Intervento del presidente Sergio Billè in occasione della tavola rotonda: Banche imprese, territorio: come fare sistema?

Intervento del presidente Sergio Billè in occasione della tavola rotonda: Banche imprese, territorio: come fare sistema?

Siena, 20 ottobre 2004

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22 ottobre 2004
Intervento di Sergio Billè

Credo che non si possa affrontare il tema proposto da questo convegno senza mettere prima di tutto sul tavolo i problemi  che, a monte e a valle di esso,  sta oggi drammaticamente vivendo il nostro paese.

Provo qui ad enuclearli.

1-                 Viviamo in un sistema economico che non riesce ancora, nel suo insieme, a recuperare quel grado di competitività che oggi è indispensabile per affrontare a testa alta e con speranze di successo tutti i problemi posti dalla globalizzazione dei mercati. L'impegno per il raggiungimento di questo   primario obbiettivo è, da parte del mondo delle imprese,  sempre più chiaro e pregnante. Tale impegno però rischia di approdare solo a sterili risultati  se non verrà adeguatamente supportato e coadiuvato dagli strumenti della politica cioè di chi ha il compito di gestire  la programmazione e lo sviluppo dell'intero arco del sistema economico.

Ed è proprio questo il punto: fino a quando questi due mondi continueranno a procedere su diverse orbite e con obiettivi, ottiche e logiche di piano che  anacronisticamente continuano ad essere assai lontani fra loro, sarà assai difficile raggiungere qualche tangibile risultato per quanto riguarda quello che dovrebbe essere l'obbiettivo primario cioè lo sviluppo del sistema.

2-                 E' insomma la politica, con tutto ciò che essa comporta, ad essere oggi in forte ritardo sui tempi, sui ritmi e sulle scadenze imposti oggi dal nuovo  quadrante dell'economia.

E con un sistema che continua a viaggiare a due, tre, quattro, cinque, dieci   velocità diverse non si va davvero più da nessuna parte.

E, in questo quadro, metto anche il capitolo riforme. Se ne stanno imbastendo molte che però ubbidiscono più alle pressanti esigenze della politica che a quelle assai più pressanti del mercato.  Chi oggi ci sta sopravanzando nel mondo, per quanto riguarda i ritmi di sviluppo, ha già da tempo invertito l'ordine di queste priorità e sarebbe opportuno che anche noi facessimo lo stesso.

3-                 La legge finanziaria ora in discussione è, in qualche modo, la cartina di tornasole o, se volete, la prova del nove, di molte delle stridenti contraddizioni che oggi vive il nostro sistema economico.

Da una parte, infatti, vi sono  imprese che, orologio alla mano, cercano, come possono, di recuperare competitività sapendo che o ci si mette subito a correre  o il rischio è di arrivare doppiati al traguardo, insomma di restare "fuori corsa", dall'altra, c'è  uno Stato che, pressato da problemi annosi come il recupero del deficit e del rapporto debito/Pil, non riesce ad affrontare e a gestire tutte le tematiche  imposte oggi, con altrettanta urgenza, dalla precarietà di un sistema economico che sta rischiando di uscire dall'orbita dello sviluppo.

Noi attendiamo ancora di conoscere - e passano i giorni, anzi le settimane e mi auguro che non debbano diventare anche mesi - in quale modo, con quali strumenti operativi e soprattutto con quali disegni e logiche  di prospettiva il governo intenda  ora colmare questo vistoso vuoto.

E, a nostro giudizio, questo vuoto avrebbe dovuto essere, invece, colmato subito, fin dall'inizio  perché, a fronte dei sacrifici - perché questo e non altro prevede il testo della legge finanziaria presentato in Parlamento - che famiglie ed imprese saranno costrette  a fare per raddrizzare, in qualche modo, i conti dello Stato, si sarebbe dovuto dimostrare e spiegare loro cosa davvero ci potrà essere sull'altro piatto della bilancia, quello dei provvedimenti destinati allo sviluppo.

Io mi auguro che il governo possa dare al più presto queste risposte e ovviamente mi auguro che esse possano essere davvero  convincenti.

Convincenti prima di tutto per milioni e milioni di famiglie che hanno visto ridursi, in modo sensibile, in questi anni, il loro potere acquisto. E convincenti anche per un sistema di imprese che, da ormai tre anni, vivono aspettando Godot.

 E vengo al tema specifico di questo convegno che, per il mondo delle imprese che  rappresento, è di estremo interesse.

