L’(in)atteso ritorno dell’inflazione
L’(in)atteso ritorno dell’inflazione
Una sintesi sulle previsioni e le prospettive dell'inflazione europea e italiana, con focus sulle dinamiche dei prezzi al consumo, il ruolo delle materie prime e degli input logistici e le ipotesi di valutazione sull'andamento dei prezzi fino al 2022.
Introduzione e sintesi
Nello scorso mese di maggio, l’inflazione per i Paesi OCSE ha raggiunto il 3,8%, dal 3,3% tendenziale del mese precedente. Nella metrica core (inflazione di fondo), nello stesso mese la variazione dei prezzi al consumo è stata del 2,9%, in accelerazione di mezzo punto rispetto ad aprile.
Nonostante queste evidenze, l’attenzione al tema dell’inflazione sembra piuttosto esigua, almeno fino a oggi.
Con chiarezza e precisione è stato autorevolmente sottolineato che sono due le determinanti dell’eventuale prossima accelerazione inflazionistica: la pressione sui costi delle imprese e la configurazione delle aspettative degli operatori riguardo al profilo della stessa inflazione nel futuro, più o meno lontano[1].
Questo può essere un buon punto di partenza per riflettere sui concreti rischi di una recrudescenza inflazionistica a brevissimo termine.
Negli ultimi sei mesi il linguaggio e le argomentazioni sulla questione dell’inflazione, nei report delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali e nelle note, anche riservate, degli investitori privati, sono stati eccezionalmente omogenei. Si parte, invariabilmente, dall’elencazione degli impulsi provenienti dai mercati delle materie prime e poi, passando dalla descrizione di possibili strozzature nelle catene internazionali di fornitura, si chiude evidenziando la dimensione straordinaria della liquidità presente in giro per il mondo.
Ma, a conclusione della premessa sui fattori di rischio, si afferma che i problemi citati non dovrebbero destare grandi preoccupazioni sia perché le autorità monetarie sarebbero ben consapevoli della necessità di non operare restrizioni avventate, sia perché la capacità produttiva e l’occupazione non sarebbero ai livelli pre-crisi né vi tornerebbero troppo rapidamente. A conclusione del ragionamento e prima di procedere al racconto della crescita economica prossima futura, i vari rapporti segnalano che se d’inflazione di tratterà, essa sarebbe, comunque, di breve durata.
Ora, il summenzionato schema, diffuso e rassicurante, trascura di considerare due questioni: la prima riguarda la circostanza che non c’è nessuna garanzia che le aspettative d’inflazione non mutino repentinamente nella direzione peggiore (cioè, al rialzo), contribuendo a realizzare già oggi una maggiore inflazione; la seconda riguarda gli effetti differenziali tra paesi di un incremento dell’inflazione, seppure di fenomeno transitorio dovesse trattarsi. E poi, transitorio, quanto?
Il primo punto resta inevaso, dipendendo molto dalla credibilità degli annunci e delle decisioni delle diverse banche centrali. Il secondo merita qualche considerazione aggiuntiva.
Se un’economia agguanta la crescita robusta che si aspetta e si merita, un po’ d’inflazione aggiuntiva alla produzione – anche al 3% in media per un anno – potrebbe non creare problemi. I maggiori costi unitari potrebbero in larga misura non essere traslati sui consumatori perché compensati da minori costi medi derivanti dall’espansione della scala produttiva e dal riassorbimento, relativamente rapido, di risorse non utilizzate. Questo è il disegno virtuoso in cui il settore reale contribuisce a mantenere sotto controllo le aspettative d’inflazione.
Se, invece, lo stesso fenomeno inflazionistico si manifesta in un Paese, come l’Italia, che strutturalmente cresce pochissimo o per niente, al di là delle oscillazioni derivanti dal riverbero degli shock del 2020 nella serie storica del PIL, qualsiasi fenomeno inflazionistico peggiorerebbe sia le aspettative sia il potere d’acquisto del reddito e della ricchezza, per quella quota di asset detenuta in forma liquida e non indicizzata al livello dei prezzi. Con riferimento alle famiglie e alle ISP, questa parte – sostanzialmente contante e depositi a vista – è cresciuta di circa 108 miliardi di euro nel corso del 2020. Tale crescita copre il 100% della variazione della ricchezza finanziaria delle famiglie, in qualunque forma detenuta.
