Inflazione e servizi: un problema irrisolto

Inflazione e servizi: un problema irrisolto

LE TENDENZE RECENTI

La ripresa del processo inflazionistico in atto dalla primavera dello scorso anno - tra marzo del 1999 e giugno del 2000 l’indice dei prezzi al consumo è passato dall’1,4% al 2,7% - ha riportato in primo piano un problema che sembrava sostanzialmente superato.

Se parte di questa maggiore dinamicità dei prezzi è sicuramente imputabile alla ripresa dei costi delle materie prime petrolifere - a gennaio del ’99 il prezzo del petrolio al barile era di 9,6 euro, valore salito a 31,5 nel giugno di quest’anno - vi è anche da sottolineare come siano emersi molti elementi che hanno portato a valutare con una certa cautela i risultati raggiunti in termini di rientro dell’inflazione.

 DINAMICA DEI PREZZI ALLE DIVERSE FASI

(Variazioni % sull’analogo periodo dell’anno precedente)

 

1999

 

 

 

2000

 

 

 

 

 

 

I Trim.

II Trim.

III Trim.

IV Trim.

Gen.

Feb.

Mar.

Apr.

Mag.

Giu.

Materie prime in lire

-20,5

3,5

33,8

65,3

76,2

89,4

73,4

41,4

68,1

57,4

 - di cui  petrolifere

-2,5

17,2

75,3

142,4

162,3

204,1

148,7

71,1

124,4

106,1

Prezzi alla produzione

-1,8

-1,5

0,1

2,2

3,8

4,6

5,5

5,3

6,4

-

 - di cui petroliferi

-4,2

3,1

11,8

17,8

21,3

25,5

27,2

18,5

20,5

-

 - di cui energia, gas, acqua

-10,3

-9,6

-3,1

6,7

16,1

18,8

23,7

22,7

28,4

-

Prezzi al consumo

1,4

1,4

1,7

2,1

2,2

2,4

2,5

2,3

2,5

2,7

 - di cui carburanti

-2,7

3,5

7,0

10,2

12,6

13,8

17,3

11,3

11,7

15,7

 - di cui combustibili liquidi

-2,9

1,4

6,4

11,8

15,7

15,6

17,6

13,2

12,5

14,4

 - di cui energia elettrica

-5,9

-6,3

-3,7

-0,4

5,7

5,7

6,8

6,8

10,0

10,0

Fonte: elaborazioni Centro Studi Confcommercio su dati Istat

Negli anni più recenti, in presenza del sensibile ridimensionamento delle dinamiche generali dell’indice dei prezzi al consumo, si era sostanzialmente  sottovalutata la forte rigidità verso il basso dell’inflazione di base: tra il ’97 ed il ’99 il tasso d’inflazione al netto della componente energetica ed alimentare era sceso solo di 0,7 punti percentuali, con un differenziale rispetto all’area della UEM prossimo ad un punto.

Tale evoluzione è da ricondursi, in linea con le tendenze di lungo periodo, in larga misura al settore dei servizi, ed in particolare a quelli di pubblica utilità, per i quali in molti casi gli aumenti sono stati decisamente superiori rispetto alla media, ma nei confronti dei quali non è stato attuato alcun intervento.

L’analisi delle dinamiche cumulate dei prezzi tra il 1996 ed il 1999 evidenzia, infatti,  per alcuni servizi reputati essenziali per le famiglie, quali assicurazioni, acqua, trasporti, sanità, istruzione, servizi finanziari e postali, incrementi particolarmente sostenuti.

A questi si aggiunge l’evoluzione dei prezzi di alcuni beni, quali gli affitti, per i quali l’incremento è stato prossimo al 16%.

Tali andamenti, stando all’evoluzione più recente, non sembrano aver conosciuto sostanziali modifiche.

Le dinamiche dei prezzi registrate nel primo semestre di quest’anno da alcuni settori dei servizi non sono sempre giustificate da una evoluzione particolarmente accentuata dei costi, ed in particolare di quello del lavoro, come emerge dal confronto con l’incremento registrato dalle retribuzioni orarie contrattuali nella media dei primi cinque mesi del 2000.