   

E comincio col dire la cosa più importante: mentre, in questi ultimi dieci anni, è sostanzialmente cambiato il nostro modello di sviluppo - oggi l'area dei servizi produce una quota di Pil più che doppia rispetto a quella del comparto manufatturiero e realizza, da sola, più  dell'85% dei nuovi posti di lavoro - le cosiddette "architetture" di sistema sono, invece, rimaste in gran parte ancora quelle che erano state create come supporto all'allora imperante cultura "fordista".

Intendo parlare delle politiche, dei piani di sviluppo e poi delle leggi, delle normative, dei sistemi di incentivi ed anche delle norme che sovraintendevano all' erogazione del credito che, per cinquant'anni, sono stati i veri "termoregolatori" del nostro sistema economico.

Ora continuano ad esistere queste "architetture" ma non esiste, invece, più il modello di sviluppo per il quale erano state create.

Capite bene che questo è un fior di paradosso che questo paese non si può oggi proprio più permettere.

Altrove, facendo leva proprio sul processo di globalizzazione dell'economia, la piramide delle priorità  è stata già rovesciata privilegiando il sistema dei servizi.

Da noi, invece, la vecchia piramide resiste, resiste, e poi ancora resiste neanche fosse Fort Alamo e questa situazione continua a produrre, nel sistema, gravi distonie.

Sorprende in questo senso proprio quella mancanza di lungimiranza che, secondo Max Weber, dovrebbe essere, invece, proprio la peculiare qualità di una classe politica.

Ma, in attesa, che questa lungimiranza della nostra politica possa finalmente concretizzarsi, sarà bene muoversi per tempo e cominciare almeno ad  aiutarci fra noi.

Ed è proprio dal mondo del credito che ci attendiamo oggi segnali nuovi e  che vadano nella giusta direzione.

E' assai positivo che il sistema bancario abbia, in questi anni, consolidato le proprie posizioni concentrando le proprie strutture ed eliminando molte delle storture prodotte da una politica del credito - mi riferisco al ruolo svolto soprattutto dalle banche pubbliche - che stava pesantemente inquinando anche il sistema finanziario.

Ma ora occorre, da parte del credito, un altro, per noi indispensabile,"colpo d'ala". Quale esso sia è presto detto: una sempre maggiore interazione tra banca e piccola e media impresa che è poi il vero, fondamentale  presupposto per un organico e strutturale sviluppo del territorio.

Questa interazione non contrasta  con i principi che governano oggi il processo di  concentrazione delle strutture bancarie.

E' vero, anzi, il contrario: proprio una banca dalle  solide basi può programmare, in modo più organico e incisivo,  la sua funzione di banca locale volta cioè a stimolare gli investimenti di quel tipo di imprese - del commercio, dei servizi e del turismo - che oggi danno la maggiore spinta per la produzione di ricchezza.

Ed è un colpo d'ala che va realizzato al più presto perché bisogna impedire che l'attuazione delle norme varate da Basilea2, norme imposte soprattutto dalle esigenze dei grandi mercati finanziari, possano mietere vittime proprio in quell' area di piccole e medie imprese che rappresentano oggi lo "zoccolo duro" del sistema economico.

Anche se, in seconda battuta, si è cercato poi, in qualche modo, di addolcirla ed attenuarla studiando un maggiore frazionamento dei finanziamenti e una diversificazione settoriale delle tipologie di attività,  la regolamentazione del credito che vorrebbe imporre Basilea 2 rimane sostanzialmente vessatoria per questo tipo di imprese.

E questo perché la "golden rule" della normativa è che c'è minor rischio per le banche se il credito viene erogato ad imprese di grandi dimensioni e sorrette da un buon rating.

E' chiaro che una simile "golden rule" andrà forse bene per il Lussemburgo ma non per un paese come l'Italia il cui sistema si regge anche, anzi soprattutto su piccole e medie imprese largamente sottocapitalizzate che, per investire, hanno bisogno che l' erogazione del credito sia rapportata a parametri e riferimenti che non possono che essere assai diversi da quelli che vengono  usati dalle banche per le grandi società di capitale.

Io credo - e concludo - che il nostro sistema bancario abbia ormai compreso la specificità ma anche l'entità e la latitudine di questo problema e stia cominciando, sia pure con molta cautela, ad assumere comportamenti conseguenti.

Noi non chiediamo che il mondo del credito chiuda certi rubinetti per aprirne altri. La cosa sarebbe, allo stato delle cose, impensabile e probabilmente anche negativa per i riflessi che potrebbe provocare.

Chiediamo solo che al modello di sviluppo che si sta concretizzando nel nostro paese faccia riscontro un sistema di erogazione del credito che sia lineare e conseguente a questo nuovo modello.

Senza far torto a nessuno, ma privilegiando le ragioni del mercato. 

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