Intervento del Presidente Sangalli alla conferenza stampa sull'"Analisi del settore commercio e prospettive economiche"

Intervento del Presidente Sangalli alla conferenza stampa sull'"Analisi del settore commercio e prospettive economiche"

Roma, 11 novembre 2009

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11 novembre 2009

Oggi, possiamo dire, con ragionevole fiducia, che non solo la “grande depressione” è stata evitata, ma anche che siamo prossimi al “giro di boa”. Alla conclusione, cioè, della recessione ed alla ripartenza dell’economia.

Ciò non toglie, ovviamente, che la “coda” della crisi sia particolarmente insidiosa per l’economia reale: in particolare, per le ricadute sull’occupazione e per il rapporto tra le imprese e le banche.

E, così pure, il fatto che, nel 2010, potrà considerarsi tecnicamente conclusa la fase di recessione, non significa in alcun modo che – tanto su scala globale, quanto in riferimento agli specifici andamenti dell’economia italiana - si registrerà uno scenario di crescita stabile e vigorosa.

Al contrario, permarranno incertezze e rischi di ricaduta, e la crescita sarà complessivamente debole.

Debole, perché non vi sarà l’effetto doping dei consumi a debito; debole, perché la crisi ha fiaccato i fondamentali di molte economie; debole, perché lento sarà il riassorbimento della disoccupazione; debole, perché i debiti pubblici, cresciuti per la necessaria mobilitazione delle politiche di bilancio a contrasto della crisi, andranno progressivamente ridotti.

Del resto, per l’Italia, le previsioni di crescita per il prossimo anno si collocano, al più, intorno ad un punto percentuale.

E, con una dinamica della crescita così contenuta, già recuperare le pur non esaltanti posizioni di partenza non sarà agevole e richiederà tempo.

Bisogna, allora, fare anzitutto tesoro della lezione della crisi.

E, cioè, di quella rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e del lavoro, che ha messo in evidenza alcuni buoni “fondamentali” del nostro Paese: il risparmio delle famiglie ed il sistema di sicurezza sociale; la prudenza tradizionale di un sistema bancario, che deve però ora – soprattutto ora – sapere essere anche più lungimirante; la stessa flessibilità delle piccole e medie imprese, che deve però ora – soprattutto ora – essere valorizzata e sostenuta.

Ne trarrei, allora, una prima conseguenza: l’attenzione ai “fondamentali” merita di essere confermata e, per quanto possibile, sempre più rafforzata.

Accelerando, ad esempio, i pagamenti vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni; ampliando la gamma di beni cui si applicano le misure di detassazione degli investimenti, anche per sospingere innovazione e produttività; sviluppando il “piano-casa” e costruendo meccanismi di sostegno dedicati alle ristrutturazioni edilizie operate dalle imprese. Ma anche proseguendo nell’affinamento degli studi di settore, e nel confronto internazionale per la moratoria dei parametri di Basilea 2.

E – ancora – confermando e rafforzando le misure di detassazione dei premi di risultato, degli straordinari e degli incrementi salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello. Perché si tratta di un buon modo per tenere insieme spinta al rafforzamento della produttività e maggior reddito da lavoro.

Il tutto senza “scassare” i conti pubblici, naturalmente, e mettendo a profitto – a vantaggio dell’economia reale – anche le risorse rinvenienti da operazioni straordinarie, come lo “scudo fiscale”.

Senza “scassare” i conti pubblici – lo sottolineo - e, dunque, con la sobrietà – come si dice in cucina – del “quanto basta”.

“Quanto basta”, cioè, a sostenere la crescita, contribuendo, in questo modo, anche al miglioramento della finanza pubblica.

E vi è, poi, il grande tema, la “questione” della riduzione della pressione fiscale complessiva: di quella che grava sui redditi da lavoro, così come di quella che grava sulle imprese.

Bisogna tener conto dell’una come dell’altra esigenza. Sapendo che, certo, quando si parla di riduzione della pressione fiscale, non sono possibili “scorciatoie”.

Non ci sono, cioè, scorciatoie rispetto alla costruzione di condizioni di contestualità fra tre grandi processi: controllo e riqualificazione della spesa pubblica, e riduzione della sua parte più improduttiva; contrasto e recupero di evasione ed elusione; progressiva riduzione delle aliquote fiscali.

Integrando, in questo modo, il principio del “pagare tutti per pagare meno” con il principio del “far pagare meno per far pagare tutti”.

Ben venga, allora, un primo intervento sull’IRAP.

Ma non si dimentichi la necessità di misure urgenti a sostegno della domanda e dei consumi, come la parziale detassazione delle tredicesime per i livelli di reddito medio-bassi.

E’ una richiesta che ribadiamo. Come misura straordinaria – e, dunque, con una possibile copertura straordinaria – utile a chiudere in maniera più tonica l’anno ancora in corso, ed a preparare, per il 2010, uno zoccolo di ripartenza dell’economia più robusto.

Ecco, si faccia, intanto, ciò che è utile e possibile. Si sostenga la domanda, anche con incentivi mirati e che tengano conto di una pluralità di settori produttivi e distributivi in affanno proprio per la debolezza della domanda.

Per il resto, conviene fare i conti ed impostare fin d’ora – questo sì – un’azione progressiva di intervento, chiarendo tempi e coperture.

Chiarendo, cioè, “come” e “quando”. Già questo, sarebbe un buon contributo alla fiducia delle famiglie e delle imprese.

Il sostegno dei redditi delle famiglie – insomma – fa bene all’economia nel suo complesso. E, naturalmente, è particolarmente vitale per le imprese del commercio.

Imprese per le quali la crisi continua a mordere. Oltre 50 mila esercizi al dettaglio hanno già chiuso nei primi nove mesi del 2009, e, a fine anno, si prevede un saldo negativo tra aperture e chiusure di circa 20 mila unità.

Una crisi, dietro la quale vi è tanto l’aumento dei costi a carico delle imprese, quanto la debolezza di lungo periodo dei consumi.

Tra il 2000 ed il 2008, i consumi pro-capite sono cresciuti in media di appena lo 0,5% all’anno, mentre ormai le spese obbligate – affitti, luce, gas, acqua e quant’altro – assorbono quasi il 40% della spesa complessiva.

Il tutto con una pressione fiscale complessiva inchiodata intorno al 43%.

Così non solo – tra il 2002 ed il 2008 – gli esercizi alimentari specializzati si sono ridotti di 13 mila punti vendita, ma oggi le vendite dei prodotti alimentari soffrono anche nella grande distribuzione.

La nostra proposta è, allora, semplice: sosteniamo i redditi delle famiglie e sosteniamo l’innovazione anche nei servizi, anche nella distribuzione commerciale.

In entrambi i casi, si tratta, infatti, di due grandi “volani” di crescita. Ne trarrebbero vantaggio le famiglie e le imprese dei servizi. Ma, soprattutto, ne trarrebbe vantaggio l’economia del Paese nel suo complesso.

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