Il Mezzogiorno. Opportunità di sviluppo e crescita economica del sistema Paese

Il Mezzogiorno. Opportunità di sviluppo e crescita economica del sistema Paese

Catanzaro, 12 novembre 2010

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12 novembre 2010

Macro Carrier

 

Oggi stiamo attraversando una difficile transizione dalla recessione al ritorno alla crescita, in cui resta elevato il livello di sofferenza dell’economia reale, delle imprese e del lavoro.

 

Del resto, per il 2010 il nostro Ufficio studi prevede in Italia un incremento del Pil intorno all’1%.

 

Insomma, dopo la grande crisi, si sta configurando – su scala globale, in Europa ed in Italia – uno scenario di ritorno alla crescita lento ed in cui soffre particolarmente l’occupazione.

 

E se è vero che il nostro Osservatorio sul mercato del lavoro nel terziario ha registrato recentemente dei segnali di ripresa, preoccupa la difformità tra le varie aree del Paese: il Nord e il Centro, da una parte, con una crescita significativa di occupati nel primo semestre del 2010 e il Sud, dall’altra, in cui si rileva un calo ininterrotto dalla metà del 2008.

 

Ci vuole, dunque, una politica attenta per irrobustire la crescita, rimettere in moto lo sviluppo e rilanciare i consumi, che - ricordo - nell’ultimo decennio sono cresciuti solo dello 0,5% all’anno.

 

Manifattura ed export non bastano, infatti, a garantire la ripresa, ma occorre fare maggiormente leva sulle imprese dei servizi - i servizi di mercato che già oggi contribuiscono per il 58% alla creazione della ricchezza nazionale e per il 53% all’occupazione - e sulla domanda interna.

 

Le nostre imprese, però, continuano  a imbattersi anche in difficoltà strutturali che vanno oltre la crisi. Ne cito, solo alcune: il peso della pressione fiscale e delle spese incomprimibili, i costi della burocrazia, il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, il macigno della criminalità, soprattutto nel Mezzogiorno, la difficoltà di accesso al credito.  

 

Una situazione di forte disagio, peraltro, messa ben a fuoco dagli ultimi dati sulla nati-mortalità delle imprese nel 2010. Basti pensare che nei primi nove mesi dell’anno le imprese commerciali si sono ulteriormente ridotte di oltre 17mila e 700 unità, di cui oltre 10mila e 400 nel dettaglio.

 

Un patrimonio di imprese che va, dunque, tutelato e valorizzato; un patrimonio, peraltro, minato anche dalle calamità naturali che, purtroppo, colpiscono con troppa frequenza il nostro Paese. Le recenti alluvioni che si sono abbattute su alcune regioni, tra cui la Calabria, hanno infatti prodotto ingenti danni al tessuto economico e sociale dei territori interessati che richiedono, nello specifico, subito la messa in campo di una serie  di interventi, a partire da uno stanziamento di maggiori risorse per far fronte alle primissime urgenze e dalla sospensione delle scadenze fiscali e previdenziali.

 

E quello che, più in generale, chiediamo è una politica per i servizi, fatta di sostegno all’innovazione, di riqualificazione del capitale umano, di investimenti in ricerca e sviluppo, di potenziamento infrastrutturale, di un più agevole accesso al credito, di valorizzazione del turismo.

 

Una politica per i servizi che si integri con la più consolidata e riconosciuta politica industriale.

 

Penso, dunque, che partire dal riconoscimento di come è fatta l’economia reale del Paese sia necessario per individuare soluzioni che consentano a tutte le imprese ed in ogni settore di crescere e competere meglio.

 

Di crescere per riassorbire disoccupazione e per costruire nuova occupazione.

 

Di crescere, attraverso robusti incrementi di produttività, anche per rafforzare il reddito dei lavoratori.

 

Perchè come abbiamo scritto nel Manifesto di Rete Imprese Italia, l’Associazione inter-confederale, fondata da Confcommercio, insieme a Confartigianato, CNA, Confesercenti, Casartigiani e che si pone come strumento unitario di rappresentanza e di confronto con le istituzioni, la politica, le altre forze economiche e sociali, “il futuro del Paese è inscindibilmente legato alle piccole e medie imprese e all’impresa diffusa”.