Alla fine dello scorso anno, la ricchezza a vista detenuta dalle famiglie ha superato, pertanto, i 1.127 miliardi di euro. Un’inattesa accelerazione inflazionistica di due punti percentuali per un anno – dall’1-1,5% al 3-3,5% – comporterebbe una perdita di potere d’acquisto della ricchezza pari a circa 23 miliardi di euro (tre decimi di punto percentuale sulla spesa delle famiglie, secondo la stima dell’elasticità dei consumi reali alla ricchezza liquida), oltre alla riduzione del potere d’acquisto del reddito corrente. L’effetto sui consumi risulterebbe fortemente penalizzante.
Insomma, in una siffatta situazione, l’arrivo dell’inflazione prima del consolidamento della ripresa – che si presume sospinta, in Italia, dall’impiego di fondi europei – potrebbe soffocare la ripresa stessa.
Ci sono quindi ottimi motivi per riflettere sui rischi derivanti da un’ondata inflazionistica.
***
Due esercizi puramente meccanici indicano per il 2022 un range per l’inflazione al consumo per l’Italia tra l’1,2% e il 4,3%. Troppo ampio, si capisce, per avere qualche significato operativo. Utile, piuttosto, per seguire con più precisione l’evoluzione del livello dei prezzi. Infatti, il primo valore è costruito prendendo le medie di lungo termine delle variazioni mensili congiunturali dell’indice dei prezzi al consumo realizzatesi nel periodo gennaio 2008-maggio 2021. Questo scenario è per definizione quello di assenza d’inflazione: infatti, negli ultimi tredici anni l’inflazione non è quasi esistita. L’altro scenario è costruito, all’opposto, scegliendo mese per mese, sempre da luglio 2021 fino a dicembre 2022, le più elevate variazioni mensili degli ultimi tredici anni, proprio per tracciare l’eventualità peggiore. Che in effetti mostrerebbe una crescita piuttosto elevata dei prezzi, con un tasso d’inflazione già prossimo al 4% nel 2021. Questo è, comunque, uno scenario oggettivamente improbabile la cui utilità è solo quella di costringere a controllare le variazioni mensili per vedere se nel corso dei prossimi mesi si verificano fatti strani o se ci si muove nel solco del passato.
La previsione vera e propria, cioè quella che utilizza un modello che mima i fenomeni come si sono sviluppati in passato e utilizza qualche congettura ben ponderata sull’evoluzione di alcune determinanti internazionali per il futuro, conduce a una stima del tasso d’inflazione al consumo per l’Italia attorno al 3,2% nel 2022, condizionale al persistere di aumenti attorno al 20% delle quotazioni delle materie prime energetiche e alimentari. Un valore ben al di là del target delle principali banche centrali, e sicuramente oltre la soglia statutaria della BCE. Se la Germania e i suoi partner già oggi sono attorno o sopra al 2,5%, difficilmente la BCE osserverà, per il complesso dell’eurozona, un valore inferiore a quello previsto per l’Italia. E qualcuno chiederà una conseguente azione restrittiva, peraltro del tutto legittima.
La questione dell’inflazione, insomma, non si può liquidare proiettando sul futuro evidenze tratte da un passato che è strutturalmente lontano e difforme dalle condizioni attuali.
Il confronto tra il biennio 2007-2008 e il biennio 2020-2021 è eloquente. Gli scenari sono solo apparentemente simili e legati essenzialmente alla crescente dinamica dei prezzi delle materie prime. Gli aumenti registrati nel 2007-08 si collocavano tra la fine di una fase espansiva e l’inizio di una profonda recessione, elemento che ha favorito il rientro dell’inflazione. Oggi, per contro, ci troviamo tra la fine della più diffusa e intensa recessione sperimentata dalle economie mondiali negli ultimi settanta anni e l’inizio di una fase di forte ripresa. L’intensità e la rapidità con cui si stanno succedendo queste fasi stanno generando pressioni sul sistema delle materie prime e della logistica, soprattutto marittima – quella più rilevante negli scambi internazionali di lunga gittata –, in un contesto in cui il persistere di vincoli derivanti dagli strascichi pandemici, genera ancora strozzature nelle filiere di produzione e distribuzione.
