Intervento conclusivo del Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, al forum dei Giovani Imprenditori: L'emergenza educativa

Intervento conclusivo del Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, al forum dei Giovani Imprenditori: L'emergenza educativa

Palazzo "Ca' Corner", Venezia, 19 e 20 settembre 2008

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23 settembre 2008

sono, anzitutto, latore di un messaggio di saluto e di auguri di buon lavoro. Il saluto e gli auguri del Presidente Berlusconi, che, purtroppo, oggi non ha potuto essere qui con noi.

Ci dispiace, naturalmente. Ma comprendiamo che si tratta di giornate, di ore ormai decisive per cercare di risolvere il caso Alitalia. Sul quale, una cosa sola voglio dire: è necessario che il filo del confronto si riannodi, ma è altrettanto necessario che il principio di responsabilità nei confronti degli interessi generali del Paese sia fatto proprio da tutti gli attori del confronto. Perché la partita la si sta giocando oltre il “90° minuto” e non è davvero più tempo né di tatticismi, né di ambiguità.

Ma sono anche latore di una promessa: la promessa del Presidente Berlusconi di essere con noi l’anno venturo per il prossimo forum dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Siamo, dunque, alla conclusione di queste due intense giornate di lavoro fortemente volute dai Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Giovani Imprenditori che confermano e rafforzano, con questa loro iniziativa, una missione associativa vocata al confronto con il “nuovo” che avanza nel presente e che prepara i cambiamenti del futuro, nell’economia e nella società.

Per questo, i Giovani Imprenditori sono, anche nella nostra esperienza associativa, non dei “battitori liberi”, ma piuttosto degli esploratori di nuove frontiere, degli scopritori di nuove rotte e di nuovi approdi lungo i quali far fiorire scambi e commerci.

E’, del resto, questa la storia che ha fatto grande Venezia, questa splendida città che oggi ci ospita. Ed è una storia straordinariamente attuale nel mondo contemporaneo, in cui competere significa pensare ed agire su scala globale.

E, allora e anzitutto, grazie agli autorevolissimi relatori e a quanti hanno partecipato, e un ringraziamento particolare – consentitemelo – a Paolo Galimberti per i temi posti in discussione e per il titolo generale dell’incontro: “l’emergenza educativa”.

Perché – così a me sembra – non è un titolo strillato e ad effetto. Al contrario, è tanto la registrazione oggettiva della crisi del nostro sistema educativo, quanto e soprattutto la conseguente indicazione di una priorità con la quale il Paese, tutto il Paese, è chiamato a confrontarsi.

Molti sono i dati che dicono dell’emergenza educativa, ma ce ne sono un paio che mi hanno particolarmente colpito: tra il 2000 e il 2006, si riduce drasticamente, nel nostro Paese, il numero di quindicenni con capacità di lettura elevate.

Sul versante dell’Università, atenei e business-school spagnole svettano,oggi, nelle graduatorie internazionali d’eccellenza. Le presenze italiane sono, invece, davvero troppo rare. E non c’è, dunque, da meravigliarsi del “guanto di sfida” lanciato dall’economia spagnola nei confronti di quella italiana.

Intendiamoci: non voglio certamente dire che sia tutto da buttar via e che, nel nostro sistema educativo, manchino – dalla scuola elementare all’Università – buone pratiche e pratiche eccellenti. Non mancano né buoni docenti, né bravi studenti.

Ma è il sistema educativo nel suo complesso che si è inceppato; sono le sue regole fondamentali di organizzazione e di funzionamento che lo fanno girare a scartamento ridotto.

E poiché - nel tempo della globalizzazione in cui, per parafrasare Giulio Tremonti, la speranza non deve venire meno, ma le paure ci sono e sono motivate – tutti i processi si accelerano e certo i nostri competitori non restano al palo, ecco che ci troviamo a fare i conti con una vera e propria emergenza.

E quale è la causa fondamentale di questa emergenza educativa, come delle tante altre emergenze del nostro Paese?

Mi basta una risposta sintetica: la causa è una troppo lunga stagione della storia del nostro Paese in cui si è affievolito il principio della responsabilità individuale e collettiva e, conseguentemente, quello del riconoscimento e del premio del merito e del talento.

Inutile, dunque, ricercare colpevoli e rimpallarsi accuse.

Meglio, molto meglio – di fronte all’emergenza, di fronte alle emergenze – rimboccarsi le maniche e darsi da fare.

Cercando allora di condividere – nella politica e tra la politica e le forze sociali – questa rivoluzione copernicana per la responsabilità, il merito, il talento.

Non dico che sia facile. Dico però – forse a dispetto di qualche ‘declinista’ – che è tanto necessario, quanto possibile.

E’, insomma, la necessità e la possibilità di una legislatura costituente, che, con il concorso di tutti, si misuri con le questioni chiave del nostro Paese, a partire appunto dall’emergenza educativa.

Su questo terreno, infatti, tutti condividono, tutti condividiamo l’idea che l’investimento sulla qualità della scuola e dell’università, e in una accezione più ampia del sistema educativo e formativo, sia davvero il migliore investimento per il futuro del Paese: per assicurargli una crescita più robusta e di migliore qualità, per costruire maggiore coesione sociale e territoriale.

E’, allora, un problema di quantità di risorse? Anche, certo. Ma è soprattutto un problema di qualità nell’impiego delle risorse.

E’, in altri termini e anche in questo caso, un problema di produttività della spesa pubblica, che non può essere rinviato sine die.