 

Ed è ora necessario rendere strettissimo il circuito tra stabilità finanziaria e spinta alla crescita, facendo avanzare tutto il cantiere delle riforme utili al rafforzamento della competitività complessiva del sistema-Paese.

 

A cominciare proprio da quella che noi consideriamo la “madre” di tutte le riforme e cioè la riforma fiscale. Una riforma che, intrecciandosi con un federalismo fiscale responsabilmente solidale e pro-competitivo, generi semplificazioni e riduzione di pressione fiscale complessiva, attraverso il contestuale avanzamento dei processi di ristrutturazione, riqualificazione e riduzione della spesa pubblica e dell’azione di contrasto e recupero di evasione ed elusione. Ed al Mezzogiorno che non si sottrae alla sfida del federalismo fiscale è dovuto anche l’impegno alla costruzione di una robusta fiscalità di vantaggio.

 

Inoltre, e non meno importante, c’è la questione meridionale che resta un grande banco di prova. Per un Paese più competitivo, ma anche più coeso socialmente e territorialmente, occorre, infatti, innanzitutto sospingere la capacità del Mezzogiorno di costruire più crescita, più sviluppo, più coesione sociale.

 

Un Mezzogiorno che - ricordo - da otto anni consecutivi, cresce meno delle altre aree del Paese, in un’Italia che, tutta insieme, cresce davvero troppo poco.

 

Un Mezzogiorno in cui restano forti dubbi sull’efficacia delle politiche di sviluppo che hanno fino ad oggi presentato alcune luci e molte ombre. Ciò è palese se confrontiamo quello che è stato fatto in altri  Paesi, come Spagna, dove si è fortemente puntato sulle infrastrutture e sulle Pmi.

 

La programmazione dei fondi europei e nazionali ha prodotto finora una proliferazione di interventi scarsamente incisivi e una gestione burocratica delle risorse.

 

Analogamente, i cambiamenti relativi ai fattori di contesto -infrastrutture, nuove tecnologie, formazione e capitale umano, ricerca e innovazione, pubblica amministrazione, sicurezza - sono risultati troppo limitati rispetto alle crescenti esigenze del Meridione.

 

I servizi rappresentano il 70% del valore aggiunto e dell’occupazione del Mezzogiorno. Il turismo e la distribuzione sono concrete opportunità di sviluppo, ma sono stati “storicamente” scarsamente supportati dalle politiche di sviluppo dell’area, orientate in grandissima parte alla manifattura.

 

Commercio, turismo e servizi che - sottolineo - costituiscono un potente fattore di limitazione al degrado e allo stesso tempo sono di stimolo alla riqualificazione urbana, allo sviluppo, alla legalità. Laddove esistono queste attività si creano, infatti, condizioni di vitalità e qualità delle città e dei territori, si realizzano con più facilità opportunità di crescita per le relazioni sociali e culturali.

 

Ma in alcune aree manca anche il prerequisito per un’economia sana che è quello della legalità e della sicurezza che rimangono nodi irrisolti, rispetto ai quali occorre intensificare gli sforzi.

 

Perché la criminalità comune ed organizzata, l’odiosa estensione del fenomeno del “pizzo” sono elementi che frenano lo sviluppo quanto, e forse più, della mancanza di risorse.

 

La questione del Mezzogiorno va, dunque, affrontata con decisione perché rappresenta un’opportunità per costruire più crescita, più sviluppo, più coesione sociale non solo per il Meridione, ma anche per tutto il Paese.

 

Più produttività e crescita, più occupazione e sviluppo nel Mezzogiorno sono, allora, occasione straordinaria per rilanciare produttività, crescita, occupazione e sviluppo nell’intero Paese.

 

Sarebbe il modo migliore, tra l’altro, per festeggiare giustamente, e per non celebrare retoricamente, nel 2011, i 150 anni dell’Unità d’Italia.

 

E sarebbe, ancora, il modo migliore per rendere omaggio all’impegno dei tanti che per la crescita civile del Mezzogiorno si sono battuti, anche a prezzo della propria vita.

Grazie.

 

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