Incontro con il Presidente Silvio Berlusconi

Incontro con il Presidente Silvio Berlusconi

Roma, 4 aprile 2006

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4 aprile 2006

Caro Presidente,
anzitutto grazie per avere accettato il nostro invito al confronto. Al confronto tra il Presidente del Consiglio e leader della Casa delle Libertà e chi rappresenta la "gente operosa" del terziario, cioè 800 mila imprese del commercio, del turismo, dei servizi, dei trasporti.

"Gente operosa", caro Presidente.

Cioè gente che si confronta ogni giorno con il mercato e con i consumatori; che conosce la fatica delle famiglie e se ne fa anche carico, cercando di praticare – in un mercato libero e concorrenziale – prezzi finali che tengono conto di costi crescenti, di un andamento dei consumi non brillante e – certo - dell'esigenza di far quadrare i conti.

Perché, quando questi conti non quadrano, le nostre imprese – al pari di qualsiasi altro tipo di impresa – semplicemente chiudono.

E tanti, troppi in questi anni hanno chiuso. E senza ammortizzatori a carico della finanza pubblica.

Anche sui prezzi, dunque, sarebbe ora – dopo tante polemiche – di fare un po' di chiarezza.

Basta leggere gli ultimi dati Istat – quelli di marzo - sull'inflazione in Italia: il 2,1% a fronte del 2,2% della zona euro.

Un dato che scende – se depurato dell'impatto del caro-energia – all'1,7%.

E questo è il dato medio. Al di sotto del quale, poi, i prezzi dei generi alimentari – giusto per fare qualche esempio - crescono dell'1% e quelli dell'abbigliamento dell'1,2%.

Non rappresentiamo, dunque, settori protetti, perché con la concorrenza e con le liberalizzazioni ci stiamo già confrontando e lo stiamo facendo da tempo.

Lo stiamo facendo – ad esempio - con le trasformazioni in corso nella distribuzione commerciale.

Lo stiamo facendo – in generale - con un dinamismo imprenditoriale, testimoniato dal contributo portato dal terziario all'occupazione.

Quel terziario che – anche nel 2005 a crescita zero – ha saputo comunque "costruire" 130 mila nuovi posti di lavoro, sfruttando tutte le possibilità offerte dalla riforma del mercato del lavoro.

È per questo – caro Presidente – che riconosciamo le difficoltà del presente, ma lo facciamo per andare "oltre".

Perché siamo consapevoli di tutti i nodi – strutturali e di lungo periodo – della competitività difficile.

Ma pensiamo che non basta formulare diagnosi e prescrivere terapie.

Pensiamo – con la concretezza di chi ogni giorno fa impresa – che bisogna, soprattutto, darsi da fare.

E che per darsi da fare sia importante tenere conto, in maniera oggettiva, di tutti i dati.

Ad esempio, anche dei segnali positivi che vengono dagli indici di fiducia delle imprese diffusi, negli scorsi giorni, dall'ISAE.

Ecco, questo è il nostro "ottimismo": un ottimismo che non ha nulla di scioccamente consolatorio e che non vuole edulcorare la realtà.

È, invece, l'ottimismo della responsabilità.

Di chi – lo ripeto – riconosce tutte le difficoltà del presente, ma non si riconosce in una lettura "pauperistica" dell'oggi dell'Italia.

Di chi pensa, cioè, che la partita della sfida della competitività possiamo ancora giocarla e vincerla.

Perché le partite – soprattutto quelle importanti – si giocano per vincerle e – come insegna la "zona Cesarini" – si giocano fino all'ultimo minuto, fino al novantesimo.

Perché questo Paese resta un grande Paese. E lo resta - anzitutto - per le energie e le capacità degli imprenditori e dei lavoratori che operano – in particolare - in quel tessuto fitto di PMI, che costituisce, all'incirca, il 95% del nostro tessuto produttivo.

L'impresa italiana – tutta l'impresa italiana – è dunque una grande risorsa.

Una risorsa che – naturalmente – non va data per scontata, ma va "coltivata": con attenzione, con politiche, con risorse.

Affinché i "campioni nazionali" – cioè le poche grandissime imprese italiane - si confrontino con il terreno di gioco più ampio del mercato globale; affinché politiche di rete e di distretto accompagnino l'impegno per la crescita delle imprese piccole e medie.

Non è facile, ma lo si può fare. A condizione, però, che si facciano scelte urgenti e chiare.

Una scelta di metodo, anzitutto. Che è poi quella di mettere in campo da parte di tutti – della politica, delle istituzioni, delle forze sociali – quel che io chiamo un supplemento di responsabilità.

La responsabilità di un confronto fatto secondo regole condivise – nel reciproco rispetto dei ruoli e senza invasioni di campo – e fatto per condividere un progetto per il Paese, fondato sulla capacità di collaborazione tra funzione pubblica e iniziativa privata.

