Intervento di Sergio Billè al III Forum Confcommercio-Ambrosetti

Intervento di Sergio Billè al III Forum Confcommercio-Ambrosetti

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30 marzo 2001

Qual è, o meglio, quale vorrebbe essere il principale obiettivo di questo meeting di Cernobbio? Alzare, fin dove è possibile, il più possibile, quel velo di ipocrisia che troppo spesso avvolge anche i dibattiti sui massimi sistemi.

Alzare questo velo per saperne di più su almeno tre questioni di fondo.

La prima: come cambiare, ma cambiare veramente il nostro sistema-paese in modo da accrescere la sua competitività sui mercati senza però indebolire, anzi rafforzando le sue regole di garanzia democratica. Il che vuole dire anche far sì che, in Italia, la democrazia economica cominci ad avere veri spazi, valore e significato.

La seconda: capire dove va l'Unione Europea, quali sono i suoi veri obiettivi, come intende contrastare il predominio oggi esercitato sui mercati dagli Stati Uniti ma anche quale ruolo possa avere, in questo contesto, il nostro paese che oggi, mancando di competitività e di molte, troppe altre cose, è costretto a viaggiare sul vagone di coda.

La terza: definire le priorità per i provvedimenti da realizzare nell'attesa di avviare in tempi brevi una riforma non illusoria, non virtuale - come le tante che sono state tentate fino ad oggi - del nostro sistema. Non mi si dica che si è parlato con chiarezza di questi problemi, nella campagna elettorale che fin qui si è svolta, perché non è vero. I veri problemi, i problemi di fondo sono rimasti sepolti non in un velo ma sotto una vera e propria coltre di ipocrisia e questo mi sembra un grave danno per il paese.

Proveremo dunque a Cernobbio ad alzare una buona volta anche questa coltre.

Non è, difatti, un caso che il 75% degli operatori del Terziario di mercato, intervistati da Cirm in vista del voto del 13 maggio, abbia definito "vaghi e incerti" i programmi fin qui illustrati dagli schieramenti politici.

E parliamo di questa consultazione di base, fatta su un campione rappresentativo delle 2.200.000 imprese che oggi operano nel settore del Terziario di mercato, che Confcommercio ha promosso proprio per verificare quale grado di adesione vi fosse, nella base, alle proposte che abbiamo deciso di presentare alle forze politiche in campo.

Direi – lo potrete verificare facilmente confrontando i risultati del sondaggio con il nostro documento – che questa adesione è stata sostanziale e ciò dà senza dubbio maggiore peso e forza alla nostra iniziativa.

Ma c'è di più: il sondaggio realizzato dal CIRM su un campione rappresentativo di tutta la popolazione italiana dai 18 anni ai 74 ha fornito risposte e giudizi sostanzialmente analoghi a quelli del sondaggio effettuato tra gli operatori del Terziario. Segno che le richieste e le aspettative di chi opera nel mercato non sono dettate da interessi di tipo corporativo ma si identificano anzi, in gran parte, con quelle dell'intera pubblica opinione.

Prima di dire qualcosa sui risultati di questa consultazione tra gli operatori del Terziario, nella quale sono stati espressi giudizi anche talvolta pesanti sull'operato del Governo in carica, vorrei togliermi un sassolino dalla scarpa.

Il Prof. Giulio Tremonti, indicato come futuro ministro nel Governo Berlusconi, ha detto pochi giorni fa che la prima cosa che egli intende fare come possibile prossimo ministro dell'economia sarà quella di rilanciare la legge Tremonti, principale obiettivo con l'eliminazione o la soppressione dell'imposta sulle successioni e donazioni, dei primi cento giorni del Governo di centro destra. La diminuzione della pressione fiscale su Irpef e Irap arriveranno successivamente, dice Tremonti il quale però non precisa, al riguardo, né tempi né scadenze.

Riproporre la legge Tremonti rischia di diventare un tuffo nel passato remoto, un voler riprodurre, in fotocopia, quelle scelte che sicuramente avrebbero ottima accoglienza nell'area industriale, ma provocherebbero reazioni assai dure da parte di tutte quelle piccole e medie imprese – il 70% dell'imprenditorialità italiana – che per riguadagnare competitività e posizioni di mercato ha oggi bisogno di ben altro.

