Intervento di Alessandro Ambrosi agli Stati Generali Confcommercio "Anzitutto l'Italia" (tappa di Napoli)

Intervento di Alessandro Ambrosi agli Stati Generali Confcommercio "Anzitutto l'Italia" (tappa di Napoli)

Presidente Commissione Credito di Confcommercio-Imprese per l’Italia

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24 novembre 2011

Buongiorno a tutti, grazie Presidente, grazie al padrone di casa…

CREDITO - Innanzitutto partiamo da qualche dato.

In base alle rilevazioni fornite dall’Osservatorio Credito Confcommercio, tra le imprese del Mezzogiorno che nel terzo trimestre del 2011 hanno richiesto un finanziamento o la rinegoziazione di un fido esistente, solamente il 32% lo ha ottenuto in misura pari alla richiesta. Coloro che lo hanno ottenuto in misura inferiore o che non lo hanno ottenuto affatto sono circa il 48%. La restante parte delle imprese è in attesa di conoscere l’esito della propria richiesta.

Il costo del credito per le imprese del Mezzogiorno d’Italia è di un punto e mezzo più elevato rispetto al tasso medio del Nostro Paese.

Nel primo semestre 2011 ha raggiunto il 6,6%.

Attualmente registriamo un forte rallentamento dei finanziamenti bancari, in particolare per le imprese di minori dimensione del Sud.

A causarlo la riduzione della domanda e le difficoltà attraversate dal sistema bancario italiano travolto da una grave crisi finanziaria.

A rendere più difficile il rapporto banca impresa è, com’è noto, l’incremento dei tassi di interesse sui titoli di Stato e dello spread rispetto ai titoli tedeschi. Motivo di forti perdite di valore per gli assets bancari costringendo gli Istituti di credito, per effetto del ridotto patrimonio, a rivedere in senso ancor più restrittivo le proprie politiche di impiego ed il costo del denaro.

Tutto ciò accade in una fase in cui nella relazione tra banche e piccole imprese non solo non si sono ancora pienamente assimilati i criteri e le metodologie di Basilea 2, che, come sapete, hanno imposto una maggiore formalizzazione nella valutazione del rischio di credito, ma si prospetta l’entrata in vigore, tra circa un anno, delle regole di Basilea 3 che imporranno requisiti più stringenti anche in materia di patrimonializzazione delle banche con la prospettiva di un ulteriore irrigidimento del mercato del credito.

Uno scenario molto preoccupante; noi ci auguriamo ovviamente il ripristino di condizioni di piena stabilità del sistema finanziario e bancario, ma è nel contempo essenziale che si tenga, come punto fermo e condizione infispensabile, l’esigenza di mantenere adeguati flussi di finanziamento all’economia reale, ossia all’economia delle famiglie e delle imprese.

In questo scenario, nella migliore delle ipotesi, le imprese stringono la cinghia. Nella peggiore, ormai nella media, chiudono.

Tutte, o quasi, navigano a vista e si limitino ad azioni di mera sopravvivenza.

Per effetto della contrazione del credito riducono gli investimenti.

Un esempio, quello della Puglia, la mia regione. Nel 2010 il 22,3% delle imprese ha realizzato nuovi investimenti; nel 2011 secondo le previsioni saranno il 16,2%, con un’incidenza rapporto investimenti/fatturato che passa dal 16,8% del 2010 al 13,5% previsto per il 2011.

Si tratta di dati molto allarmanti.

E’ dunque fondamentale per la ripartenza del sistema sociale, economico e produttivo del Mezzogiorno che le banche, insieme alle istituzioni, pongano al centro delle proprie attività il supporto finanziario all’impresa ed al territorio. Ma altrettanto importante da parte nostra è aprire una propositiva riflessione sul credito, che ci veda protagonisti del nostro tempo e fautori di un cambiamento, innanzitutto culturale al problema.

Credo infatti che sia giunto il momento di non alzare barricate, enfatizzando due mondi diversi e quasi contrapposti, nelle azioni e negli interessi, e cioè quello delle banche e quello delle imprese.

E’ importante, invece, rileggere l’accesso al credito in un esteso quadro di interventi che vadano da una richiesta più razionale della spesa pubblica ad una visione più ampia delle fonti di finanziamento.

A questo proposito una crescita del grado di cultura finanziaria da parte delle imprese è più che auspicabile.

Troppo spesso lo scoperto di conto corrente, tipico strumento per far fronte alle esigenze finanziarie legate all’elasticità di cassa, è andato a coprire impegni e investimenti anche a medio termine.

Non possiamo dare la colpa solo alle banche, in molti casi è stata anche colpa delle imprese.

Una via da percorrere l’ha suggerita Mario Draghi:

  • usare le poche risorse ormai disponibili per l’effettiva applicazione delle leggi, puntando a creare quell’indispensabile infrastruttura che si chiama legalità;
  • affidare ai corpi intermedi la responsabilità della concessione dei fondi, premiandoli sulla base dei risultati;
  • cominciare a ribaltare il paradigma che governa la teoria dei sussidi.

