Il manifesto di Confcommercio: "Crescere di più, crescere meglio. Venti tesi per una legislatura costituente"

Il manifesto di Confcommercio: "Crescere di più, crescere meglio. Venti tesi per una legislatura costituente"

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7 marzo 2008

Per una legislatura costituente

1. Siamo alla vigilia di una nuova consultazione elettorale. Ciò che Confcommercio chiede agli schieramenti e alle forze politiche è l'impegno a far sì che la prossima legislatura sia davvero una legislatura costituente. Sia, cioè, una legislatura sottratta alla "dittatura del breve termine" e in cui vengano fatte scelte fondamentali per il futuro del Paese. Legislatura costituente in un duplice senso: perché si tratta di realizzare tanto la riforma della legge elettorale, quanto le riforme istituzionali necessarie per assicurare all'Italia condizioni di effettiva ed efficace governabilità; ma si tratta anche di procedere a riforme economiche e sociali profonde, che diano tempestiva risposta al complesso di questioni che si è soliti ricomprendere sotto i titoli sintetici della crescita lenta, della competitività difficile, della produttività stagnante. L'Italia, invece, deve e può crescere di più e meglio. Una crescita più veloce e di migliore qualità è, infatti, la condizione fondamentale sia per il costante miglioramento del quadro strutturale della finanza pubblica e, in particolare, per l'abbattimento dello stock del debito pubblico, sia per lo sviluppo e per l'equità sociale e intergenerazionale.

Crescere di più, crescere meglio

2. Impresa e lavoro sono i motori fondamentali della crescita. Senza indulgere nel declinismo e nonostante i ritardi della politica, le imprese italiane hanno affrontato la sfida di una competizione globale sempre più serrata: le multinazionali tascabili hanno sorretto gli andamenti dell'export e l'impresa diffusa, in particolare nell'area dei servizi, ha recato un contributo fondamentale alla tenuta e alla crescita dell'occupazione. È questa la storia recente della ripresa dell'economia italiana nel biennio 2006/2007, pur con il tallone d'Achille della debolezza della domanda interna e, in particolare, dei consumi delle famiglie. Non ci sono, però, scorciatoie: maggiore produttività e maggior tasso di partecipazione della popolazione attiva al mercato del lavoro sono le condizioni fondamentali per una crescita più robusta e di migliore qualità, insieme alla risoluzione del cortocircuito fra una troppo elevata e scarsamente produttiva spesa pubblica e una troppo elevata pressione fiscale.

Risolvere il cortocircuito tra spesa pubblica e pressione fiscale

3. Affrontare e risolvere questo cortocircuito è, allora, il primo impegno che – sul terreno economico e sociale – chiediamo agli schieramenti e alle forze politiche di assumere per la prossima legislatura. L'azione di contrasto e recupero dell'evasione e dell'elusione va proseguita, emendandola dalla ricorrente tentazione alla ricerca di facili "azionisti di riferimento" di patologie che, invece e in realtà, tagliano trasversalmente tutta l'economia e la società italiana. Ma, insieme, va assicurato il compiuto rispetto dei principi dello Statuto del contribuente, in particolare in materia di non retroattività delle norme e delle disposizioni fiscali, e il diritto fondamentale di ciascun contribuente alla tassazione sulla base del proprio reddito effettivo ed attuale. Contemporaneamente, vanno ridotte le aliquote di prelievo fiscale, finanziando tale processo anche attraverso operazioni strutturali di controllo, ristrutturazione e riqualificazione, riduzione della spesa pubblica corrente in tutti i suoi grandi comparti: spese di funzionamento della pubblica amministrazione, spesa sociale, finanza pubblica centrale e territoriale. Insomma, la giusta integrazione del principio del "pagare tutti per pagare meno" con il principio del "pagare meno per pagare tutti" trova il suo fondamento di credibilità e di sostenibilità nell'assunzione, quale vincolo politico ineludibile, del principio e della pratica dello "spendere meno e meglio". Inoltre, una scelta chiara di riduzione della pressione fiscale è anche il modo per forzare la vischiosità della spesa pubblica. Spendere meno, spendere meglio: ad esempio, premiando merito, responsabilità e produttività nel pubblico impiego e favorendo, nelle pubbliche amministrazioni, l'ingresso di risorse giovani e qualificate a fronte dei risparmi di spesa conseguibili attraverso una politica di pensionamento di una quota significativa dei dipendenti pubblici attualmente in servizio. Spendere meno, spendere meglio: ad esempio, nella sanità, dove gli obiettivi di maggiore qualità e produttività della spesa possono innescare ricerca e innovazione anche in risposta a nuove sfide sociali, come quella della non autosufficienza. Spendere meno, spendere meglio: in generale, valorizzando la dimensione orizzontale della sussidiarietà, affinché il pubblico faccia meno, ma meglio, e l'iniziativa organizzata dei privati possa svolgere funzioni di interesse generale. Il tutto nel quadro di un federalismo fiscale – il cui processo di costruzione va portato a compimento – responsabile e pro-competitivo e che faccia dunque proprio, ad ogni livello dell'architettura istituzionale, l'impegno per l'efficienza della spesa pubblica e per la riduzione della pressione fiscale complessiva.