Un progetto, insomma, che divenga il tema centrale dell'agenda di lavoro del futuro Governo e del futuro Parlamento.

Un progetto che sia una strategia d'attacco ai problemi reali dell'economia reale del Paese: i problemi del fare impresa e del competere.

Non accettando, dunque, la politica dei due tempi: la politica del risanamento della finanza pubblica, prima; poi – e forse – l'impegno per la crescita e lo sviluppo.

Perché, oggi, è del tutto chiaro che solo con un passo di crescita più veloce della nostra economia si migliorano i conti dello Stato.

Insomma, se c'è qualcosa che mi preoccupa, che ci preoccupa non è tanto – per venire ai dati della Trimestrale di cassa – il rapporto deficit/PIL al 3,8% anziché al 3,5%, quanto la riduzione della previsione di crescita dall'1,5% all'1,3%.

Di qui la necessità tanto di ridurre la parte più improduttiva della spesa pubblica, quanto di contrastare l'evasione fiscale e contributiva.

Di qui, anche, la necessità di una riqualificazione profonda della spesa sociale.

Lo si è iniziato a fare con la riforma delle pensioni, cui dovrà però seguire un rapido decollo della previdenza integrativa.

Lo si è iniziato a fare con la riforma del mercato del lavoro - volta ad aumentare il tasso di occupazione complessiva - cui dovrà far seguito la riforma degli ammortizzatori sociali e un rapporto costante tra percorsi di lavoro e processi di formazione.

Ma per far crescere di più la nostra economia, c'è anche la necessità di non aggravare la pressione fiscale a carico di cittadini e di imprese e di confermare, invece, l'impegno alla costruzione di un sistema-Paese fiscalmente più competitivo: affrontando – con gradualità e realismo – i nodi della riduzione del cuneo fiscale e dell'IRAP, delle aliquote IVA per il turismo, della fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, di studi di settore che registrino meglio costi reali e ricavi reali delle imprese.

Ridurre il costo dello Stato – tanto più in una Repubblica federale – resta, dunque, una necessità. Così come occorre la riduzione della pressione fiscale complessiva. Lo si deve fare e lo si può fare.

Perché se vogliamo far correre le nostre imprese, bisogna assolutamente ridurre – tra l'altro – il costo degli adempimenti burocratici a loro carico.

Costo pari – secondo stime Istat della fine degli anni novanta – ad oltre 22 mila miliardi delle vecchie lire, cioè – all'incirca – l'1,2% del PIL.

Così come, ancora, bisogna scegliere - a fronte di risorse comunque scarse - su cosa puntare per rilanciare la crescita e lo sviluppo.

E qui vengo ad altri aspetti di merito della nostra proposta.

Una proposta che parte dalla constatazione del fatto che in tutte le economie che galoppano di più - in Europa, negli Stati Uniti e nelle altre aree del mercato globale - c'è un nesso strettissimo tra innovazione, crescita di efficienza e produttività dei servizi e incremento del PIL.

Al punto che questo è quanto ha recentemente "certificato", per l'Italia, il McKinsey Institute: "il rilancio dell'industria manifatturiera non potrà essere il motore della crescita, la cui vera chiave sta invece nel significativo miglioramento della produttività dei servizi…".

Ecco – caro Presidente – è questo il merito del problema politico che Confcommercio pone: riconoscere la centralità del sistema dei servizi come grande occasione di crescita e di sviluppo per l'intero Paese.

Costruendo condizioni per una concorrenza ad armi pari tra tutte le imprese; proseguendo nell'azione di recupero del deficit di dotazione infrastrutturale e di valorizzazione del capitale umano.

Aggredendo il nodo del "caro-energia" e costruendo una politica per l'innovazione ritagliata sulle esigenze specifiche dell'impresa diffusa dei servizi.

Questo è – in buona sostanza – il "Patto per il Terziario", che noi, oggi, proponiamo al Paese.

È il nostro contributo a un "Patto di legislatura", che sia in grado di rilanciare la crescita e lo sviluppo del Paese.

È – ancora – il modo con cui cerchiamo di dare sostanza alla nostra autonomia dai partiti politici – snodo essenziale della vita democratica – proponendo, incalzando, scegliendo, verificando, criticando.

Con un giudizio che non sia mai pregiudizio e sia invece – sempre e comunque – il risultato di una rigorosa valutazione di merito.

In questo modo, vogliamo contribuire a una "politica alta" per il Paese.

Giocando – con questa politica – la partita della competitività, della crescita, dello sviluppo.

Giocando come in quel buon calcio, di cui El Tano – Renato Cesarini – diceva: "… è un'arte che non deve salire dai piedi verso la testa, ma è dalla testa che se ne scende ai piedi".

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