E noi aggiungiamo, più importante di tutto, finanziare la domanda. Lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini.

Se non ripartiamo da qui, sarà tutto inutile.

Questa la bussola per tutti, soprattutto per il Sud, quattro i punti cardinali di un percorso/proposta.

1. IL MERITO DEL CREDITO

Credo che un buon punto di partenza sia rappresentato dall’esigenza di adeguare le metodologie di valutazione del merito del credito alle effettive caratteristiche del sistema imprenditoriale. Siamo di fronte a sistemi di rating definiti in termini asettici rispetto alle caratteristiche della realtà imprenditoriale italiana ed in particolare del Mezzogiorno.

L’utilizzo di modelli di rating alimentati da informazioni di tipo quantitativo è poco idoneo alla valutazione del rischio di imprese di piccole dimensioni e poco strutturate dal punto di vista organizzativo e contabile.

Imprese in cui spesso la figura dell’imprenditore e quella dei suoi familiari, le loro competenze nello specifico settore di attività, il loro impegno, le loro capacità ed energie, rappresentano gli elementi fondanti.

Oggi più che mai diventa attuale e fondamentale effettuare scelte che rispondano alle reali necessità delle nostre imprese. Superando la debolezza di un sistema di regole basato, in gran parte, sull’applicazione di modelli di valutazione che non valorizzano adeguatamente gli aspetti qualitativi privilegiando invece quelli quantitativi.

Abbiamo riscontrato nel recente passato qualche cambiamento di rotta da parte di alcuni gruppi bancari, maggiormente orientati ad una migliore conoscenza del tessuto economico a livello territoriale.

Occorre però fare di più, dando più attenzione agli elementi di ordine qualitativo, anche valorizzando il patrimonio informativo di associazioni di categoria e Confidi.

2. I CONFIDI

A tale riguardo, in questa fase di perdurante crisi, va sottolineato il ruolo di grande rilevanza giocato dai Consorzi fidi.

Secondo i più recenti dati della Banca d’Italia nel 2010 il valore delle garanzie rilasciate è aumentato del 16,5%, di cui, la parte più consistente, ben l’11,4%, riguarda le piccole imprese.

Numerose richieste di finanziamento delle imprese sono state respinte dagli istituti bancari, che esigono maggiori garanzie a copertura del loro rischio di credito. Ed hanno, quindi, fatto ricorso ai Confidi, il cui ruolo non si esaurisce nella erogazione della garanzia, ma si oggettiva anche nella capacità di fornire elementi utili alla valutazione d’impresa nel suo complesso, in modo da consentire l’integrazione dell’istruttoria bancaria.

E’ questo il valore aggiunto dei Confidi che dobbiamo tenere in grande considerazione, su cui noi dobbiamo puntare.

L’intervento di garanzia, così, diventa ancora più importante perché non solo incide sul costo del denaro per l’impresa, ma anche sulla decisione stessa della banca.

Purtroppo però nel nostro Mezzogiorno, pur in presenza in alcune regioni di Confidi ben strutturati, vi sono ancora tante aree in cui questi soggetti sono deboli o del tutto assenti.

La Puglia è un caso da imitare. Segna con il +37,7% il primato nazionale nella crescita del valore delle garanzie rilasciate dai Confidi (fonte Banca d’Italia – pag. 45 Economie regionali – novembre 2011)

I Confidi sono un fenomeno in forte espansione, grazie alle politiche regionali; pensate che la regione Puglia (con un bando del 2009) ha messo a disposizione dei Confidi 50 milioni di euro che possono attivare prestiti per 1 miliardo.

Una strada, forse l’unica da implementare fortemente.

In Italia le imprese garantite dai Confidi sono il 13,5%, mentre il Sud è sotto la media nazionale con il 10,8%.

Ben venga dalla riforma del titolo V del TUB l’istituzione di un organismo autonomo che subentrerà alla Banca d’Italia nella tenuta dell’elenco dei Confidi minori.

Senza il credito non si può sostenere, l’innovazione, la formazione del personale, l’internazionalizzazione, lo sviluppo delle imprese, la loro competitività, quindi in uno scenario di mercato globale la loro stessa sopravvivenza.

E’ necessario, quindi, che cresca sempre più la consapevolezza, soprattutto da parte degli enti pubblici territoriali, che i Confidi rappresentano uno strumento in grado di moltiplicare l’efficacia delle risorse destinate all‘incentivazione dell’attività delle micro, piccole e medie imprese, del loro sviluppo e della loro innovazione.

Ma lavorare per migliorare concretamente il rapporto banca-piccola e media impresa nel Mezzogiorno non significa solo formulare e sostenere richieste agli istituti di credito ed alle istituzioni, significa anche porre attenzione ad alcuni elementi di criticità del sistema imprenditoriale.

3. CRESCITA DELLA CULTURA FINANZIARIA

Prima accennavo alla necessità di una crescita della cultura finanziaria da parte di noi imprenditori.