Ridurre la spesa pubblica di 5 punti

4. Le inefficienze della spesa pubblica italiana sono stimabili nell'ordine di 5 punti di PIL all'anno, cioè tra i 70 e i 75 miliardi di euro. Grandezze in linea, peraltro, con le stime delle mancate entrate da evasione ed elusione, e con il costo annuo del servizio del debito pubblico. Si tratta, allora, di perseguire l'obiettivo di una stabile riduzione della spesa pubblica corrente primaria di 1 punto di PIL all'anno per tutto l'arco della prossima legislatura, e di procedere inoltre a coraggiose alienazioni di patrimonio pubblico finalizzate alla riduzione del debito. Un debito la cui entità determina un pagamento di interessi di circa 2 punti di PIL in più all'anno rispetto agli altri paesi europei. Queste operazioni – insieme al proseguimento del recupero di evasione ed elusione – libererebbero così le risorse necessarie per la riduzione della pressione fiscale, ma anche per il finanziamento della spesa pubblica strategica per il futuro del Paese: scuola e università, innovazione e ricerca, infrastrutture.

Ridurre l'aliquota media IRPEF di 5 punti

5. Ridurre la pressione fiscale, dunque. Anzitutto sui redditi da lavoro per sostenere la domanda interna e i consumi delle famiglie, e per rendere più "conveniente" l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Una riduzione di pressione fiscale nella misura di 1 punto di PIL consente di ridurre di due punti l'aliquota media IRPEF. Graduato e spalmato nell'arco della prossima legislatura, l'obiettivo dovrebbe essere quello di pervenire, a regime, ad una riduzione di almeno 5 punti dell'aliquota media IRPEF, con imposta negativa per gli incapienti. Inoltre – sempre sul versante dei redditi da lavoro ed anche allo scopo di un forte sostegno agli incrementi di produttività – straordinari, premi, incentivi e aumenti salariali risultanti dalla contrattazione di secondo livello andrebbero sottoposti a tassazione con aliquota secca del 10%.

Fisco e impresa

6. Sul versante della fiscalità d'impresa, andranno perseguite tutte le azioni utili al miglioramento dell'equità e della selettività degli studi di settore; alla riduzione effettiva del prelievo IRES al netto dei processi di rideterminazione/ampliamento della base imponibile; alla revisione dei coefficienti di ammortamento; al progressivo superamento degli effetti distorsivi dell'IRAP, anche con l'elevazione fino a 15.000 euro della franchigia per le piccole imprese; per il pagamento dell'IVA al suo avvenuto incasso e per l'adozione – nel settore dell'offerta turistica – di una struttura di aliquote IVA allineata con i principali competitori europei.