Insomma, bisogna perseverare nel far emergere e nel risolvere nodi notissimi: un rapporto sperequato tra insegnanti e allievi, che non consente di pagare adeguatamente chi insegna; una distribuzione delle risorse pubbliche destinate alla scuola e all’università, che non premia adeguatamente le migliori esperienze; una maggiore concorrenza nell’offerta formativa pubblica e privata; una più stretta partnership tra mondo della scuola e dell’università e mondo dell’impresa e del lavoro.

Su quest’ultimo punto, in particolare, propongo al Ministro Gelmini – che ringrazio per il suo intervento – di lavorare, insieme e rapidamente, per cercare di portare, in particolare nelle classi della scuola secondaria superiore, la testimonianza diretta di chi fa impresa e, in particolare, quella dei giovani imprenditori.

Lo dico, naturalmente, perché considero l’Italia delle piccole e medie imprese e della spinta all’autoimprenditorialità una risorsa per il presente e per il futuro. Ed una risorsa che va particolarmente coltivata proprio sul terreno del rapporto tra scuola e mondo del lavoro.

Lo avete già capito: non nego le difficoltà, ma, in generale, sono convinto del fatto che il nostro Paese può farcela.

Sono convinto del fatto che sia possibile costruire un’Italia più ambiziosa.

Lo dico, perché vedo avanzare segnali importanti del riconoscimento del principio di responsabilità.

Sul terreno del confronto per una nuova architettura del modello contrattuale, che consenta di premiare chi più si impegna e contribuisce alla crescita della produttività.

Perché rafforzare la produttività è un’esigenza generale del nostro sistema economico, e tanto più lo è per quell’economia dei servizi, che noi largamente rappresentiamo e che, già oggi, contribuisce per ben più del 40% alla formazione del PIL e dell’occupazione del nostro Paese.

Al Sindacato, dunque, rinnovo l’invito ad aprire al più presto il confronto sui modelli contrattuali per l’area dei servizi.

Prima lo si fa e meglio è. Perché non c’è davvero tempo da perdere.

Il principio di responsabilità avanza, poi, sul terreno della riforma della pubblica amministrazione. E’ una questione di capitale importanza.

Perché pubbliche amministrazioni più efficienti e produttive non solo concorrono al necessario contenimento della spesa pubblica, ma soprattutto sono davvero un’infrastruttura fondamentale per un Paese competitivo.

In sostanza, dipende particolarmente da una funzione pubblica più efficiente la possibilità di incrementare significativamente qualità e produttività della spesa pubblica, recuperando “sprechi” che, ogni anno, bruciano qualcosa come 5 punti di PIL.

Ristrutturare, riqualificare, ridurre la spesa pubblica. E’ possibile ed è necessario, se davvero si vuole ridurre la pressione fiscale in parallelo al recupero di evasione ed elusione fiscale.

Qualcosa è stato fatto, e certo non sottovalutiamo l’importanza né dell’abolizione dell’ICI, né dell’abbattimento del carico fiscale sugli straordinari e sui premi.

E tanto più non sottovalutiamo l’importanza di questi provvedimenti, perché siamo consapevoli della necessità di mettere in sicurezza il Paese rispetto alla “tempesta perfetta” che si è abbattuta sul mondo della finanza globalizzata.

Lo si è fatto, lo si sta facendo con il rigore sui conti pubblici e con una manovra finanziaria che fa leva sui risparmi di spesa, anziché su più tasse.

Bisogna proseguire in questa direzione, tenere ferma la rotta ed accelerare il cammino.

Sfruttando ogni margine di manovra che si renderà disponibile per continuare a ridurre il carico fiscale e per dar fiato a quei consumi delle famiglie che sono davvero allo stremo, e senza la cui ripresa la recessione è davvero dietro l’angolo.

E intanto si confermino, si rendano strutturali e, per quanto possibile, si rafforzino le misure di riduzione del prelievo fiscale sui premi e gli straordinari e, insieme, si affronti, in sede nazionale ed europea, il nodo della riduzione delle aliquote IVA per il turismo.

Ecco, questo è anche il modo in cui, a nostro avviso, va pensato e costruito il federalismo fiscale, la cui attuazione è – lo ha ricordato ieri l’altro, proprio qui a Venezia, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – “un imperativo di chiarezza e di razionalizzazione che non può essere ulteriormente eluso”.

E’ un’occasione, certo difficile e con esiti non scontati, per praticare il principio di responsabilità nel ricorso alla leva fiscale e nelle scelte di impiego delle risorse pubbliche ad ogni livello dell’architettura istituzionale.

Il federalismo fiscale può essere, deve essere uno strumento che concorra alla riduzione della pressione fiscale complessiva a carico dei cittadini e delle imprese.

Può essere, deve essere la cartina al tornasole della volontà di costruire un federalismo competitivo e solidale.

Quello, cioè, che non lascia nessuno al suo destino, ma che a tutti chiede responsabilità nell’uso delle risorse.

Ecco, queste sono non le mie conclusioni, ma le mie riflessioni su un percorso che mi sembra si stia aprendo.

Riflessioni – lo ripeto – che non negano difficoltà e sfide del presente. Ma che vogliono anche dire che un futuro migliore è certamente possibile.

Dipende dalla qualità delle scelte e dalla coerenza dei comportamenti. Dipende, certo, dalla responsabilità della politica, ma anche delle forze sociali e, vorrei dire, di ciascuno di noi.

Dipende, in particolare, dall’intelligenza e dalla passione, dalla determinazione e dal coraggio dei giovani imprenditori.

So che siete tanti e che non mollate. Per questo, un’Italia più ambiziosa è possibile.

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