Il manifesto di Confcommercio "L'Italia delle Imprese, le imprese per l'Italia"
Il manifesto di Confcommercio "L'Italia delle Imprese, le imprese per l'Italia"
IL MANIFESTO DI CONFCOMMERCIO
L’ITALIA DELLE IMPRESE,
LE IMPRESE PER L’ITALIA
L’economia internazionale è entrata, dall’ultimo trimestre del 2008, in una fase di recessione, che dovrebbe raggiungere il suo culmine nel corso di quest’anno, con pesanti ricadute sull’occupazione, sui redditi, sui consumi e sugli investimenti. In Italia, poi, all’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale si sommano ritardi strutturali di lungo periodo, che, nel loro complesso, costituiscono la sostanza notissima delle cause della crescita lenta, della competitività difficile, della produttività stagnante o declinante.
Con il pessimismo non si va lontano. Ma – entro ed oltre il perimetro della crisi - con la realtà bisogna fare i conti. Con responsabilità e senza paure. Perché – come ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio di fine anno – “l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”.
Questo manifesto vuole dunque essere il contributo responsabile di un’Italia che non ha paura, ma è consapevole delle difficoltà, nuove e pregresse, che occorre affrontare e superare per crescere di più e meglio, per costruire sviluppo e coesione sociale.
E’ il contributo dell’Italia delle imprese. Delle sue PMI, in particolare, che costituiscono il 95% della struttura produttiva del Paese, che contribuiscono per oltre il 70% alla formazione del valore aggiunto e per oltre l’80% all’occupazione. Il tutto nel contesto di un mercato interno europeo, in cui oltre il 99% delle imprese rientra nella classe dimensionale fino a 250 addetti e in cui circa 18 milioni di imprese sono classificate come microimprese con meno di 10 addetti.
In Europa ed in Italia, dunque, le PMI non sono né un’eccezione, né un’anomalia. Al contrario, esse sono la struttura portante dell’economia reale e dei processi di sviluppo territoriale. Sono quindi una risorsa fondamentale su cui far leva per rispondere alla recessione originata dalla crisi sistemica dei mercati finanziari.
E lo sono particolarmente in un’Italia, di cui – accanto ad una certa maggiore solidità patrimoniale delle famiglie e del sistema bancario rispetto allo scenario internazionale - costituiscono uno dei principali punti di forza e di tenuta a fronte della crisi in atto e dei suoi sviluppi futuri. E’ il contributo delle imprese per l’Italia.
Soprattutto in tempi difficili, più difficili, le risorse vanno però coltivate. E’ bene che questa consapevolezza sia maturata, in Europa, con lo “Small Business Act”, ossia con la strategia della Commissione europea di valorizzazione dell’impresa diffusa, il cui primo principio è “think small first”.
Un “pensare anzitutto in piccolo”, che è il riconoscimento della necessità di politiche dedicate alle PMI come condizione fondamentale per la loro crescita e, in questo modo, per il loro contributo determinante ad un realistico perseguimento dell’obiettivo di Lisbona: fare dell’economia europea “l’economia più competitiva e dinamica al mondo basata sulle conoscenze, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e più qualificati posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale”.
“Pensare anzitutto in piccolo” non è, allora, né un anacronistico ripiegamento su orizzonti localistici rispetto allo scenario difficile ed inquieto della globalizzazione, né l’evocazione di politiche da “riserva indiana”. E’ invece – lo ripetiamo, lo sottolineiamo – l’impegno a far sì che, ad ogni livello della scala dimensionale, le imprese possano ricercare maggiore efficienza e crescere. Crescere dimensionalmente e qualitativamente; crescere singolarmente e attraverso le aggregazioni di gruppo e le relazioni di distretto e di filiera. Senza “riserve indiane”: né per le PMI, né per i “campioni nazionali”.
Questi ci sembrano, dunque, i principi, i valori ispiratori delle politiche dedicate alle PMI italiane: la tutela della legalità e della sicurezza contro ogni forma di criminalità; il pluralismo imprenditoriale come condizione strutturale di democrazia economica; l’apertura dei mercati e l’attenzione alle ragioni dei consumatori, declinate attraverso una concorrenza a parità di regole; l’impegno per lo sviluppo territoriale e per una maggiore competitività dell’intero sistema-Paese.
Sono i principi, i valori di un’Italia che – a volte, quasi nonostante tutto – mantiene fortissima la voglia di fare impresa. E’ l’Italia dell’economia reale, che non si sottrae al problema della produttività stagnante o declinante, ma che, al contrario, intende affrontarlo per intero e sino in fondo. E’ l’Italia che – negli anni della crescita lenta e del venir meno della valvola di sfogo delle svalutazioni pro-competitive – ha saputo comunque andare avanti e sostenere la crescita dell’occupazione.