Se in Europa il ritardo, rispetto ad altre economie, con cui si è proceduto alle riaperture, ha contenuto possibili pressioni derivanti dalla domanda delle famiglie, il recupero, anche intenso, che si sta registrando e che si protrarrà anche dopo l’estate rischia di aggiungere altre frizioni al sistema. Non basta osservare che mancano in Italia 600mila occupati rispetto al livello pre-pandemia per puntare sul funzionamento del presunto trade-off tra inflazione e disoccupazione, in cui al crescere dell’inflazione il livello di disoccupazione dovrebbe diminuire. Nonostante il permanere di questa disoccupazione, infatti, il combinato di inflazione importata, modificazione delle aspettative, tensioni di domanda che si innestano su un’offerta non del tutto all’altezza per i problemi ereditati dalla pandemia, potrebbe portare a incrementi dei prezzi al consumo ben superiori al 2% già nei prossimi mesi, per attestarsi oltre il 3% nel corso del 2022.
Per un Paese come l’Italia, il rischio inflazione è un rischio crescita. Quindi, della massima importanza.
1. Tendenze recenti: la dinamica dei prezzi al consumo nello scenario internazionale, il ruolo delle materie prime e quello degli input logistici
All’inizio del 2021 si sono manifestati diversi segnali di un possibile ritorno dell’inflazione. Effettivamente, la variazione dei prezzi al consumo è cresciuta piuttosto diffusamente (fig. 1).
Negli ultimi anni la variazione dei prezzi nelle principali economie mondiali si era mantenuta sotto il valore soglia indicato dalle Banche centrali dei rispettivi Paesi. Nella media del periodo 2014-2020 nelle principali economie il tasso di variazione annuo si è mantenuto abbondantemente sotto il 2%. Solo tra il 2017-2018 si sono registrate moderate tensioni derivanti dalle materie prime petrolifere, rientrate, comunque, in pochi mesi.
In sostanza, l’economia mondiale ha completamente assorbito, negli ultimi anni, le moderate fluttuazioni dei prezzi generate nei mercati delle materie prime.
Fig. 1 – Variazioni % tendenziali dei prezzi al consumo in alcuni Paesi e nell’eurozona
IPCA per eurozona e Italia – periodo 2014-2021
nota: IPCA è l’indice dei prezzi al consumo armonizzato.
Elaborazione Ufficio Studi Confcommercio (USC) su dati Eurostat, OCSE e Uffici nazionali di statistica.
Questa prolungata condizione di sostanziale assenza di inflazione sembra modificarsi all’inizio del 2021. In particolare, negli Usa l’inflazione a maggio ha raggiunto il 5%, con una rapida accelerazione rispetto all’1,4% di dicembre 2020. In Europa, le dinamiche, seppure in ripresa, appaiono più contenute, con un’inflazione su base annua passata dal -0,3% di dicembre al 2% di maggio.
Le cause di tali fenomeni sono molteplici – dagli eccessi di liquidità e di intervento fiscale, alle disfunzioni nelle catene globali di offerta, all’intensità della crescita delle quotazioni di diverse materie prime.
Non c’è alcuna garanzia che a fronte di queste nuove condizioni di contesto, l’economia mondiale sia ancora capace di evitare di generare e diffondere inflazione.
Gran parte dell’accelerazione mostrata in figura 1 sui prezzi al consumo, deriva da impulsi registrati sui mercati delle materie prime i cui prezzi, già nella seconda parte del 2020, hanno mostrato una generalizzata tendenza all’aumento (salvo quelli dei metalli preziosi) (tab. 1).