La politica per i servizi

7. Spesa pubblica e fisco, ma non solo. Perché maggiore e migliore crescita, maggiore e migliore occupazione potranno venire, nel futuro del nostro Paese, anzitutto dall'economia dei servizi e dai suoi incrementi di produttività. Per questo, l'ulteriore e fondamentale impegno, che oggi chiediamo agli schieramenti e alle forze politiche di assumere per la prossima legislatura, è quello di mettere in campo una vera e propria politica per i servizi. Il "nocciolo duro" di questa politica per i servizi è fatto di liberalizzazioni e semplificazioni, di flessibilità governata e contrattata nel mercato del lavoro, di riconoscimento e sostegno all'innovazione secondo le forme tipiche che essa assume nei servizi. Anche un rapporto più collaborativo tra banca e impresa, tra banche e PMI è componente rilevante di una moderna politica per i servizi: per irrobustire la capitalizzazione delle imprese attraverso i prestiti partecipativi; per rafforzare e valorizzare il ruolo dei sistemi di garanzia mutualistica dei fidi; per la modernizzazione del sistema dei pagamenti, sostenuta dalla riduzione dei costi a carico delle imprese sul versante delle carte di credito.

Liberalizzazioni: per far crescere il PIL di 1,5 punti

8. Relativamente alle liberalizzazioni, occorre davvero che esse si concentrino sui servizi energetici, telefonici, bancari e assicurativi, sui servizi pubblici locali e sul sistema delle professioni, recando così un contributo alla maggior crescita stimabile nell'ordine di 1,5 punti di PIL. Si dia spazio, nel prepararle, ad un trasparente e partecipato confronto preliminare. Ma poi queste liberalizzazioni siano davvero – per utilizzare l'efficace espressione di Mario Monti – "il 'disarmo bilanciato' dei privilegi di tutte le corporazioni, non solo di alcune".

Semplificazioni: per ridurre gli oneri a carico delle imprese del 25%

9. Semplificazioni: per ridurre tempi di risposta della funzione pubblica e oneri da adempimenti amministrativi, che generano un costo della burocrazia a carico delle imprese italiane stimabile nell'ordine di 1 punto di PIL all'anno, di cui circa il 60% (oltre 8 miliardi di euro) grava sulle imprese dei servizi. La Commissione europea ha proposto un ambizioso programma di azione per ridurre del 25%, entro il 2012, gli oneri amministrativi imputabili alla legislazione in vigore. È un obiettivo che il sistema-Paese deve far proprio: implementando la logica della comunicazione unica telematica; scegliendo di delegare funzioni amministrative non discrezionali, e che si risolvono nella verifica della sussistenza di presupposti e requisiti di legge, all'iniziativa organizzata dei privati; concentrando ex-post il potere di controllo della pubblica amministrazione; perseguendo innovazione tecnologica ed innovazione organizzativa.

Mercato del lavoro e flexicurity

10. Quanto al mercato del lavoro, la flessibilità governata e contrattata ha mostrato di agire efficacemente a contrasto della precarietà del lavoro nero e della disoccupazione. Bisogna andare avanti: valorizzando la certificazione delle diverse tipologie dei contratti di lavoro, rivedendo – in particolare – le recenti limitazioni settoriali introdotte per il lavoro intermittente e – più in generale – chiudendo il cerchio della flexicurity attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, l'efficienza dei servizi per l'impiego e dei processi di formazione continua. Sul piano delle risorse, ciò richiede che venga rivisto il tradizionale squilibrio strutturale – ancora di recente confermato ed aggravato con il Protocollo sul welfare – di una spesa sociale troppo assorbita dalla spesa previdenziale e vengano valorizzati gli istituti del welfare contrattuale. A valle del richiamato Protocollo, particolare attenzione andrà dedicata alla questione dei risparmi di spesa conseguibili attraverso lo sviluppo delle sinergie tra gli Enti previdenziali, e allo sviluppo della previdenza integrativa, anche per il lavoro autonomo. In considerazione di esigenze strutturali di flessibilità dei rapporti di lavoro – connesse ad un ciclo di attività per picchi e per fasi stagionali – e ai fini dell'accrescimento del tasso di partecipazione della popolazione attiva al mercato del lavoro, le misure di riduzione del cuneo fiscale e contributivo e i crediti d'imposta per l'occupazione dovrebbero trovare applicazione, per il sistema dei servizi, anche ai contratti di lavoro a termine e stagionali. Inoltre, le politiche di incentivazione della trasformazione dei contratti di lavoro a termine e flessibili in contratti di lavoro a tempo indeterminato dovrebbero essere accompagnate dalla revisione della rigidità di questi ultimi: in ingresso, attraverso l'allungamento della durata del periodo di prova; in uscita, rendendo più celere e meno oneroso l'eventuale contenzioso. All'autonomia delle parti sociali spetta poi il compito tanto di affinare, sul terreno contrattuale, gli usi concreti degli strumenti di flessibilità, quanto di rivedere l'architettura contrattuale del '93: allungando la vigenza temporale degli accordi; evitando affrettate archiviazioni del ruolo regolatore del tasso di inflazione programmata; specializzando la funzione del primo e del secondo livello ed affrontando i temi della derogabilità presidiata e dell'incentivazione della compiuta applicazione dei contenuti della contrattazione. Una spinta importante all'occupazione – in particolare dei giovani e delle donne – ma anche all'integrazione dell'immigrazione può inoltre venire dal reale decollo dell'istituto dell'apprendistato e da politiche mirate al sostegno dell'autoimprenditorialità (tutoraggio e apprendistato d'impresa, fondi di rotazione).

