Il Manifesto programmatico di Confcommercio

Il Manifesto programmatico di Confcommercio

Roma, 7 marzo 2008

DateFormat

7 marzo 2008

La campagna elettorale si è avviata e i programmi delle forze politiche sono stati ufficializzati.

Contemporaneamente, sono state riviste fortemente al ribasso le stime di crescita dell'economia internazionale per il prossimo anno, e particolarmente per l'Europa e per l'Italia. L'economia italiana, nel 2008, crescerà largamente meno dell'1%, mentre l'inflazione – in Europa e in Italia – è vista in aumento per la spinta al rialzo dei prezzi dei prodotti petroliferi e di alcune materie prime agricole.

In questo quadro, i "toni" della campagna elettorale sono stati, almeno fin qui, meno belligeranti e più sanamente competitivi. Contraddistinti, cioè, dal riconoscimento del fatto che crescita lenta, competitività difficile e produttività stagnante sono i mali, non oscuri e di lungo periodo, dell'economia italiana. E che ad essi occorre dare risposta, se davvero si intende perseguire quella crescita più robusta e di migliore qualità, che è la condizione fondamentale tanto per il risanamento della finanza pubblica – e, in particolare, per la riduzione di un debito che continua a costarci circa 2 punti di PIL in più rispetto ai principali paesi europei – quanto per lo sviluppo e per l'equità sociale e intergenerazionale.

Noi, naturalmente, troviamo che sia importante e positivo che, insieme ai processi di riduzione della frammentazione del sistema dei partiti, si sia innescato un confronto di merito sui deficit strutturali del sistema-Paese.

Perché la nostra richiesta fondamentale è che la prossima legislatura sia davvero una legislatura costituente.

Costituente in un duplice senso: per portare a compimento la riforma della legge elettorale e il pacchetto delle riforme istituzionali necessarie per assicurare all'Italia condizioni di effettiva ed efficace governabilità; ma anche, appunto, per procedere alle riforme economiche e sociali funzionali alla crescita più robusta e di migliore qualità.

Le "ricette" necessarie sono, del resto, largamente note e ragionevolmente condivise dai riformisti dell'una e dell'altra parte.

Al primo punto, sta la necessità di affrontare e risolvere ciò che noi definiamo un vero e proprio cortocircuito tra una spesa pubblica troppo elevata e scarsamente produttiva e una troppo elevata pressione fiscale.

È bene, allora, che – al di là del dibattito sul "tesoretto" – gli schieramenti politici si misurino sulla capacità di incidere sulla spesa pubblica: sulla capacità, cioè, di controllarla, ristrutturarla e riqualificarla, ridurla.

L'integrazione del principio del "pagare tutti per pagare meno" con il principio del "pagare meno per pagare tutti" – integrazione ora accolta anche nel programma del Partito Democratico – trova, infatti, il suo fondamento di credibilità e di sostenibilità nell'assunzione, quale vincolo politico ineludibile, del principio e della pratica dello "spendere meno e meglio".

Dunque, quel che occorre è contestualità: tra recupero di evasione ed elusione, senza la ricerca di facili capri espiatori e nella consapevolezza che si tratta di patologie che tagliano trasversalmente tutta l'economia e la società italiana; riduzione delle aliquote fiscali; riduzione di spesa pubblica.

Noi indichiamo, a questo riguardo, due grandi obiettivi realisticamente perseguibili: ridurre la spesa pubblica corrente primaria di 5 punti di PIL nell'arco della prossima legislatura, agendo su inefficienze e sprechi stimabili appunto in quest'ordine di grandezza; ridurre, sempre nell'arco della prossima legislatura, l'aliquota media IRPEF di 5 punti, visto che la riduzione della pressione fiscale nell'ordine di 1 punto di PIL consente di abbattere di 2 punti il prelievo IRPEF medio.

Se ne gioverebbero tutti i redditi da lavoro, con benefici effetti sulla domanda interna, sui consumi delle famiglie, sul PIL.

A vantaggio della riduzione del debito, dovrebbe inoltre agire un coraggioso processo di dismissione del patrimonio pubblico.

Un forte impulso alla produttività verrebbe, poi, dalla tassazione – secca e non progressiva, con aliquota intorno al 10% – degli straordinari, dei premi e degli incentivi, degli incrementi salariali frutto della contrattazione di secondo livello.

Sempre in tema di politiche fiscali, segnaliamo la necessità del compiuto rispetto dello Statuto del contribuente e, dunque e in particolare, del rispetto del principio della non retroattività delle normative e delle disposizioni fiscali, e del diritto del contribuente alla tassazione sulla base del suo reddito effettivo ed attuale.

Quanto alla fiscalità d'impresa, maggiore equità e selettività per gli studi di settore; riduzione netta di prelievo IRES e progressivo superamento dell'IRAP, con franchigia per le piccole imprese a 15.000 euro; pagamento dell'IVA al suo incasso e aliquote IVA più competitive per il turismo.