Tab. 1 – Prezzi di alcune commodity e costi del trasporto marittimo[2]
indici gennaio 2019=100
World Bank Commodity Price | FBX2 | ||||
---|---|---|---|---|---|
Energetici | Agricoli | Metalli e minerali | Metalli preziosi | ||
Gennaio ‘19 | 100,0 | 100,0 | 100,0 | 100,0 | 100,0 |
Maggio ‘20 | 52,6 | 97,4 | 89,7 | 128,0 | 99,3 |
Maggio ‘21 | 115,2 | 133,1 | 166,0 | 148,3 | 317,4 |
Luglio ‘21 | 431,0 |
Alla ripresa dei corsi delle materie prime si è contestualmente associata una decisa tendenza al rialzo dei costi del trasporto marittimo di merci. A partire da giugno del 2020 il Freightos Baltic Global Container Index (FBX) ha cominciato a evidenziare una progressiva tendenza all’aumento accentuatasi tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 e ripresa in modo sostenuto negli ultimi tempi. Ponendo uguale a 100 il dato di gennaio 2019 si rileva come ad inizio estate del 2021 l’indicatore sia sostanzialmente quadruplicato (tab. 1). La tendenza all’aumento, pur diffusa, è peraltro articolata tra le diverse rotte. Quanto sta accadendo è un fenomeno complesso, sintesi di diversi fattori legati essenzialmente alla pandemia. Ad una fase iniziale di ridimensionamento della capacità di stiva, dei traffici, di scarsità dei container e di ricomposizione delle rotte ha fatto seguito una ripresa abbastanza intensa della domanda sui cui gravano, peraltro, ancora difficoltà di approdo su alcune rotte. Si aggiunga a questo anche l’aumento dei costi di gestione generati dall’incremento delle materie prime, energetiche in primis. È importante rimarcare che questi elementi rendono complicato immaginare, nel breve periodo, un’inversione della tendenza in atto.
Anche per quanto riguarda le quotazioni del petrolio, la ripresa dei corsi, che ha portato il prezzo al barile agli oltre 60 euro attuali dai 21,5 di aprile 2020, non sembra destinata a esaurirsi nell’immediato, anche per i contrasti tra Paesi produttori.
Questa tendenza è destinata a produrre nei prossimi mesi un impatto più significativo, rispetto a quanto registrato fino a oggi, anche sui costi di gestione delle imprese del terziario.
A contrastare queste tendenze, e a spingere molti osservatori a ritenere la ripresa dei prezzi un elemento temporaneo, vi è l’assenza di tensioni nel mercato del lavoro.
Nei quattro principali paesi europei il gap di ore lavorate (destagionalizzate) nel primo trimestre del 2021 rispetto alla media del 2019 è ancora molto rilevante (tab. 2), e richiederà tempo per essere colmato.
Tab. 2 – Ore lavorate (dati destagionalizzati)
var. % rispetto al 2019 (*)
Italia | Germania | Francia | Spagna | |
---|---|---|---|---|
2020 | -11,2 | -5,2 | -9,2 | -10,4 |
2021 | -8,6 | -6,8 | -6,4 | -7,6 |
A nostro avviso, l’idea che superata la pandemia l’occupazione persa sarà riguadagnata esattamente in quantità e in composizione settoriale analoghe al 2019 potrebbe non essere del tutto fondata. O, almeno, il processo di ripresa sarà più lungo di quanto alcuni esperti, ottimisticamente, stimano. Non sono ancora del tutto chiari e definiti i lasciti sui processi produttivi e sui consumi derivanti dalla pandemia. Eredità che potrebbero comportare modifiche, rispetto al passato, nella domanda di lavoro e nella qualità dell’offerta.
Si aggiunga che nel breve-medio periodo la difficoltà a riconvertire parte dei disoccupati di lunga durata rischia di creare ulteriori impedimenti nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Unitamente ai problemi già citati di recrudescenza dei corsi delle materie prime e energetiche e non, tutto ciò potrebbe implicare tensioni sul versante dell’occupazione, con l’ulteriore conseguenza che nei settori produttivi non perfettamente in grado di riconquistare rapidamente i livelli di attività ottimali, potrebbero verificarsi tensioni sui prezzi al consumo per un deficit di offerta a fronte di un rapido incremento della domanda.
La presenza di dinamiche inflazionistiche molto contenute nelle principali economie industrializzate ha permesso il mantenere, soprattutto in Europa, una politica di bassi tassi d’interesse – nominali e reali – per un periodo molto lungo. Una ripresa non temporanea dell’inflazione modificherebbe questo scenario. Immaginare che nulla accadrà alle politiche monetarie in risposta a una modificazione radicale del quadro inflazionistico planetario non è, a nostro avviso, corretto, in quanto inverosimile. La questione rilevante è quanta crescita ciascun Paese sperimenterà nel frangente delle modificazioni delle politiche delle banche centrali e se quella crescita sarà sufficiente a depotenziare gli effetti negativi di un incremento dei tassi d’interesse.
Per il caso italiano, contraddistinto da tassi di variazione del PIL strutturalmente insufficienti, si pone, quindi, la questione dirimente del buon utilizzo dei fondi europei, probabilmente disponibili già entro fine luglio nella misura di circa 25 miliardi di euro. L’obiettivo sintetico del PNRR italiano è una transizione dell’economia da una crescita potenziale dello 0,6% annuo all’1,4%, parametro che crescerebbe ulteriormente nel caso di successo dell’importante processo di riforma che il Paese è in procinto d’intraprendere.
Nelle diverse ipotesi di crescita che nell’arco del periodo 2021-2026 si concretizzeranno, in ogni caso, gradualmente, saranno ben differenti gli impatti di un eventuale incremento dei tassi d’interesse (reali), al di là dei pericolosi effetti che il fenomeno avrebbe sulla spesa per sostenere il crescente onere annuale del debito pubblico. Il nuovo possibile impulso alla crescita economica del Paese è l’unico vero antidoto anche contro gli effetti indesiderati di uno scenario inflazionistico perdurante oltre il breve periodo.
1.1 La dinamica dei prezzi al consumo: focus sull’Italia
L’inflazione europea evidenzia ormai un elevato grado di convergenza tra le diverse nazioni. Nel complesso del periodo 2009-2020, nell’eurozona l’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA) ha registrato una variazione complessiva del 14%, valore molto simile a quelli registrati nelle quattro principali economie che la compongono, compresi tra l’11,8% della Spagna e il 14,9% della Germania.
L’Italia, dedotti gli effetti delle due manovre sull’Iva[3], ha mostrato un profilo di crescita più contenuto rispetto alla media. Da tempo il nostro Paese evidenzia un’inflazione di fondo inferiore all’1% annuo.
Anche le tendenze più recenti confermano, pur in un quadro di generalizzata crescita, un’evoluzione dell’inflazione italiana più contenuta (fig. 2).
Fig. 2 – L’IPCA nell’eurozona e nei principali Paesi
variazioni % tendenziali mensili – periodo 2020-2021
Elaborazioni USC su dati Eurostat.
A fronte di tassi di variazione su base annua in Germania, Spagna e Francia superiori o prossimi al 2% nel mese di maggio, in Italia l’indice dei prezzi al consumo armonizzato permane poco al di sopra dell’1%. Queste differenze sono confermate anche dalle dinamiche dell’inflazione di fondo che si è attestata, a maggio del 2021, all’1,6% in Germania, mentre in Italia e Spagna l’incremento è dell’ordine di pochi decimi di punto.
1.2 Il ruolo delle quotazioni delle materie prime nell’inflazione italiana: il passato e le prospettive a breve termine
L’ultimo episodio in cui l’inflazione italiana si è approssimata al 4%, superandolo leggermente nella metrica tendenziale mensile, si è verificato nella metà dell’anno 2008 (tab. 3).
Tab. 3 – Le dinamiche di alcuni prezzi nei periodi 2007-2008 e 2020
variazioni % tendenziali
Alimentari non lavorati | Energetici | Core | IPC | Petrolio € per barile | Commodity Energetiche | Commodity Non Energetiche | |
---|---|---|---|---|---|---|---|
ago. 2007 | 1,7 | -2,2 | 1,7 | 1,6 | -9,6 | -2,3 | 15,1 |
set | 1,6 | -0,1 | 1,6 | 1,7 | 12,4 | 22,7 | 20,3 |
ott | 1,8 | 3,0 | 1,8 | 2,1 | 25,8 | 37,0 | 21,6 |
nov | 2,0 | 5,1 | 2,0 | 2,4 | 39,0 | 47,1 | 20,8 |
dic | 2,2 | 6,5 | 2,2 | 2,6 | 33,2 | 41,4 | 18,8 |
gen. 2008 | 2,3 | 8,3 | 2,3 | 3,0 | 49,4 | 61,2 | 26,2 |
feb | 2,1 | 8,9 | 2,1 | 2,9 | 45,6 | 55,7 | 32,7 |
mar | 2,5 | 9,6 | 2,5 | 3,3 | 41,7 | 63,4 | 38,0 |
apr | 2,5 | 10,5 | 2,5 | 3,3 | 40,3 | 64,2 | 35,8 |
mag | 2,6 | 13,1 | 2,6 | 3,6 | 59,4 | 83,3 | 33,4 |
giu | 2,7 | 14,7 | 2,7 | 3,8 | 60,8 | 91,2 | 35,3 |
lug | 2,8 | 16,6 | 2,8 | 4,1 | 50,9 | 83,0 | 33,5 |
ago | 3,0 | 14,5 | 3,0 | 4,1 | 46,5 | 63,6 | 26,9 |
set | 2,8 | 13,6 | 2,8 | 3,8 | 24,4 | 34,7 | 14,2 |
ott | 2,8 | 10,4 | 2,8 | 3,5 | -6,0 | -4,3 | -8,4 |
nov | 2,6 | 3,3 | 2,6 | 2,7 | -33,6 | -31,4 | -19,2 |
dic | 2,6 | -1,3 | 2,6 | 2,2 | -50,8 | -43,9 | -23,9 |
dic. 2020 | 0,6 | -7,7 | 0,6 | -0,2 | -30,9 | -18,1 | 16,3 |
gen. 2021 | 0,8 | -4,9 | 0,8 | 0,4 | -21,7 | -6,9 | 20,5 |
feb | 0,9 | -3,0 | 0,9 | 0,6 | 1,5 | 22,0 | 28,5 |
mar | 0,8 | 0,4 | 0,8 | 0,8 | 84,2 | 89,8 | 34,6 |
apr | 0,3 | 9,8 | 0,3 | 1,1 | 152,1 | 170,4 | 42,3 |
mag | 0,2 | 13,8 | 0,2 | 1,3 | 97,0 | 119,1 | 50,8 |
giu | 0,3 | 14,1 | 0,3 | 1,3 | 71,1 |
Come risulta abbastanza evidente l’impennata dei prezzi delle materie prime, iniziata nel 2007, ha prontamente guidato la ripresa del processo inflazionistico. Allo stesso modo, l’esaurirsi di questa spinta ha portato in tempi rapidi a un ridimensionamento della dinamica dei prezzi al consumo.
Analizzando quanto accaduto dalla fine del 2020, pur in presenza di un’inflazione di partenza più bassa e di variazioni dei prezzi delle commodity complessivamente più elevate, si rileva come la situazione non appaia dissimile da quella vissuta in precedenza.
A modificare il quadro in questo momento, come si vede dalla tabella 3, sono tanto l’evoluzione della componente non energetica delle commodity, che non sembra aver esaurito la corsa al rialzo, quanto quella dei costi del trasporto marittimo (container) che, come evidenziato in precedenza, sono in netto rialzo.
Al momento la componente alimentare non trasformata non sembra interessata da tensioni al rialzo ed allo stesso tempo l’inflazione di fondo (core) si mantiene su tassi di crescita minimi.
Per contro, il rialzo del prezzo del petrolio è stato decisamente più repentino, anche se in gran parte influenzato dal fatto che ad aprile dello scorso anno, nei mesi iniziali della pandemia, il prezzo in euro al barile aveva toccato il minimo degli ultimi venti anni. Seppure in rialzo il prezzo attuale, espresso in euro, è di quasi il 30% inferiore rispetto ai picchi del 2008, elemento che lascia margini per il proseguimento della tendenza al rialzo.
A completare il quadro si deve sottolineare nuovamente che nei due periodi a confronto le dinamiche dell’economia erano opposte. Nel 2007-08 si era alla fine di una fase espansiva, mentre oggi si è in presenza, dopo un anno di crollo della domanda, dell’inizio di una ripresa che, seppure presenta i presupposti di un rimbalzo sensibile, si scontra ancora con un ampio deficit di consumo aggregato, soprattutto in Italia. È possibile, anzi probabile, che a breve, con il consolidarsi del recupero produttivo e della domanda, soprattutto della componente relativa ai servizi, anche l’inflazione di fondo cominci a mostrarsi ben più vivace di quanto osservato nel recente passato.
2. Alcuni esercizi per valutare l’inflazione nel 2022
Vengono presentati quattro esercizi di valutazione delle possibili dinamiche dei prezzi dall’estate del 2021 alla fine del 2022. I primi due sono puramente meccanici. Il terzo e il quarto costituiscono previsioni condizionali a due diverse ipotesi di andamento dei prezzi del petrolio e degli alimentari non lavorati, cioè le componenti volatili dell’indice dei prezzi al consumo[4].