Innovazione e Piano d'azione per l'economia dei servizi

11. Dopo "Industria 2015", è arrivato il momento di un "Piano d'azione per lo sviluppo dell'economia dei servizi", che definisca un quadro organico di misure dedicate all'innovazione tecnologica, organizzativa e di marketing delle imprese dei servizi, anche attraverso la creazione di specifiche reti d'impresa. Si tratta, in sostanza, di recepire le più recenti indicazioni comunitarie in materia di ricerca, sviluppo ed innovazione, che escludono qualsiasi preclusione di tipo settoriale. Per questo, occorre organizzare la mobilitazione di competenze diffuse – ed anche costruirne di nuove – puntando, per il nostro Paese, alla leadership di un "capitalismo culturale", capace di far fruttare lo straordinario patrimonio dell'identità italiana. È un progetto certamente alla nostra portata: occorrono risorse ragionevoli e certe, occorrono competenze e coordinamento delle competenze. Occorre, soprattutto, attenzione e impegno pubblico e privato.

Le politiche per la distribuzione commerciale

12. L'identità italiana è un patrimonio fatto di città e di territori, alla cui definizione partecipa un pluralismo distributivo pro-concorrenziale, che ha recato un indiscutibile contributo al contenimento dell'inflazione. Le trasformazioni e le potenzialità di questo pluralismo distributivo – costantemente impegnato nella costruzione di servizi che rispondano ai mutamenti degli stili di vita e di consumo dei cittadini, in particolare attraverso la valorizzazione della tipicità e della qualità del made in Italy – possono essere accompagnate e incentivate attraverso: un migliore coordinamento delle competenze nell'ambito del "federalismo commerciale"; una compiuta, concertata e condivisa valutazione d'impatto delle scelte di programmazione commerciale sugli equilibri strutturali del pluralismo distributivo e, in particolare, sulle medie superfici; una piena integrazione tra urbanistica generale e urbanistica commerciale, che affronti in un'ottica unitaria le questioni della attrattività e della qualità degli spazi pubblici e della logistica urbana, con particolare riferimento al tema dei parcheggi, dei piani urbani del traffico e della distribuzione urbana delle merci. Disegnando così condizioni di contesto all'interno delle quali si sviluppi il modello dei centri commerciali naturali – in particolare per i centri storici – e dei distretti commerciali urbani. In questo quadro, andrebbe anche affrontata la riforma delle locazioni commerciali e assicurata una lotta incisiva alla contraffazione ed all'abusivismo commerciale. Innovazione tecnologica e più efficienti relazioni di filiera consentirebbero, ancora, importanti incrementi di produttività nel commercio con conseguenti benefici sui prezzi praticati ai consumatori finali. L'identità italiana è, inoltre, uno straordinario asset competitivo per il nostro export e per l'internazionalizzazione del nostro sistema dei servizi: con determinazione, vanno dunque tutelati e valorizzati made in Italy, Italian concept ed Italian style.