Le dimensioni ed i vincoli impediscono alle piccole e medie imprese del settore distributivo e dei servizi di usufruire dei suoi benefici.

Proprio le aziende che oggi sono più in grado, se sufficientemente incentivate, di produrre nuova occupazione, verrebbero di nuovo emarginate, e si rischia che siano premiate le stesse che con l'attuale governo hanno goduto per la DIT e per l'IRAP.

Non faccia l'errore il centro destra, se e quando andrà al Governo, di tirare fuori dal congelatore misure, chiaramente congiunturali, che forse andavano bene all'inizio degli anni novanta ma che oggi sanno di prodotto surgelato. 

E' giusto che le forze politiche, nel delineare i loro programmi, tengano conto dell'equilibrio dei conti pubblici e del rispetto del patto di stabilità.

Ma non si può, per quanto riguarda il progetto di revisione delle aliquote IRPEF, punto che noi consideriamo essenziale per far ripartire subito il nostro sistema, rinculare al punto da azzerare, o quasi, tutti gli impegni che, a questo riguardo, erano stati presi all'inizio di questa campagna elettorale.

È chiaro che per ridurre le imposte – e per noi, oltre all'Irpef, è necessario ridurre subito anche l'Irap – bisogna porre mano ad una serie di interventi che portino ad una revisione della spesa pubblica che oggi continua a galoppare a ritmi sconsiderati.

Ma è appunto questa svolta, questo salto di corsia, questa brusca sterzata che noi chiediamo.

Dicevo all'inizio che c'è una sostanziale rispondenza tra le istanze emerse nel nostro referendum e le proposte di Confcommercio.

I punti su cui imprese e Confcommercio concordano sono tanti. Mi limito a riassumere i principali.

1 - Non ci siamo proprio con la politica fiscale come dimostra il pesante voto negativo sull'operato del Governo in carica su questo specifico problema. Bisogna partire dalla riduzione dell'Irpef, e di imposte locali come l'Ici e dalla ristrutturazione dell'Irap.  

Su queste tasse ci vuole subito un colpo di maglio - dicono le imprese. E su questo chi va al Governo farebbe bene a fare i suoi conti fin da ora. 

2 - Altrettanto rilevante viene considerato il problema dell'occupazione per il quale si chiede una politica sostanzialmente diversa da quella fin qui seguita.

Dal 1992 ad oggi le unità lavoro sono aumentate di sole 300 mila unità, un'inezia. E' vero che, nel Mezzogiorno, si è fatto qualche progresso ma è altrettanto vero che, in quest'area, il 57% dei giovani non riesce a trovare un'occupazione che non sia nel sommerso. E poi che cosa si farà per fronteggiare quei piani di ristrutturazione che potranno prendere corpo al Nord se si sostanzierà il pericolo di recessione ventilato oggi dai maggiori centri di analisi?

Resta poi un enigma assoluto la ristrutturazione dell'apparato dello Stato e delle privatizzande aziende pubbliche, un percorso già tracciato ma che manca, per il momento, di tutto il necessario corredo di dati per quanto riguarda i tagli del personale che, sulla carta, dovrebbero essere assai contenuti.

Chi ne parla? Per il momento nessuno.

Su flessibilità, incentivi, delegificazione e snellimento di normative e procedure, infrastrutture, formazione, tecnologie tutte leve indispensabili per creare posti di lavoro e programmarli entro scadenze ragionevoli gli schieramenti politici hanno fatto, invece, promesse a raffica.

Ma proprio perché è impossibile risolvere tutti questi problemi contemporaneamente, sarebbe indispensabile stabilire una scala di priorità con tempi, scadenze e itinerari precisi ed avere per le prossime scadenze progetti già pronti. Dove sono? Quando ci verranno proposti?

Per adeguarsi al nuovo sistema di regole imposto dalla globalizzazione dei mercati si impongono scelte estremamente innovative che possono essere realizzate solo se vi sarà una corretta "lettura" del cambiamento. 