Lo ha fatto “cambiando pelle”, con ristrutturazioni profonde, silenziose ed anche dolorose. Basti pensare, ad esempio, alla “selezione darwiniana” delle imprese del commercio, con la chiusura di decine di migliaia di unità produttive all’anno.
Lo ha fatto esprimendo una buona parte di quelle “multinazionali tascabili” che - con creatività ed innovazione, con una forte integrazione tra produzione e servizi – hanno saputo accrescere il valore aggiunto dell’export italiano.
E’ l’Italia produttiva e dell’economia reale, che non ha vissuto né l’euforia della “new economy”, né le suggestioni del primato della finanza e delle tante, troppe privatizzazioni senza liberalizzazioni.
E’ l’Italia di un capitalismo familiare senza “grandi famiglie”.
E’ l’Italia di chi, ogni giorno, si confronta con il mercato e con le difficoltà delle famiglie. E, quando non ce la fa, chiude. Chiude, punto e basta. E con ben pochi ammortizzatori.
Cosa offre e chiede, oggi, questa Italia, l’Italia delle PMI?
Offre e chiede responsabilità. Offre tutto il proprio impegno per rilanciare crescita, sviluppo, coesione sociale. Chiede la responsabilità di perseguire questi obiettivi attraverso riforme che risolvano svantaggi competitivi di lungo periodo e che legittimino, pur nel quadro di un rigoroso controllo della finanza pubblica, una politica di bilancio più espansiva.
Chiede una funzione pubblica più efficiente, anche sul versante della giustizia, e una spesa pubblica più produttiva come occasioni di crescita e come condizione per una progressiva riduzione di una pressione fiscale troppo elevata, che avanzi in parallelo al recupero di evasione ed elusione. Il tutto nella prospettiva di un federalismo fiscale fondato su una solida e condivisa cultura della responsabilità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e nel ricorso alla tassazione, ma anche nell’ottica di un ordinamento fiscale certo, stabile e semplificato.
Chiede un’opzione forte – anche e soprattutto nel Mezzogiorno - per gli investimenti in infrastrutture e per il potenziamento del capitale umano, con un sistema educativo e formativo che riconosca ed apprezzi merito e responsabilità, per irrobustire i fondamentali della crescita e dello sviluppo. Così come sollecita – soprattutto in questa fase – un rapporto più collaborativo tra banca ed impresa ed il rafforzamento del ruolo dei sistemi di garanzia mutualistica dei fidi.
Chiede che si completi il circuito della flexicurity attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, l’efficienza dei servizi per l’impiego e dei processi di formazione continua, anche rivedendo la struttura di una spesa sociale troppo assorbita dalla spesa previdenziale. E valorizzando la sussidiarietà del welfare contrattuale, nell’ambito di una ora rinnovata architettura della contrattazione che concorrerà al perseguimento di maggiore produttività e, conseguentemente, al miglioramento della dinamica salariale, con scelte incentivanti di riduzione del prelievo fiscale.
Chiede integrazione tra politica industriale e politica per i servizi, nella consapevolezza che, nel futuro del nostro Paese, maggiore e migliore crescita, maggiore e migliore occupazione potranno venire anzitutto dall’economia dei servizi e dai suoi incrementi di produttività. Un’integrazione fondata sulle liberalizzazioni ancora necessarie, a partire dai servizi pubblici locali; sulle semplificazioni degli oneri burocratici, con l’obiettivo della loro riduzione del 25% entro il 2012, ma anche sulla tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni; sul sostegno all’innovazione – tecnologica ed organizzativa – dell’impresa diffusa; sulla valorizzazione dell’identità italiana e della sua offerta turistica come straordinario asset competitivo del Paese; sul ruolo pro-competitivo del pluralismo distributivo; sul potenziamento del sistema dei trasporti e della logistica; sulla riduzione dei costi dell’approvvigionamento energetico del Paese e sulla costruzione dello sviluppo ambientalmente sostenibile come opportunità di innovazione tecnologica e di specializzazione produttiva; sulla riduzione del digital divide, anche con un mercato radiotelevisivo digitale effettivamente pluralistico.
Occorrono riforme, dunque. Definirle e realizzarle è una responsabilità condivisa: di chi governa e delle parti sociali; delle istituzioni e della politica, di maggioranza e di opposizione. Confrontarsi e cooperare per la migliore formazione delle scelte è un diritto/dovere di tutti, nel reciproco rispetto dei diversi ruoli. Da questo punto di vista, i tempi di crisi rafforzano il nostro auspicio, la nostra richiesta di una legislatura costituente, ancora possibile e più che mai necessaria.
Se così sarà, l’Italia delle PMI pensa davvero che sia possibile dar concreto seguito all’appello del Presidente della Repubblica: “Facciamo della crisi un’occasione…”. L’occasione per costruire un’Italia più prospera e più giusta. Alla realizzazione di questo obiettivo, le PMI vogliono dare tutto il loro contributo.