Conferenza Stampa di apertura dell'8a edizione del Forum Confcommercio

Conferenza Stampa di apertura dell'8a edizione del Forum Confcommercio

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16 marzo 2007

Il mio intervento ha, oggi, un duplice obiettivo: presentare il programma dei lavori e spiegare le ragioni delle scelte operate in sede di programma; commentare alcuni passaggi dello studio predisposto dall'Ufficio Studi di Confcommercio – diretto da Mariano Bella – sulle prospettive dell'economia italiana, sottolineando, in particolare, quanto occorre ora fare per realizzare il passaggio dalla ripresa alla crescita.

Cioè per consolidare, rendere duraturi e più robusti i primi segnali di una economia italiana più dinamica.

Insomma, come ieri non ci siamo iscritti al partito dei "declinisti", così oggi pensiamo che non sia certamente il caso di cullarsi sugli allori di un PIL cresciuto, nel 2006, dell'1,9% e sulla prospettiva di un analogo e non scontato risultato per il 2007.

Caratteristiche e limiti dell'attuale ripresa sono, infatti, note: è una ripresa trainata dall'export e dall'aggancio tra tanta parte del sistema manifatturiero italiano e l'economia della Germania. È una ripresa frutto del silenzioso "cambiamento di pelle" delle multinazionali tascabili italiane, cioè di quello stock di medie imprese che, con una robusta iniezione di componenti di servizio, hanno accresciuto il valore aggiunto delle nostre esportazioni.

Quali sono, allora, i limiti strutturali di questo modello di ripresa?

Sono essenzialmente due: la persistente debolezza della domanda interna e, in particolare, dei consumi delle famiglie; la persistente competitività difficile del sistema-Paese, che è poi la radice della nostra crescita lenta.

Del resto, basta guardare i più recenti dati ISTAT sul quarto trimestre del 2006: l'export cresce del 4,5% e gli investimenti dell'1,8%, ma la spesa delle famiglie resta al palo, con un incremento di appena lo 0,2%.

Caratteristiche e tendenze dei consumi interni verranno investigate, in particolare, nel primo dei moduli del Forum, dedicato appunto al "focus sui consumi".

Cosa poi si debba fare per andare oltre i limiti di questo modello di ripresa è, a ben vedere, il "filo rosso" della discussione che svilupperemo nel corso dei lavori del Forum, partendo dalle tesi di fondo illustrate nel Rapporto del nostro Ufficio Studi.

Tesi il cui "nocciolo duro" è costituito dalla centralità del rapporto tra gli incrementi di produttività del sistema dei servizi, il rafforzamento della domanda interna e la crescita complessiva del Paese.

Queste tesi ripercorrono, in buona sostanza, quanto è già avvenuto e sta avvenendo in tutte le economie avanzate che, in questi anni, hanno galoppato di più nello scenario della competizione globale: negli Stati Uniti come in Europa.

Ne traggo, ne traiamo una fondamentale conseguenza politica ed economica: mettere in campo una buona politica per i servizi è, allora, fondamentale se davvero si intende sfuggire alla trappola della crescita lenta.

Se davvero si intende, cioè, perseguire tassi di crescita dell'economia italiana robusti e duraturi, consentendo così di proseguire nel risanamento della finanza pubblica e, al contempo, di assicurare alla società italiana – e, in particolare, alle nuove generazioni – maggiore sviluppo ed equità.

Bisogna, allora, cogliere la finestra di quel tanto di ripresa che c'è per mettere in campo questa politica.

Per realizzare, in altri termini, le riforme che consentano di valorizzare le potenzialità delle imprese dei servizi e, più in generale, di rafforzare la competitività del Paese.

Del resto, nel nostro Paese, nulla è oggi più apparentemente bipartisan dell'intesa di massima sui contenuti generali di queste riforme.

Le liberalizzazioni, certo. Bisogna farle. Bisogna farle presto, ma anche bene. E bene significa – a nostro avviso – farle confrontandosi per tempo tanto con i consumatori, quanto con le imprese. E partendo dalle liberalizzazioni pesanti e strategiche: quella dei servizi pubblici locali, ad esempio, come quella dei mercati dell'energia.

Sono le liberalizzazioni necessarie per un'Italia competitiva, più competitiva. Una questione che, nell'ambito del Forum, esploreremo con particolare riferimento al rapporto tra banche e imprese.

Anche qui, non siamo all'anno zero. E passi importanti sono stati già compiuti dal sistema bancario. Ma certo c'è ancora molto da fare.

Lo ricorda costantemente il Governatore Draghi. Ma anche l'amico Corrado Faissola – Presidente dell'ABI – ha auspicato, in una recentissima intervista, "che le economie di scala, attraverso le concentrazioni in atto, consentano di trasferire ai clienti parte dei benefici".

Io, naturalmente, vado oltre l'auspicio. E sottolineo la necessità e l'urgenza che ciò avvenga. Soprattutto ora.

A fronte, cioè, di una fase di rialzo dei tassi di interesse, che avrà indubbi impatti tanto sul costo del servizio del debito pubblico italiano – che ci costa un paio di punti di PIL in più rispetto alla media degli altri Paesi europei – quanto sui bilanci delle imprese e delle famiglie alle prese con il rincaro delle rate dei mutui immobiliari.

Rialzo dei tassi e tenuta delle Borse; prospettive dell'economia americana tra prosecuzione della crescita, atterraggio morbido e rischi di recessione; impatto del ciclo economico americano su quello europeo; tendenze e rischi della crescita nelle economie asiatiche: sono le grandi questioni di cui si discuterà nella sessione del Forum dedicata all'analisi dello scenario economico internazionale.