L'Italia come prima meta turistica mondiale

13. Il turismo è una grande risorsa per il Paese. Forse, la sua più grande risorsa. Coglierne sino in fondo tutte le opportunità richiede che i protagonisti della sua governance – Stato, Regioni ed Enti locali, forze sociali – condividano un'opzione forte per il marketing territoriale della destinazione Italia, una strategia di costante qualificazione dell'offerta e un complessivo salto di qualità tecnologico e di rete dell'organizzazione, del funzionamento e della promozione di questa offerta. Un'offerta complessa, perché essa coinvolge tutti gli elementi – infrastrutturali e relazionali – che definiscono, nel loro insieme, l'identità territoriale e la sua accessibilità: efficienza e costo dei trasporti, sicurezza, qualità e fruibilità del patrimonio ambientale e culturale, professionalità e formazione. Ma, anzitutto, occorre che il turismo italiano possa competere ad armi pari: rendendo, attraverso il potenziamento della dotazione infrastrutturale, più agevole e meno costosa l'accessibilità alla destinazione Italia e ai suoi territori; recuperando svantaggi competitivi sul versante della fiscalità d'impresa, così come su quello del costo del lavoro, anche per la sua componente strutturalmente flessibile e stagionale (misure di riduzione del cuneo fiscale e contributivo, credito d'imposta). Se si lavorerà in maniera conseguente, un grande obiettivo può essere colto: far sì che l'Italia torni rapidamente ad essere la prima meta turistica mondiale.

Scuola e Università: premiare merito, responsabilità e talento

14. Tutti gli obiettivi di crescita e di sviluppo che abbiamo fin qui delineato – dal fare dell'Italia, nella logica del workfare, una società più attiva sino al perseguimento di una possibile leadership del "capitalismo culturale", fondata sull'applicazione dell'innovazione al valore dell'identità del nostro Paese – richiedono un forte impegno per la qualificazione del capitale umano, vero fattore propulsivo della crescita e dello sviluppo, ancor più del capitale finanziario. Occorrono, dunque, scelte conseguenti per la sua formazione nella scuola e nell'Università, a partire da un loro più stretto collegamento con il mondo delle imprese e del lavoro. Ma, soprattutto, occorre che, nella scuola e nell'Università, sia concretamente premiato il merito e la responsabilità tanto di chi studia, quanto di chi insegna e fa ricerca. Assicurando così, al nostro Paese, il contributo dei suoi migliori talenti. Più concorrenza, anche in questo caso: perché finanziamenti ed incentivi pubblici premino – sulla base di una rigorosa ed indipendente valutazione – qualità ed eccellenza dei risultati, così attraendo domanda di formazione ed anche finanziamenti privati. Meno egualitarismo formale: perché esso non risolve, ma conferma e aggrava le disparità di partenza e non riesce ad innescare mobilità sociale. Tre proposte al riguardo. La liberalizzazione delle tasse universitarie, accompagnata da un forte impegno pubblico/privato per la costruzione di un sistema articolato e su vasta scala di borse di studio e prestiti per i meritevoli e bisognosi. Ma anche il potenziamento del modello dell'alternanza scuola-lavoro nella istruzione secondaria e il riconoscimento di crediti per la formazione svolta presso le imprese ai fini del conseguimento di titoli di studio universitari: in Gran Bretagna lo si sta sperimentando, e le "Università dei mestieri" fanno parte delle proposte contenute nel Rapporto Attali.