Per raggiungere questo obiettivo un ruolo strategico deve essere rivestito dalle associazioni di categoria e dai corpi sociali intermedi cui sono attribuite funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese e per la promozione dello sviluppo locale.

Il sistema camerale italiano sta realizzando azioni per il miglioramento delle condizioni di accesso al credito per le micro, piccole e medie imprese.

Di recente è stato sottoscritto un protocollo d’Intesa tra Abi, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e Unioncamere al fine di:

  • migliorare la qualità dell’informazione finanziaria;
  • aumentare la possibilità di accesso al credito;
  • sostenere percorsi virtuosi tesi a qualificare l’attendibilità e la trasparenza aziendale, nonché implementare la legalità dei comportamenti economici.

A seguito di questo protocollo che responsabilizza sul tema il sistema camerale, non sarebbe una cattiva idea istituire presso le associazioni di categoria degli info-point di assistenza al credito, così come si è fatto ad esempio per la conciliazione.

Non si può che contribuire così ad una maggiore consapevolezza delle imprese, anche di piccole dimensioni, sull’importanza della programmazione dei flussi finanziari in entrata e in uscita, nonché realizzare una maggiore competenza sulle forme tecniche di finanziamento più idonee a sostenere le diverse attività aziendali. Oltre che sviluppare la capacità di valutare la convenienza tra credito di fornitura e credito bancario.

4. RIQUALIFICARE LA SPESA PUBBLICA

Prima vi accennavo al bisogno di (a) razionalizzare la spesa pubblica e (b) gli incentivi alle Pmi.

a) Nel primo caso abbiamo assistito, talvolta, per usare un eufemismo, ad un uso improprio delle risorse. Tanti sono gli esempi che ribaltano il luogo comune del sud assistito, con il Nord che paga. Tra l’altro non è stata ancora debellata una certa pratica “predatoria” da parte delle imprese del Nord nei confronti del nostro Mezzogiorno. Negli ultimi 10 anni la Commissione Europea ha avviato 38.070 pratiche italiane potenzialmente illegali.

b) Per quanto riguarda invece gli incentivi alle PMI secondo Marco Cobianchi, autore del libro MANI BUCATE, la particolarità dei sussidi italiani è quella di essere perfettamente inutile. È stato calcolato che l’effetto degli stessi sulle imprese del Mezzogiorno abbia fatto crescere il Pil del Sud dello 0,25 % ogni anno tra il 2000 ed il 2005.

A suo parere, e non solo, "I sussidi alle imprese sono inefficaci. Creano distorsioni che penalizzano imprenditori più capaci. È più proficuo investire risorse pubbliche nell'effettiva applicazione delle leggi."

Condivido in pieno l’importanza di investire sulla legalità di contesto.

Credo, però, che, come per il rating delle banche, i sussidi vadano formattati sui contesti territoriali e soprattutto debbano tenere in maggiore considerazione le dimensioni aziendali e le loro capacità di investimento, che come abbiamo visto in apertura, è sempre più ridotta.

Un esempio per tutti. I Contratti di Sviluppo, destinati a sostituire i contratti di programma e di localizzazione. Uno strumento sicuramente evoluto, imponente, che destina molte risorse al nostro Mezzogiorno, avendo l’obiettivo principale di favorire l’attrazione di investimenti esteri e la realizzazione di Programmi di sviluppo di rilevanti dimensioni. Ma nel caso di specie si richiedono investimenti consistenti: da 7,5 a 30 milioni di euro. Non certamente alla portata delle imprese di piccola dimensione, che sono la stragrande maggioranza del nostro tessuto economico. E che sono quelle che hanno più bisogno di incentivi mirati.

Sarebbe forse molto più utile che queste ingenti risorse, o parte di esse, vengano destinate ai Confidi, quale strumento per favorire l’accesso al credito a misura dei bisogni reali. E, perché no, utilizzare le risorse sottratte, confiscate alle organizzazioni criminali per il rafforzamento dei Confidi territoriali.

In quest’ottica ai corpi intermedi può essere attribuito un ruolo di maggiore importanza nell’attività di monitoraggio dei risultati conseguiti con gli incentivi pubblici messi a disposizione dei Confidi, quale criterio premiale per ulteriori sussidi.

In conclusione occorre una efficiente interazione tra differenti soggetti: banche, istituzioni, associazioni di categoria e confidi.

Non ci può essere sviluppo senza investimenti, quindi senza il supporto del credito e di interventi pubblici adeguati.

Se gli incentivi in passato non hanno prodotto gli effetti sperati in termini di ricchezza, occupazione, benessere dei contesti locali è perché non hanno tenuto conto delle peculiarità dei territori, essendo prodotto di approcci generalisti, esterni alle singole realtà.

Dobbiamo puntare ad un processo di crescita endogeno, che renda protagonisti i nostri soci attori locali di una nuova stagione di sviluppo.

Grazie.

 

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