Tra gli altri autorevolissimi partecipanti alla sessione, mi piace sottolineare il contributo che verrà dal Professore Edward Prescott, Premio Nobel per l'Economia.

Ci sono, infatti, due punti delle analisi di Prescott che assumono particolare rilevanza rispetto alla nostra discussione sulle prospettive dell'economia italiana: la credibilità di lungo termine delle scelte di politica economica operate dai governi e la natura non solo tecnologica, ma anche legislativa e regolamentare dell'innovazione necessaria per i miglioramenti di produttività.

Provo ad applicare questi due punti delle teorie di Prescott al "caso Italia" e alla sua attualità.

Credibilità di lungo termine. È fondamentale sul terreno delle politiche fiscali. Perché vanno assolutamente tenute insieme tre linee di azione: il recupero di evasione ed elusione, il controllo e la riduzione della spesa pubblica, la riduzione progressiva di una pressione fiscale che sfiorerà, nel 2007, il 43% del PIL.

Insomma, se si vogliono far fruttare i 37 miliardi di euro di maggiori entrate tributarie registrate nel 2006 rispetto al 2005, c'è solo una cosa da fare e da fare subito. Ragionare sul contenimento di una spesa pubblica che sfiora il 45% del PIL ed iniziare a restituire a famiglie ed imprese una parte significativa dell'extra-gettito.

Rinviare queste scelte, invece, non soltanto non aiuta a consolidare la ripresa, ma soprattutto alimenta le tante voci del partito della maggiore spesa pubblica. E francamente, dopo una finanziaria in cui la correzione dell'andamento dei conti pubblici è stata il risultato di maggiori entrate e non di riduzioni di spesa, non se ne avverte il bisogno.

Così, anche sul terreno difficile della riforma previdenziale, bisognerà vigilare sull'impatto della spesa pensionistica sugli equilibri complessivi della spesa pubblica.

È un punto che va ricordato alla vigilia dell'annunciata ripresa della concertazione tra Governo e parti sociali.

Ed è, in particolare, un punto che segnaliamo al Ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che, con il suo intervento, chiuderà il modulo del Forum sullo scenario economico internazionale.

L'innovazione – torno al modello teorico di Prescott – è il lievito degli incrementi di produttività.

È un'innovazione – ne discuteremo nella sessione su "Terziario e politiche per l'innovazione" – frutto delle tecnologie e della qualificazione del capitale umano, ma anche della flessibilità nel mercato del lavoro.

È l'innovazione necessaria per perseguire un possibile primato italiano sul terreno del capitalismo culturale.

Quello capace, cioè, di far fruttare – oltre il modello della rendita – lo straordinario patrimonio dell'identità italiana.

Un'identità ambientale, culturale e storica, ma che è anche il risultato del modo tipicamente italiano di vivere e di consumare.

È, insomma, l'identità che esprimiamo nella nostra offerta turistica e nelle nostre città.

Parleremo, dunque, di "politiche e governance" per il turismo e di "città e infrastrutture".

In quest'ultimo caso, perché il recupero del deficit di dotazione infrastrutturale e, in particolare, la costruzione di un più efficiente sistema dei trasporti e della logistica restano una delle chiavi di volta fondamentali per il superamento della competitività difficile. Per ridurre, cioè, costi esterni netti nell'ordine dei 40 miliardi di euro all'anno e per promuovere l'offerta italiana di merci e servizi, così come per attrarre flussi turistici ed investimenti esteri.

Chiuderemo, nella giornata di domenica, affrontando l'agenda delle riforme istituzionali e, in particolare, il tema della transizione incompiuta verso il federalismo.

Una transizione incompiuta: perché resta ancora tutta da scrivere la pagina del federalismo fiscale secondo la prospettiva necessaria del contenimento complessivo e della riduzione della pressione fiscale, ma anche del rapporto tra autonomia impositiva e responsabilità dei vari livelli di governo.

Per quanto difficile, è un tema che va urgentemente affrontato.

Perché – anche dopo l'ultima finanziaria, è ormai opinione comune – crescita delle addizionali e dei tributi locali vanificano gli effetti redistributivi delle politiche fiscali centrali e perché quantità e qualità della spesa pubblica vanno tenute sotto controllo ad ogni livello.

Perché – sia che si parli di una nuova questione settentrionale, sia che si affronti la più consolidata questione meridionale – il problema di fondo è che non possiamo permetterci un federalismo inquinato dalla logica dei conflitti di competenze e dal sommarsi di più burocrazie.

Al contrario, ci serve un federalismo attento alle ragioni della crescita, dello sviluppo, della competitività. Un federalismo che, anche ridistribuendo compiti e funzioni tra pubblico e privato, riduca pesi e costi della burocrazia.

Un solo dato. L'Europa vuole ridurre del 25%, entro il 2012, il peso della burocrazia sulle imprese. In Italia, la burocrazia "brucia" 60 miliardi di euro all'anno, circa 4 punti di PIL. Ridurre questo impatto del 25%, significherebbe, allora, potere far conto su un incremento del PIL di circa 1 punto.

Concludo con Prescott.

Nulla è più importante della credibilità di lungo termine della politica economica. Essa, ovviamente, richiede stabilità di governo. Richiede maggioranze parlamentari adeguate e, soprattutto, programmaticamente coerenti.

Richiamare, a questo proposito, la responsabilità della politica nell'affrontare il nodo della riforma elettorale è, allora, la naturale conclusione di questo mio percorso di lettura dell'ottava edizione del Forum Confcommercio-Ambrosetti.

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