Ambiente ed energia per lo sviluppo sostenibile

15. Costruire lo sviluppo ambientalmente ed ecologicamente sostenibile è oggi non solo una necessità, ma può essere anche una grande opportunità di innovazione tecnologica e di specializzazione produttiva. Naturalmente, il riconoscimento della necessità e dell'opportunità non può tradursi nell'egoismo diffuso della sindrome di Nimby e nella paralisi delle decisioni necessarie per un'adeguata infrastrutturazione del Paese. Fare dell'ambiente un fattore di competitività, di crescita e di sviluppo richiede fiducia nel mercato ed un'azione pubblica orientata alla valutazione dei risultati più che al mero controllo preventivo. Sul versante della gestione dei rifiuti, la responsabilità degli Enti territoriali, dei produttori e dei consumatori dovrebbe tradursi in riduzione dei volumi e nella loro gestione sostenibile, secondo il ciclo raccolta differenziata, recupero e riuso, alimentazione della termovalorizzazione/gassificazione. Un incisivo indirizzo pubblico – a partire dall'esercizio del potere sostitutivo dello Stato per la realizzazione degli impianti – dovrebbe assicurare legalità, economicità ed efficienza delle gestioni, con un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. La riduzione, poi, dei costi dell'approvvigionamento energetico del Paese – tradizionale fattore critico per la sua competitività e tanto più rilevante in uno scenario di strutturale tendenza al rialzo dei prezzi delle commodities energetiche – richiede l'adozione di un piano energetico nazionale articolato secondo le seguenti priorità: il riequilibrio e la riduzione del prelievo fiscale, anche mediante scelte di flessibilizzazione dell'accisa sui consumi energetici tali da neutralizzare gli incrementi di gettito IVA; il potenziamento dei gasdotti e la costruzione di nuovi terminali di rigassificazione; la gestione efficiente e indipendente delle infrastrutture energetiche; la diversificazione del mix produttivo, favorendo il ricorso al carbone pulito e alle fonti rinnovabili, ma anche la partecipazione italiana alla ricerca sul nucleare di nuova generazione; la promozione della generazione diffusa sul territorio e del mercato dell'efficienza energetica.

La riduzione del digital divide e il sistema radiotelevisivo

16. Ridurre il digital divide e favorire la compiuta accessibilità alla banda larga sono obiettivi perseguibili, oltre che con la formazione dell'utenza, attraverso tre direttrici di azione fondamentali: sostegno agli investimenti per lo sviluppo delle infrastrutture di rete; sostegno della domanda privata e di quella pubblica, anche per il ruolo che quest'ultima può svolgere ai fini dell'implementazione della qualità dei contenuti, dei servizi e delle applicazioni; espansione di tecnologie di accesso innovative ed alternative rispetto alla fibra ottica e all'ADSL, come quelle satellitari e dei sistemi radiomobili di terza generazione. Occorre, inoltre, che il processo di transizione alla trasmissioni radiotelevisive digitali venga attuato, con pari opportunità, per tutti gli attuali operatori locali e nazionali, pubblici e privati, commerciali e comunitari, con l'obiettivo di realizzare un mercato delle trasmissioni radiotelevisive digitali effettivamente pluralistico. È, quindi, necessario: prevedere norme che favoriscano la concorrenza nel settore; prevedere specifici interventi finalizzati allo sviluppo del mercato pubblicitario delle imprese radiofoniche e televisive locali; assicurare l'indipendenza e la neutralità delle rilevazioni degli indici di ascolto radiofonici e televisivi; prevedere forme di sostegno per l'innovazione tecnologica a favore delle emittenti televisive locali, che accompagnino la delicata fase di transizione alle trasmissioni digitali e alla convergenza con le altre piattaforme, con particolare riguardo alle aree "all digital"; confermare il ruolo centrale dell'emittenza locale relativamente all'informazione sul territorio, con specifiche garanzie anche in merito alla diffusione di dati e servizi locali in tecnica digitale; prevedere incentivi economici, in linea con le nuove tecnologie, a favore delle imprese che devono adeguare le apparecchiature televisive per la ricezione del segnale digitale terrestre.

Infrastrutture e trasporti: l'Italia come piattaforma logistica

17. In Italia, le inefficienze fisiche ed organizzative dei trasporti e della logistica si traducono in una maggiore incidenza sulle attività produttive dei costi per tali servizi di circa 4 punti percentuali rispetto alla media europea. Riuscire a recuperare tale svantaggio competitivo – con una azione coordinata sulle infrastrutture e sulle regole che governano il funzionamento del settore, secondo le indicazioni che emergono dal Piano Nazionale della Logistica – consentirebbe dunque di conseguire risparmi per il sistema-Paese nell'ordine di 40 miliardi di euro all'anno. Si conferma, pertanto, l'esigenza di accelerare il potenziamento infrastrutturale, a cominciare dai corridoi prioritari europei di attraversamento della barriera alpina (Corridoio V Lisbona-Kiev, Corridoio dei due mari Genova-Rotterdam, Corridoio I Berlino-Palermo), ponendo anche attenzione, in un'ottica integrata, alle reti secondarie di accesso e distribuzione capillare ed alle strutture logistiche di supporto. L'attuazione del progetto ferroviario Alta Velocità/Alta Capacità consentirà, inoltre, non solo il ridisegno delle distanze territoriali, ma anche di liberare, sulla rete tradizionale, capacità ferroviaria per il trasporto locale e delle merci. In questo contesto, lo sviluppo dei trasporti marittimi e delle autostrade del mare, nell'ambito di politiche di riequilibrio modale, potrà consentire all'Italia di giocare un ruolo ambizioso di piattaforma logistica europea protesa nel Mediterraneo. A questi fini, si rende necessario il potenziamento selettivo delle infrastrutture portuali e retroportuali e dei loro collegamenti con il territorio, risolvendo positivamente anche il rapporto spesso critico tra porti e città ospitanti. Sul versante delle regole, poi, andrà compiutamente attuata la riforma dell'autotrasporto varata con la legge 32/2005 e rivista la legge 84/1994 – legge quadro per il sistema portuale – dando risposta alle esigenze di efficienza del funzionamento degli scali formulate dall'intera filiera logistico-portuale. Quanto alle risorse necessarie, è noto che le dimensioni complessive del fabbisogno finanziario per gli investimenti in infrastrutture sono stimate, per il nostro Paese, nell'ordine di oltre 200 miliardi di euro. Selezionare le priorità è, dunque, fondamentale. Così come rafforzare il modello di intervento del partenariato pubblico-privato e del project-financing, verificare la possibilità d'intervento della Cassa Depositi e Prestiti e valorizzare, per il Mezzogiorno, l'ingente dotazione delle politiche europee di coesione per il periodo 2007-2013. Nell'ottica del rafforzamento, sia pur selettivo, delle infrastrutture del nostro Paese, andrà, infine, risolta la questione della valorizzazione del ruolo dello scalo aeroportuale di Malpensa.

100 miliardi di euro per il Mezzogiorno

18. Tra il 2007 e il 2013 si rendono disponibili per il Mezzogiorno – attraverso Fondi strutturali e nazionali del FAS – circa 100 miliardi di euro. È una cifra notevolissima, pari ogni anno al 5% del totale del PIL del Mezzogiorno. Spenderli bene è fondamentale. Tre sono, a nostro avviso, gli aspetti critici rispetto ai quali sarà necessario porre particolare attenzione: la collaborazione tra Autorità nazionali, Regioni e partenariato istituzionale ed economico-sociale; l'articolazione degli interventi in oltre 60 programmi operativi; la programmazione unitaria dello sviluppo regionale mediante l'integrazione dei Fondi Strutturali e del FAS. Sono aspetti che vanno presidiati soprattutto per superare il limite fondamentale del precedente ciclo di programmazione 2000-2006: da un lato, cioè, il dato positivo dell'assunzione di impegni, da parte delle Amministrazioni, per circa il 94% del costo totale dei programmi; dall'altro, i notevoli ritardi realizzativi dovuti all'inadeguatezza delle dotazioni di risorse umane, finanziarie e strutturali per la loro gestione. Occorre, in buona sostanza, un impegno straordinario, condiviso e partecipato, per massimizzare qualità ed efficacia della spesa, anche attraverso l'individuazione di forti e prioritarie direttrici di allocazione delle risorse: il capitale umano e il sistema della ricerca, sviluppo ed innovazione; le infrastrutture e la logistica; il turismo; la riqualificazione di città e territori resi vitali e competitivi dal sistema dei servizi. Contemporaneamente, va pensato e realizzato un quadro organico di interventi che affronti la sfida del "dopo la 488": crediti d'imposta per l'innovazione; crediti d'imposta per l'occupazione, anche per quella strutturalmente flessibile e stagionale; maggiore collaborazione tra banche e imprese, tra banche e PMI; fiscalità di vantaggio, a partire dalla sua sperimentazione all'interno del nascente modello delle zone franche urbane.