I primi due scenari riportati nella tabella 4, relativi alle dinamiche mensili attese, sono frutto dei comportamenti pregressi registrati mensilmente dai prezzi al consumo. La prima ipotesi, definita “minima”, è basata per il 2021 sulla media delle variazioni congiunturali realizzate ogni mese nel periodo 2008-2020 e, per il 2022, sulla media del periodo 2008-2021. Dal calcolo della variazione media del mese di ottobre sono stati esclusi i dati del 2011 e del 2013 nei quali vi è stato un possibile impatto dell’aumento dell’aliquota Iva ordinaria.
Questo scenario è il limite inferiore di quello di sostanziale assenza di inflazione, coerente con l’idea che gli shock che attualmente si osservano sulle quotazioni internazionali delle materie prime e sui costi dei trasporti siano temporanei, che vi sia capacità produttiva non utilizzata e che nessun impulso sui salari sia ragionevolmente prevedibile nell’orizzonte dei prossimi diciotto mesi.
Per l’elaborazione della dinamica inflazionistica indicata come “ipotesi massima”, si è considerata, invece, per ogni mese, la variazione congiunturale più elevata registrata nell’intervallo tra gennaio 2008 e dicembre 2020 per il 2021, e nel periodo gennaio 2008 e maggio 2021 per il 2022. Anche in questo caso si è scelto di non considerare i mesi che potrebbero aver subito l’impatto della variazione dell’aliquota Iva ordinaria.
Questo quadro prospettico è il limite superiore dello scenario in cui shock esterni e impulsi sui salari si trasmettono ai prezzi al consumo in modo profondo e diffuso, modificando le aspettative d’inflazione. Dall’1,8% medio dell’anno in corso si passerebbe a una media del 4,3% per la variazione dei prezzi al consumo in Italia. La persistenza degli shock porterebbe ancora alla fine del prossimo anno l’inflazione al 4,6% su base annua. Questi conteggi servono – vale la pena di ripeterlo – come indicazione di un limite superiore, il cui raggiungimento è scarsamente probabile, almeno sulla base delle informazioni oggi disponibili.
Tab. 4 – Possibili profili inflazionistici in Italia
var. % annuali e tendenziali mensili dell’indice dei prezzi al consumo secondo varie ipotesi
giu-21 | 2021 | 2022 | dic-22 | |
---|---|---|---|---|
ipotesi minima | 1,3 | 1,4 | 1,2 | 1,1 |
ipotesi massima | 1,8 | 4,3 | 4,6 | |
shock temporanei | 1,5 | 1,5 | 1,5 | |
shock persistenti* | 1,6 | 3,2 | 3,1 |
Gli altri due esercizi rispecchiano, il primo, un’evoluzione non inflazionistica dei prezzi al consumo, con prezzi del petrolio e delle altre componenti dell’indice in crescita molto moderata: nel 2022 +6,8% per il prezzo del petrolio (Brent) in euro (nessuna variazione rilevante nel tasso di cambio del prossimo anno) e del 2,3% degli alimentari non lavorati, per un’inflazione al consumo dell’1,5%, quindi sotto il benchmark della BCE.
Nell’ipotesi di crescita di un ulteriore 20% di entrambe le componenti – alimentari non lavorati e prezzo del petrolio in euro – oltre la variazione contenuta nell’esercizio immediatamente precedente, la variazione dell’indice dei prezzi al consumo (NIC) nel 2022 sarebbe di poco superiore al 3,2%. Tale incremento dei prezzi, sebbene non eccezionale, in ragione del fatto che l’83% del NIC è rappresentato dalla componente core che non paleserebbe shock rilevanti, sarebbe comunque pericoloso per la tenuta della ripresa in corso. Infatti, innescherebbe aspettative d’inflazione non coerenti con la visione dell’autorità monetaria e produrrebbe, comunque, una riduzione del potere d’acquisto di redditi e risparmi accumulati, con effetti negativi sui consumi, la componente ancora oggi più debole della crescita.
Se gli shock esterni permarranno nei prossimi mesi, la realizzazione di questo scenario sarà molto probabile.