È un libro dei sogni? Noi non crediamo che sia così. Ma perché non sia così occorre davvero porsi il problema di una pressione fiscale a livelli da record – ben al di sopra del 43% – e rispondervi affrontando il nodo della spesa pubblica. La cui ristrutturazione e riduzione va appunto forzata attraverso una scelta chiara di riduzione strutturale della pressione fiscale nel corso della prossima legislatura.

Meno tasse, dunque. Ma non solo.

Perché maggiore e migliore crescita e più produttività potranno venire, nel futuro prossimo del nostro Paese, da quell'economia dei servizi, che Confcommercio rappresenta e che, già oggi, contribuisce per ben più del 40% alla formazione del valore aggiunto e dell'occupazione.

Per questo, l'ulteriore e fondamentale impegno, che oggi chiediamo agli schieramenti e alle forze politiche, è quello di mettere in campo una politica per i servizi.

Questa politica per i servizi è fatta di poche e semplici cose.

Liberalizzazioni ben fatte che agiscano compiutamente sui servizi energetici, telefonici, bancari e assicurativi, sui servizi pubblici locali e sul sistema delle professioni, generando crescita aggiuntiva nell'ordine di 1,5 punti di PIL.

Semplificazioni: per ridurre del 25%, entro il 2012, quella tassa della burocrazia, che grava sulle imprese italiane per circa 1 punto di PIL.

Flessibilità governata e contrattata nel mercato del lavoro: rivedendo le limitazioni settoriali per il lavoro intermittente; affrontando la riforma degli ammortizzatori sociali; incentivando la trasformazione dei contratti a termine e flessibili in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma anche rivedendo la rigidità di questi ultimi.

Sostegno all'innovazione secondo le forme tipiche che essa assume nel sistema dei servizi. Dunque – dopo "Industria 2015" – un grande piano d'azione italiano per l'innovazione nei servizi, anche attraverso il rafforzamento delle politiche per la scuola e l'Università all'insegna del riconoscimento del merito, della responsabilità, del talento di chi insegna, di chi studia, di chi fa ricerca.

Insomma, una legislatura costituente: sottratta alla dittatura del breve termine e in cui forze politiche e forze sociali scelgano un progetto ambizioso per l'Italia.

Perché possiamo e dobbiamo essere i "primi": i primi – facendo leva, in particolare, sulla risorsa straordinaria del turismo e sulla qualità del nostro pluralismo distributivo – in un capitalismo culturale fondato sull'applicazione dell'innovazione tecnologica ed organizzativa al valore, unico ed irripetibile, dell'identità italiana.

Le "emergenze", tante e troppe a partire dal dramma dei rifiuti in Campania, vanno affrontate e risolte, sapendo che non possono esserci sconti e non ci sono scorciatoie: le infrastrutture necessarie – per l'energia, per i trasporti e la logistica – vanno realizzate, mobilitando capitali pubblici e privati e facendo davvero fruttare, nel Mezzogiorno, i 100 miliardi di euro previsti per i fondi strutturali tra 2007 e 2013.

Qualità e produttività della spesa, anche in questo caso, devono essere al centro dell'impegno pubblico e privato.

Anzitutto attraverso la condivisione – netta e senza ambiguità – della tutela della legalità e del contrasto di ogni forma di criminalità, organizzata e non. Ed anche di quei fenomeni, solo apparentemente minori, come l'abusivismo e la contraffazione.

Ecco, tutto questo significa, per noi, l'impegno concreto per una crescita del Paese più robusta e di migliore qualità. Perché, francamente, con una crescita dello "zero virgola" o anche dell'"uno virgola" non si va davvero lontano: non ce la si fa, in particolare, a dare risposta all'attesa di maggiore reddito netto disponibile per i lavoratori e per le famiglie.

La risposta alla crescita debole e lenta era e resta la priorità del Paese. È la condizione per reagire alle sue fratture sociali e territoriali: alla tradizionale questione meridionale, così come alla nuova questione settentrionale.

Bisogna, allora, lavorare per la crescita: anche prevedendo la costituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di un punto di coordinamento istituzionale delle politiche per le PMI – che sono tanta parte del tessuto produttivo del Paese – e con una concertazione più attenta alla rappresentatività reale dell'economia reale del Paese.

Queste sono, in estrema sintesi, le analisi e le proposte che – sotto il titolo "Crescere di più, crescere meglio – Venti tesi per una legislatura costituente" – oggi presentiamo.

Le presentiamo alle forze politiche – e, più in generale, al Paese – come contributo alla formazione di quelle scelte, di quelle riforme che, oggi più che mai, appaiono necessarie ed urgenti.

Verificheremo – lungo il percorso della campagna elettorale – convergenze ed impegni.

E in ogni caso – dopo e a Camere rinnovate – continueremo ad incalzare, affinché a quelle scelte, a quelle riforme si dia seguito.

Costruendo così, per l'Italia, un futuro migliore e più ambizioso.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca