Incontro tra il Governo e le parti sociali

Incontro tra il Governo e le parti sociali

Palazzo Chigi

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22 marzo 2007
Signor Presidente del Consiglio,

Signor Presidente del Consiglio,

 

è bene che il confronto tra Governo e parti sociali si avvii ora. In una fase, cioè, in cui registriamo importanti segnali di ripresa dell’economia italiana. Segnali che richiedono però scelte impegnative e responsabili, affinché si possano trasformare in crescita robusta e duratura.

Perché ciò avvenga â€" è ormai opinione comune â€" bisogna rafforzare la produttività complessiva dell’economia italiana.

Perché ciò avvenga â€" aggiungiamo e sottolineiamo noi â€" bisogna rafforzare in particolare la produttività di quell’economia dei servizi, pubblici e privati, che già oggi vale all’incirca il 63% del PIL e il 67% dell’occupazione.

Un altro dato “di giornata�: nel 2006, ci sono stati 425 mila occupati in più. Di questi, ben 405 mila sono occupati nel terziario.

Il modo in cui perseguire gli incrementi di produttività è anch’esso noto e largamente condiviso: le liberalizzazioni; la riduzione della “tassa della burocrazia�; gli investimenti in infrastrutture e in capitale umano; l’innovazione tecnologica e quella organizzativa, quest’ultima frutto in particolare della flessibilità nel mercato del lavoro; una relazione più stretta ed efficace tra incrementi salariali ed incrementi di produttività attraverso la valorizzazione della contrattazione di secondo livello, accompagnata da scelte di defiscalizzazione.

Ma â€" detto e confermato tutto ciò â€" io credo che sia soprattutto importante ricordare brevemente quali siano le caratteristiche e i limiti dell’attuale fase di ripresa: una ripresa trainata dall’export, ma segnata dalla persistente debolezza della domanda interna e, in particolare, dei consumi delle famiglie.

Nel 2006, i consumi delle famiglie hanno registrato un incremento dell’1,5% rispetto allo 0,6% del 2005. Ma si è trattato, comunque, di un incremento inferiore a quello del PIL, così come è troppo spesso avvenuto anche negli anni precedenti.

Perché i consumi crescano e crescano significativamente, occorre una prospettiva stabile di crescita dei redditi sul medio termine, risultato di incrementi di produttività così come di un maggior tasso di partecipazione al mercato del lavoro.

E occorre un maggior reddito disponibile, al netto cioè di oneri contributivi e fiscali.

Nel 2007, la spesa pubblica sfiorerà il 49% del PIL, mentre le entrate totali si attesteranno intorno al 46,5% del PIL.

Si tratta allora di interrompere un vero e proprio “cortocircuitoâ€� tra maggior spesa pubblica e maggiore pressione fiscale. E dunque, contestualmente al recupero di evasione ed elusione, bisogna agire per il contenimento, la riqualificazione e la riduzione della spesa pubblica e per l’avvio della riduzione della pressione fiscale, operando intanto â€" nell’attuale fase congiunturale â€" sul versante delle aliquote IRPEF.

Ne avrebbe giovamento il contributo della domanda interna al PIL, ma ne avrebbero giovamento anche i confronti in corso su importanti piattaforme contrattuali.

Certo, i margini di manovra per realizzare questo tipo di operazione non sono ampi, nonostante il più che positivo andamento delle entrate. Vi è, infatti, la necessità di proseguire nel processo di risanamento della finanza pubblica e, in particolare, la necessità di ridurre il debito pubblico.

Ma, intanto, sviluppo della domanda interna e sviluppo dei consumi consentono una crescita più robusta, che è condizione fondamentale per il miglioramento dei conti pubblici.

E, poi, il modo per far qualcosa c’è. Era stato indicato nel Dpef ed è ora ripreso nella nota introduttiva del Ministro dell’Economia alla Relazione unificata sull’economia e sulla finanza pubblica. Cito testualmente: “Il solo modo per rendere meno difficile la conciliazione tra disponibilità e richieste è di accrescere le disponibilità attraverso significative economie di spesa�.

Ecco, allora, la nostra conclusione e la nostra proposta: concentriamo l’extragettito sulla riduzione delle aliquote IRPEF e, per altri interventi, si reperiscano le risorse ristrutturando la spesa pubblica.

Quanto alla sicurezza sociale, io penso che l’obiettivo di un welfare finanziariamente sostenibile e socialmente più inclusivo richieda, anzitutto, una società italiana più attiva.

In cui, cioè, si lavori in più e più a lungo, visto il costante allungamento delle prospettive di vita della popolazione.

A questo serve una buona flessibilità, governata e contrattata, che agisce a contrasto della precarietà e della marginalità.

Per questo bisogna stabilizzare intorno ai livelli attuali l’incidenza della spesa previdenziale sul PIL, liberando invece risorse â€" nell’ottica della flessibilità sostenibile - per ammortizzatori sociali di nuova generazione fortemente finalizzati al più rapido reingresso nel mercato del lavoro.

La stabilizzazione finanziaria del sistema previdenziale pubblico è oggi resa possibile dall’applicazione della riforma Maroni e della riforma Dini.

A condizione che si chiarisca che nessun pasto è gratis e che si indichino con precisione le soluzioni alternative allo “scalone� in grado di generare analoghi risparmi di spesa previdenziale, si possono comunque ipotizzare meccanismi di accesso al trattamento di anzianità meno rigidi dei 60 anni al 2008.

Non ci sembra invece possibile, a tutt’oggi, ipotizzare soluzioni alternative alla revisione dei coefficienti prevista dalla riforma Dini, posto che tale revisione â€" di cui sarebbe invece utile anticipare ad almeno un triennio la cadenza periodica â€" è condizione essenziale di tenuta del metodo contributivo e di equità intergenerazionale.

E’ certo giusto ricordare l’impatto che, nel medio-lungo periodo, avrà la revisione dei coefficienti sui trattamenti pensionistici. Ma la risposta a questo problema reale non può essere ricercata se non nell’accelerazione del processo di costruzione di una robusta previdenza integrativa, nell’allungamento della permanenza in attività e, anche e soprattutto, in una prospettiva di maggiore crescita del Paese che si traduca in maggiore PIL complessivo, in maggiore reddito e in maggiore contribuzione individuale ai fini pensionistici.

Concludo. Le scelte da fare non sono, in molti casi, facili. Ma sono tutte possibili e, soprattutto, necessarie.

Lo sono, se davvero tutti scegliamo di condividere la responsabilità di assicurare al Paese crescita ed equità.

Con un confronto di merito sulle tante questioni aperte e con un metodo capace di valorizzare, anche sul terreno delle rappresentanze, il contributo di chi esprime attese ed esigenze di tanta parte dell’economia reale.

 

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