Confcommercio-Imprese per l’Italia ed al loro Presidente – l’amico Paolo Galimberti – va dunque il mio, il nostro ringraziamento per quanto fanno in questa direzione. 

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