Si sottolinea, inoltre, come per le assicurazioni e l’istruzione secondaria, settori nei quali l’aumento del costo del lavoro appare nettamente superiore rispetto all’indice generale, l’incremento si configuri come un recupero dei livelli retributivi, a conferma della presenza di distorsioni e rigidità in alcuni mercati essenziali.

 LE PROSPETTIVE NEL BREVE E MEDIO PERIODO

Le tendenze in atto dal lato dei prezzi all’origine, materie prime e prezzi alla produzione, se pure sembrano evidenziare un modesto ridimensionamento, non permettono di ipotizzare in tempi particolarmente rapidi un rientro delle dinamiche inflazionistiche italiane su valori prossimi all’1,5%.

Solo a settembre - ottobre sarà possibile capire se i rischi di ripresa del processo di incremento dei prezzi sono superati.

Le principali aree economiche, USA, Europa e Giappone, si avviano a registrare  contemporaneamente una fase di crescita, situazione che non si verificava ormai da decenni e che potrebbe generare tensioni sui prezzi internazionali, non solo dei prodotti petroliferi, con possibili ripercussioni negative sulle inflazioni dei diversi Paesi.

Queste prospettive determinano forti preoccupazioni circa la possibile evoluzione dell’inflazione in Italia. Le misure di contenimento dei prezzi attuate negli ultimi mesi seppure possono aver contribuito a contenere le pressioni inflazionistiche nella fase più difficile, caratterizzata da un aumento delle materie prime petrolifere prossimo al 200% e dalla svalutazione dell’euro, non rappresentano una soluzione al problema.

Non sono, infatti, stati attuati interventi volti a modifiche strutturali dei mercati: l’azione si è concentrata quasi esclusivamente su alcuni aspetti del settore energetico, nel cui ambito nulla è stato fatto per ridurre i costi delle imprese o per modificare realmente l’incidenza della componente fiscale.

L’esperienza recente dimostra che solo in presenza di situazioni congiunturali molto favorevoli, come sono state quelle che si sono realizzate tra la fine del ’98 e l’inizio del ’99, l’inflazione italiana può scendere verso l’1,5%, valore che in prospettiva appare ancora troppo elevato.

E’ evidente che per creare le condizioni per una ulteriore riduzione del cosiddetto «zoccolo duro dell’inflazione» avvicinandolo alla soglia dello 0% debbono essere attuati interventi strutturali di portata analoga a quello che fu compiuto con la fine dell’indicizzazione salariale.

Tra le misure che potrebbero portare ad una riduzione delle dinamiche inflazionistiche vi dovrebbero essere azioni mirate:

  • a rimuovere alcune strozzature nel mercato del lavoro, in particolare la scarsa mobilità e le difficoltà di incontro tra domanda e offerta, che determinano, pur in misura meno incisiva rispetto al passato, impulsi sui costi;
  • a superare alcune rigidità dei singoli mercati dei servizi che da sempre comportano nel nostro Paese dinamiche inflazionistiche più elevate, in considerazione dell’importanza che assumono nel processo di formazione dei prezzi.

Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dovrebbe essere focalizzata sul mercato dei servizi di pubblica utilità, nei quali la liberalizzazione non ha prodotto gli attesi effetti di contenimento dei prezzi, anche per la presenza di operatori ex monopolisti che hanno continuato ad utilizzare la loro posizione dominante, derivante in molti casi dal possesso diretto o indiretto delle reti infrastrutturali, per imporre politiche di prezzo.

In considerazione del fatto che questo non rappresenta un problema solo per il nostro Paese, ma assume valenza europea servono azioni che portino ad una più ampia concorrenza tra imprese erogatrici di servizi di pubblica utilità all’interno del mercato unico.

In particolare l’azione dovrebbe concentrarsi sui settori, quali i servizi finanziari, assicurativi, dei trasporti, delle comunicazioni e dell’energia, nei quali l’elevato livello di investimenti in tecnologia ed infrastrutture richiesto rappresenta un ostacolo all’ingresso di nuovi operatori sui mercati nazionali, evitando nel contempo forme di accordi tra poche grandi imprese che potrebbero contribuire a mantenere elevato il prezzo.

In questo senso appare necessario, in linea con le politiche di ampliamento della concorrenza nei mercati dei servizi, procedere ad un potenziamento delle attività di controllo sovranazionali e ad un più stretto raccordo tra i diversi istituti preposti.

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