E qui sta il punto. Mentre, negli altri paesi europei, il ruolo svolto dalle piccole e medie imprese che operano nel settore del Terziario viene ampiamente sostenuto ed incentivato, il sistema italiano viaggia ancora su quella vecchia monoposto ideata negli anni '70 e costruita in modo da privilegiare soprattutto interessi ed esigenze solo di un solo comparto.

Noi sosteniamo che correndo ancora su questa monoposto il nostro sistema rischia di perdere, nei prossimi anni, tutte le corse.

I dati, del resto, parlano da soli: nella formazione del Pil, prodotto interno lordo, le imprese soprattutto le PMI (Piccole e Medie Imprese) che operano nel Terziario di mercato contribuiscono ormai in una misura che supera il 51%, 43 punti in più dell'agricoltura e 25 punti in più dell'industria in senso stretto. E tutto fa ritenere che questa forbice, nei prossimi anni, si allargherà ancora.

Quindi è indispensabile che al settore del Terziario vengano finalmente riconosciuti il ruolo e il peso che le competono.

E ciò deve essere realizzato in campo fiscale, nel settore del credito, nei piani di potenziamento delle infrastrutture, per non parlare di tutto quel che bisogna fare per la semplificazione o addirittura la cancellazione di leggi e normative che oggi caricano di assurdi oneri le imprese del Terziario impedendo loro un logico sviluppo. 

Nel documento che oggi vi consegniamo troverete, nel dettaglio, tutte le nostre proposte che, per quanto abbiamo prima detto, ci sembrano più che legittime.

Aggiungo una considerazione per quanto riguarda il problema della flessibilità nel mercato del lavoro.

Credo che il modesto, assai modesto, risultato acquisito, dal 1992 ad oggi, per quanto riguarda l'occupazione richieda la revisione, la riscrittura delle regole che fino ad oggi hanno regolamentato i rapporti di lavoro.

Rivedere queste regole non vuol dire togliere ai lavoratori diritti acquisiti ma fare in modo che questi diritti divengano compatibili con le esigenze di un sistema economico che ha percorsi, itinerari, forme di impatto assai diversi da quelli di dieci, venti anni fa.

Sarebbe un vero guaio per la nostra economia se questo processo di revisione fallisse , se, al posto di quella che mi auguro possa essere una grande intesa per gli anni 2000, risorgessero, invece, vecchi e ormai improponibili steccati.

3 - Sicurezza, un problema gigantesco in cui si intrecciano molti fattori diversi e tra loro interconnessi e che imprese, operatori, famiglie sentono sempre di più sulla loro pelle. E siccome esso sta provocando ogni specie di scottature, appare comprensibile che chi è stato intervistato in questo sondaggio abbia dato un giudizio negativo sull'operato del Governo.

Questo perché risolvere una questione del genere vuol dire affrontare, nel medesimo tempo, non solo il problema della incolumità fisica dei cittadini ma anche quelli dell'abusivismo, della concorrenza sleale esercitata dalla galassia del sommerso, dell'immigrazione clandestina che non si riesce ad arginare, dell'usura e del racket dilaganti, della sempre più diffusa penetrazione di cosche e mafie nel tessuto economico e finanziario, dell'inquinamento che costringe milioni di persone a vivere in aree ormai irrespirabili, da alieni.

Qualche altra annotazione. La stragrande maggioranza degli intervistati è favorevole al varo di un vero federalismo che veda crescere soprattutto il ruolo delle Regioni. Non si potrà non tenerne conto. Inoltre più dell'85% degli intervistati chiede a gran voce riforme costituzionali che cambino in modo sostanziale l'assetto della nostra Repubblica. Chi risponde loro? Cosa si risponde loro?

E quali saranno soprattutto i tempi di queste indispensabili riforme?

Sono convinto che se gli schieramenti politici dessero risposte più chiare a tutti questi quesiti il numero degli astensionisti alle urne potrebbe diminuire di parecchio. Forse siamo ancora in tempo per far sì che questo risultato si realizzi.

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