Ma, anzitutto, tutela della legalità e della sicurezza

19. Anzitutto, tutela della legalità e della sicurezza. In ogni area del Paese, e soprattutto nel Mezzogiorno. Senza legalità e sicurezza, infatti, non c'è crescita stabile e duratura, non c'è sviluppo. Nel Mezzogiorno, la netta presa di posizione delle associazioni imprenditoriali contro il racket delle estorsioni è la conferma della crescente consapevolezza di questo assioma. L'impegno e la tensione contro ogni forma di criminalità, organizzata e non, vanno tenuti costantemente alti, e i successi conseguiti dall'azione dello Stato e delle sue istituzioni – che hanno inflitto pesanti colpi agli apparati "militari" e ai patrimoni della criminalità organizzata – dicono della possibilità e della necessità di fare ancora di più e di meglio. Va resa ancora più fitta la trama preziosa della rete delle esperienze di collaborazione tra associazioni imprenditoriali e istituzioni, e non vanno lesinate le risorse necessarie per assicurare sempre maggiore efficacia all'azione delle forze dell'ordine e della magistratura per la tutela della legalità e per il contrasto della criminalità. Merita di essere valorizzata l'organizzazione della sicurezza sussidiaria e andranno confermati e rafforzati i crediti d'imposta finalizzati agli investimenti in sistemi di sicurezza da parte delle imprese. In particolare, di quelle categorie di imprese più colpite da furti e rapine, divenute quasi un "Bancomat" della criminalità. Disarticolare la politica economica della criminalità organizzata, disarticolare il circuito dell'economia criminale richiede una compiuta integrazione tra politiche per lo sviluppo e politiche per la legalità e la sicurezza. In generale, rispondere all'emergenza della criminalità, ed anche della cosiddetta microcriminalità, vuol dire realizzare rapidi miglioramenti di tutti gli indicatori di deterrenza: dalla percentuale delle forze dell'ordine presenti sul territorio al tasso di impunità, dalla adeguatezza delle condanne alla durata effettiva delle pene, specie nel caso di recidività. È questione di impegno e di risorse, ma anche di regole e di organizzazione. Basti pensare ai tempi della giustizia penale e, ancor di più, a quelli della giustizia civile. Tutela della legalità significa anche agire, con assoluta determinazione, per un severo contrasto del fenomeno dei clandestini, rendendo effettivo e definitivo il loro allontanamento dal territorio nazionale. Analoga determinazione e severità di contrasto occorrono nei confronti di fenomeni solo apparentemente minori, come l'abusivismo e la contraffazione. Fenomeni che "dopano" il mercato e la concorrenza e che costituiscono spesso fonte di grandi guadagni con pochi rischi per la criminalità organizzata. Ad essi bisogna rispondere con un rafforzato presidio del territorio; con una sempre più stretta collaborazione tra pubblico e privato; con l'adeguamento della normativa penale in tema di produzione e vendita della merce contraffatta, e delle procedure di sequestro e confisca; con più applicabili sanzioni amministrative a carico degli acquirenti e con campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema.

Conclusioni

20. Il "terzo capitalismo" dell'impresa diffusa e il "quarto capitalismo" delle medie imprese internazionalizzate, il "quinto capitalismo" dell'economia dei servizi costituiscono, oggi, l'ossatura portante dell'economia italiana. Bisogna far sì che, ad ogni livello della scala dimensionale, le imprese possano ricercare maggiore efficienza e crescere. Per questo, sarebbe particolarmente utile un punto di coordinamento istituzionale dedicato alle politiche per le PMI presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche in considerazione della crescente attenzione riconosciuta in sede comunitaria alle azioni ad esse dedicate. Il percorso di crescita delle imprese – ed, in particolare, delle imprese piccole, medie e grandi dei servizi, che già oggi concorrono per ben oltre il 40% alla formazione del PIL e dell'occupazione – fa, del resto, tutt'uno con il percorso di crescita e sviluppo del Paese. E crescita e sviluppo sono la miglior risposta ai rischi di frammentazione territoriale e sociale dell'Italia, e alle agende della questione meridionale e della "nuova" questione settentrionale. Le ragioni della crescita, dunque, siano al centro della politica e delle politiche, così come al centro della pratica della concertazione. Anche della concertazione occorre una sorta di manutenzione straordinaria: meno ritualità e meno relazioni privilegiate, e più attenzione alla rappresentatività reale dell'economia reale del Paese. Anche questo è necessario, se davvero si sceglie di costruire un futuro migliore per l'Italia.

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